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Una nuova cultura dell’accoglienza. Intervista a Franco Pittau

La Caritas italiana, in collaborazione con la fondazione Migrantes, cura da ventidue anni il Dossier statistico sull’immigrazione, pubblicazione annuale che ha come scopo principale quello di fornire il numero di immigrati regolari presenti in Italia e una gran quantità di statistiche relative a tale presenza sul territorio italiano. Abbiamo parlato dell’attuale situazione migratoria in Italia con Franco Pittau, Coordinatore del Dossier statistico Immigrazione Caritas/Migrantes.

Dopo la tragedia di Lampedusa, si torna a parlare con forza della questione delle migrazioni. Com’è attualmente la situazione in Italia?

I termini della questione sono gli stessi degli anni passati. Nel 2000, anno del Grande Giubileo, si celebrò a Roma un convegno internazionale, nel corso del quale non si è mancato di richiamare l’attenzione sul fatto che l’Africa, un continente con poco meno di un miliardo di persone, un eccessivo numero di poveri e numerosi conflitti (anche alimentati dall’esterno) era destinato a premere sempre più sull’Europa e sull’Italia, che ne è la porta naturale per il tramite del Mediterraneo. Anche successivamente, demografi illuminati come Antonio Golini (l’attuale presidente dell’Istat) hanno richiamato a più riprese l’attenzione su questi sviluppi. Anche il “Dossier” ha fatto la sua parte, sottolineando che la pressione migratoria non potrà non aumentare, perché secondo le previsioni l’Africa a metà secolo avrà una popolazione di due miliardi di persone: nel 2010 il nostro Centro Studi e Ricerche IDOS, al termine di un impegnativo viaggio di studi realizzato a Capo Verde in collaborazione con la Caritas e la Migrantes, ha pubblicato, con il contributo del Fondo Europeo per l’integrazione, un volume dal titolo significativo: Africa-Italia. Scenari migratori. I flussi di persone in fuga in cerca di sicurezza e protezione, fortemente aumentati nel 2011, anno delle cosiddette “primavere arabe”, hanno avuto una loro rilevanza anche nel 2012 (17.350 le domande d’asilo presentate), sono continuate anche nel 2013 e così sarà anche nel 2014. Il mito del controllo ferreo, del trattenimento, delle espulsioni porta a impegnare ingenti risorse a fronte di risultati deludenti, senz’altro non rispondenti alle attese di chi è disperato. Riprendo testualmente la domanda, sottolineando che ogni tanto si torna a parlare quando i morti in mare vengono ritenuti “troppi” come recentemente a Lampedusa (ma già nel passato erano troppi), si cede all’emozione e dopo un po’ ci si occupa di altro o, restando sul tema dell’immigrazione, si enfatizza un fatto di cronaca nera e finisce lì la disponibilità collettiva. Bisogna fare di tutto per evitare questo pendolarismo (dalla commozione al rifiuto) e aiutare l’opinione pubblica e i responsabili pubblici ad assumere un orientamento più razionale. Innanzi tutto, si tratta di convincerci che l’immigrazione è una dimensione strutturale della società italiana. Fatto questo passo, ci troveremo in una situazione migliore per affrontare i problemi. Innanzi tutto si tratta di una questione di mentalità, che aiuterà a utilizzare nella maniera migliore le risorse disponibili e a prendere nel tempo decisioni coerenti, salvaguardando un minimo comune denominatore anche quando si alternano al governo schieramenti politici di segno diverso.

Lei cura da oltre due decadi il Dossier statistico sull’immigrazione. È possibile parlare di immigrazione in termini numerici? Cosa ci aiutano a capire le cifre, al di là dell’emotività che accompagna sempre questi fenomeni?

Riporto le tre chiavi di lettura proposte nel nuovo Dossier: aumento della presenza immigrata, seppure modesto e nonostante il periodo di crisi; forte tendenza all’insediamento stabile; crescente bisogno di inte(g)razione. L’aumento e, quindi la dimensione quantitativa dell’immigrazione, è tanto più significativo in quanto avviene in un contesto di crisi economica e occupazionale. Nel corso degli anni Duemila l’Italia si è affermata, nel contesto europeo, come area di grande sbocco per i flussi migratori internazionali. All’inizio del 2012 nell’Unione Europea i residenti nati all’estero con effettiva cittadinanza straniera sono 34.360.456, pari al 6,8% della popolazione totale (di cui 20.699.798 non comunitari), mentre i nuovi ingressi registrati nel 2011, sono stati 1,7 milioni. In Italia, uno Stato membro tra quelli maggiormente colpiti dalla crisi, si è determinato un aumento: da 3,4 milioni di cittadini stranieri residenti nel 2007 a 4.387.721 nel 2012, il 7,4% del totale. Nello stesso arco di tempo i soggiornanti non comunitari sono passati da 2,6 milioni a 3.764.236. Secondo la stima del Dossier, la presenza regolare complessiva è di 5.186.000 persone, con una incidenza che si aggira attorno all’8% della popolazione. La dimensione familiare è diventata, in questa fase, il principale fattore di crescita della popolazione straniera. Nel 2012 richiamano l’attenzione le nascite avvenute direttamente in Italia da genitori di cittadinanza straniera (79.894). I minori tra i soggiornanti non comunitari sono 908.539, il 24,1% del totale, e si può ipotizzare che almeno 250mila siano i comunitari. Per i ricongiungimenti familiari sono stati rilasciati 81.322 visti nel 2012 (quasi pari a quelli dell’anno precedente), riguardanti, nell’ordine, i coniugi, i figli minori e in misura limitata anche i genitori. La crisi esiste anche per gli immigrati, ma non ne sopprime la tendenza all’insediamento stabile. Sono aumentati, tra i non comunitari, i lungo soggiornanti, autorizzati a una permanenza a tempo indeterminato: oltre due milioni di persone, il 54,3% del totale (otto punti percentuali in più rispetto al 2010).

Molti studiosi ritengono l’immigrazione non solo utile, ma necessaria al buon andamento dell’Italia (la cui popolazione va facendosi sempre più vecchia), da un punto di vista fiscale e della forza-lavoro. È vero che abbiamo bisogno dei migranti?

Negli anni passati, il Dossier ha argomentato questa tesi conducendo la ricerca per la rete ecclesiale di Caritas e Migrantes e quest’anno lo fa collaborando con una rete pubblica: l’Ufficio Nazionale contro le discriminazioni razziali costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le motivazioni, non pregiudiziali ma rigorose, attestano la funzionalità della presenza immigrata allo sviluppo del paese dal punto di vista demografico, lavorativi e dei conti pubblici, Circa un centinaio di persone, tra redattori centrali e collaboratori, si sono adoperati per esporre con pacatezza e dovizia di dati questi aspetti: chi vuole, può formarsi un’idea motivata al riguardo, andando al di là dei luoghi comuni.

Ancora nel 2013 si sente ripetere il ritornello dei migranti che “ci rubano il lavoro”. Qual è la verità sul rapporto tra immigrazione e occupazione?

In questa fase di crisi, in cui continuano ad aumentare i disoccupati (ormai, oltre 3 milioni di cui più di 400mila immigrati), nessuno pensa alle quote consistenti degli anni passati, perché bisogna reinserire prioritariamente nel mercato chi è rimasto senza lavoro. Ciò però non vuol dire che le donne, che operano come assistenti familiari e come badanti non siano necessarie e che, se andassero via, sarebbero subito rimpiazzate dalle donne italiane. Un ragionamento analogo può essere svolto per il settore dell’edilizia, dei servizi di pulizia, dei lavori nei campi. Comunque, tanto per gli italiani quanto per gli immigrati, è fondamentale la ripresa.

A Riace si porta avanti da molti anni una politica locale di integrazione tra migranti e paesani: i primi imparano i vecchi mestieri dai secondi, e colmano la lacuna demografica lasciata dai tanti italiani che da Riace sono emigrati al nord dell’Italia in cerca di lavoro. Al contempo, tanti giovani trovano lavoro lì nei servizi sociali di supporto. Come valuta questa esperienza? Si potrebbe ripetere in tutto il Paese?

La perdita dei mestieri artigiani, seppure molto diffusa, è arrestabile. Riace è un esempio, ma anche in altri contesti è stato sollevato lo stesso problema, nella consapevolezza che l’artigianato (anche se la questione lavorativa è più ampia) risponde alle esigenze della popolazione, crea lavoro, aumenta il benessere.

Che si dovrebbe fare della famigerata legge Bossi-Fini: smantellarla, modificarla, o applicarla così com’è?

La legge Bossi-Fini è una modifica della legge Turco Napolitano, che è confluita nel Testo Unico sull’immigrazione. Le parti meno accettabili di quella legge sono state già modificate a seguito delle pronunce di illegittimità costituzionale da parte della Corte Costituzionali. Gli inasprimenti più recenti sono intervenuti nel 2009, proposti nel cosiddetto “pacchetto sicurezza” del Ministro Maroni, anch’essi in parte aboliti su intervento della Corte costituzionale e in parte a seguito della giurisprudenza della Corte di Giustizia di Lussemburgo. Tenuto conto che l’Italia è un paese di immigrazione, bisognerebbe pervenire a una ideologia positiva dell’accoglienza, che senz’altro favorirebbe alcune modifiche normative.

Come reputa le coraggiose e marcate proposte del ministro Kyenge, come quella di istituire per il 3 ottobre la “Giornata della memoria”?

Ritengo, per l’appunto, che rientrino in quell’auspicabile ideologia positiva dell’accoglienza degli immigrati, smettendola di considerarli una minaccia.

Cosa spiegare al riguardo a un bambino che domandi perché si parli di “problema” dell’immigrazione e e perché vi sia tanta ostilità nei confronti degli “altri”?

Personalmente, direi a questo bambino che questo atteggiamento è una (ma non la sola) delle espressioni più preoccupanti di un paese diventato superficiale, rissoso, incoerente e incapace di capire che così si va alla deriva, perdendo sempre più posizioni in un mondo in cui i protagonisti sono più numerosi e più agguerriti. Uno come me, che ha vissuto la sua gioventù nel periodo del “boom economico” dell’Italia e della ripresa improntata a una forte speranza dopo la distruzione bellica, non vorrebbe rassegnarsi a questa fine. L’immigrazione è un incentivo per tutti, italiani e immigrati, per contrastare la decadenza.

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