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Uno sguardo laico sulla scuola belga, alle prese con l’identitarismo religioso

L’omicidio del professor Samuel Paty in Francia, per mano di un giovane islamista aizzato da una campagna di odio anti “islamofobia”, ha rinfocolato la discussione sul rapporto tra insegnanti e studenti in un mondo sempre più caratterizzato da identitarismo e comunitarismo. Il docente aveva infatti osato parlare, in una lezione di educazione civica sulla libertà di espressione, delle vignette su Maometto pubblicate dal settimanale satirico Charlie Hebdo

Ma era stato accusato (falsamente) di aver discriminato alunni musulmani e, con le polemiche aizzate da genitori e fanatici, si era creato una pesante clima di ostilità. Complice il lassismo delle istituzioni scolastiche, timorose di inimicarsi la “comunità” musulmana. Fino al tragico epilogo.

Il Centre d’Action Laïque (CAL), organizzazione belga che riunisce associazioni laiche francofone, si è interrogato sulle difficoltà che incontrano gli insegnanti e su come sia possibile disinnescare certe criticità. Oltre a Paty, si cita il caso dell’attivista belga Nadia Geerts, oggetto di strali e minacce per aver contestato la decisione di diverse scuole di ammettere il velo. Quanto alla libertà di insegnamento, la necessità di promuovere sapere scientifico e il pensiero critico si scontrano in classe con le credenze e i pregiudizi? Nel clima pesante che si respira nella scuola francese, tra intimidazioni e censure, sbrogliare questa matassa è vitale. Specie per far convivere più culture in uno spazio aperto come dovrebbe essere la scuola. E alla luce della temperie esagitata dei social network, che spesso amplificano certi problemi.

Il CAL ha quindi sottoposto per tre mesi a circa 300 persone, di cui il 90% insegnanti di scuola primaria o secondaria del circuito Wallonie-Bruxelles Enseignement, un questionario on line con 40 domande. I dati sono stati esaminati dal Laboratoire de Méthodologie du Traitement des Données (LMTD) della facoltà di Filosofia e Scienze sociali dell’Université Libre de Bruxelles (ULB). Cosa emerge tra gli insegnanti belgi?

Per prima cosa, la situazione non è fuori controllo, sebbene ci siano segnali da monitorare. Aumentano le contestazioni su temi che mettono in discussione certe credenze, per il 60% degli intervistati, da parte degli stessi studenti (75% dei casi) o dei genitori (50% dei casi). E questo porta gli stessi insegnanti, in larga misura, a modificare i propri comportamenti, fino all’autocensura.

Le contestazioni arrivano soprattutto per questioni etiche o pratiche democratiche: i temi caldi sono aborto, evoluzionismo, omosessualità e ruolo della donna. Spesso i diverbi si canalizzano sui social, sfuggendo al confronto in aula. La religione ha un discreto impatto (spesso, per il 33% degli intervistati), anche più del sessismo e del razzismo. Ne consegue che molti insegnanti modificano l’approccio a certe questioni: ben il 73% degli intervistati. Se può essere un bene documentarsi meglio e garantire neutralità, ci sono anche ricadute: circa il 40% dei professori tende ad autocensurarsi o a limitare il campo della riflessione per evitare grane.

Quali strumenti ha la scuola belga per promuovere principi laici e democratici? In primis, il corso di filosofia e cittadinanza (Cours de philosophie et citoyenneté) previsto nelle scuole dell’area Vallonia-Bruxelles, con approfondimenti anche su religioni e questioni etiche per favorire pensiero critico e convivenza civile. Attualmente di un’ora a settimana, ma che per l’80% degli interpellati dovrebbe passare a due. C’è anche l’Evras (Education à la vie relationelle, affective et sexuelle), che ha un largo consenso (60%) specie per contrastare sessismo e omofobia.

Un quadro che può offrire spunti interessanti anche per lo spettatore italiano. Il nostro panorama ancora non ha raggiunto certi livelli di pluralismo culturale e non deve (ancora) affrontare massicciamente le sfide. Ma alcuni episodi devono mettere in guardia: si pensi alla recente diatriba in una scuola di Milano intorno al digiuno del Ramadan, che alcuni genitori pretendono di far seguire ai loro figli. La recente introduzione dell’ora obbligatoria di educazione civica non rappresenta ancora un grande avanzamento: ha contorni ancora vaghi, sorvola sulle questioni concrete della convivenza multiculturale e non si caratterizza per l’impostazione laica. Anzi, sta diventando (illegittimamente e per lassismo della politica) un terreno di conquista degli insegnanti di religione cattolica, come denunciato dall’Uaar.

In Italia poi non esiste alcuna forma di educazione alla sessualità e all’affettività: perché ogni tentativo viene boicottato dalle componenti più conservatrici – oggi pure con lo spauracchio del “gender”. E perché, soprattutto, in Italia predomina l’insegnamento della religione cattolica (IRC), erogata da insegnanti di parte che dipendono dal vescovo e “complementare” al catechismo, con tante scuole che per giunta boicottano l’alternativa (ora anche con la scusa del coronavirus). Anche in questo caso, come spessissimo denunciato dall’associazione, che riceve molte segnalazioni in merito da studenti e genitori. Senza contare l’intrusione frequente di organizzazioni integraliste nelle scuole, spesso spacciata per evento formativo e in combutta con gli insegnanti di IRC, su temi etici come aborto, sessualità. A parte, ovviamente, i riti religiosi celebrati manco si fosse in chiesa e i tour “pastorali” di vescovi e affini.

Il fronte scolastico italiano, che qualche spunto potrebbe prenderlo dal Belgio, appare quindi parecchio sguarnito anche perché sconta una pesante influenza confessionalista. Ma con l’aumentare della quota di studenti provenienti da famiglie non cattoliche – che siano di altre religioni o non credenti – i problemi di convivenza e di attriti con i docenti potrebbero acuirsi. Senza che ci siano strumenti adeguati, ovvero improntati su responsabilizzazione, diritti, laicità e neutralità, per fronteggiarli.

Valentino Salvatore

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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