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Ungheria: super Orbán (ma deve ringraziare anche l’opposizione)

La “maggioranza costituzionale” ottenuta dal premier ungherese Orbán è stata agevolata anche dalla divisione dei suoi oppositori

di  Salvatore Borghese

Come ampiamente annunciato, Viktor Orbán ha vinto nettamente le elezioni parlamentari ungheresi. Il suo partito, Fidesz, ha ottenuto ben 133 seggi su 199, che equivalgono alla “maggioranza costituzionale ” (i 2/3 dei seggi) necessaria per poter cambiare la Costituzione.

Verosimilmente, Orbán approfitterà di questa possibilità. Del resto, lo fece già una volta, all’indomani delle elezioni del 2010. Furono quelle elezioni (come ha raccontato il nostro Alessio Ercoli) a consentire a Fidesz di modificare una prima volta la costituzione ungherese in senso nazionalista/identitario – oltre che dimezzando il numero dei parlamentari e cambiando il sistema elettorale passando da un doppio turno a un più “confortevole” turno unico.

Partiamo dai risultati definitivi, mostrati in questa tabella:

Partito % voti Collegi vinti Seggi proporzionali Seggi Totali % seggi
Fidesz 49,3 91 42 133 66,8
Jobbik 19,2 1 25 26 13,1
MSZP 12,2 8 12 20 10,0
DK 5,5 3 6 9 4,5
LMP 6,8 1 7 8 4,0
Egyutt 0,6 1 0 1 0,5
Indipendente   1 0 1 0,5
Min. Nig. 0,5 0 1 1 0,5

Fidesz ha stravinto nei collegi uninominali, vincendone 91 su 106. Questo ha consentito al partito di Orbán di ottenere la “super-maggioranza”, nonostante Fidesz abbia ottenuto “solo” 42 seggi su 93 nel riparto proporzionale (dove è in vigore una sorta di scorporo simile a quello in vigore in Italia ai tempi del Mattarellum per la Camera dei deputati).

Il sistema basato su collegi maggioritari a turno unico ha quindi premiato enormemente Fidesz, come già era successo nel 2014. Questo è dovuto non solo al fatto che Fidesz ha ottenuto una percentuale di voti oggettivamente altissima (sfiorando il 50%), ma anche all’enorme distaccorimediato dai suoi avversari nei vari collegi. I partiti di opposizione infatti non sono riconducibili ad un sola area: c’è una grande differenza tra gli ultra-nazionalisti di Jobbik (secondo partito) e i socialisti del MZSP (terzo partito). Eppure, il risultato non era comunque scontato. La super vittoria di Orbán è avvenuta non solo in virtù di questo consenso enorme, ma anche a causa di altri due fattori.

Il primo è il risultato del voto per corrispondenza, riservato agli ungheresi residenti all’estero. Questi elettori (oltre 200 mila) hanno votato in stragrande maggioranza (il 96,2%, una cifra quasi inverosimile) per Fidesz. Questo plebiscito ha “gonfiato” il risultato del partito, che entro i confini nazionali ha ottenuto il 47%, fino al 49,3% definitivo. Non è facile calcolare con precisione quanti seggi avrebbe ottenuto il partito di Orbán senza questi voti per corrispondenza (per via del citato scorporo, che però tiene conto solo dei voti espressi sul piano nazionale, visto che chi vota all’estero non vota anche per un candidato di collegio); ma sarebbe bastato che mancassero uno o due seggi, nel conteggio, per privare Fidesz della maggioranza costituzionale.

Il secondo fattore è il mancato coordinamento tra i candidati dell’opposizione, in particolare quelli progressisti. Un coordinamento in realtà c’è stato: così come avveniva in Italia ai tempi del Mattarellum, anche in Ungheria era possibile rinunciare a presentare candidati di collegio uninominale per far convergere i propri voti su un candidato di un partito alleato, o comunque vicino. Questa strategia era stata applicata in modo più sistematico dai partiti progressisti (socialisti, verdi, democratici) già nel 2014. Questa volta, complici le divisioni (i verdi di LMP si sono presentati praticamente ovunque con un loro candidato autonomo), il coordinamento non è stato altrettanto compatto ed efficace.

Cosa sarebbe successo in caso contrario? Abbiamo provato a sommare i voti dei candidati progressisti (MSZP, DK, LMP, Egyutt) nei collegi uninominali. Il risultato sarebbe cambiato, ma non di molto. In particolare, sarebbe cambiato solo a Budapest.

Nella capitale, infatti, Fidesz ha vinto solo 6 collegi uninominali su 18. Se i progressisti avessero presentato candidati comuni, però, avrebbero strappato ad Orbán ben 5 di questi collegi. In questo scenario, l’unica vittoria per Fidesz nella capitale sarebbe arrivata nel collegio VIII, e di un misero 0,1%. Si sarebbe quindi arrivati a un passo dallo scenario – incredibile e paradossale – per cui il partito del premier, pur stravincendo le elezioni, non avrebbe vinto alcun collegio nella capitale. Ma c’è di più: il totale dei seggi di Fidesz sarebbe sceso da 133 a 128, con ciò evitando la maggioranza costituzionale.

È vero che con i “se” non si fanno né la storia né tantomeno le elezioni, e in politica fare questi calcoli ex post è sempre molto azzardato; ma possiamo certamente affermare che se il fronte anti-Orbán fosse stato più compatto, in particolare nei collegi di Budapest, probabilmente Fidesz non avrebbe raggiunto i 133 seggi totali. Orbán avrebbe vinto comunque nettamente (come successe già nel 2014) ma non avrebbe avuto quella maggioranza tale da consentirgli di cambiare la costituzione ungherese da solo – come probabilmente farà invece in questa legislatura.

 

(Hanno collaborato: Alessio ErcoliAlessandro Latterini e Andrea Maccagno)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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