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Una Web Tax per pesci piccoli presi nella Rete

Dal primo febbraio, le banche italiane saranno obbligate a praticare una ritenuta d’acconto del 20% ai bonifici provenienti dall’estero a favore di persone fisiche. Il contribuente avrà poi l’onere di provare che tali somme non hanno natura di compenso “reddituale”. Dietro la motivazione antielusiva e di controllo incrociato sulle consistenze patrimoniali detenute all’estero da persone fisiche residenti italiane, la norma potrebbe determinare la comparsa di una piccola Web Tax, destinata a pescare a strascico piccoli pesci contribuenti.

Le specifiche applicative del prelievo originano dal provvedimento n. 2013/151663 del direttore dell’agenzia dell’Entrate (sempre Lui) del 18 dicembre scorso. Il prelievo deriva dalla decisione di considerare presuntivamente come componente reddituale imponibile ogni bonifico proveniente dall’estero e diretto ad una persona fisica italiana, salvo prova contraria che deve essere fornita dal contribuente che riceva la somma sul proprio conto corrente. La norma non si applica quindi alle somme ricevute su conti correnti di professionisti (né, ovviamente, di imprese), o nel caso di incassi che non transitino dal canale degli intermediari finanziari nazionali.

In pratica, il residente che riceva bonifici dall’estero dovrà autocertificare che tali somme non sono redditi di capitale, ad esempio dividendi azionari o interessi su prestiti ed obbligazioni ma sono, ad esempio, regalie e rimborsi di capitale. Al momento non esiste ancora procedura standardizzata di autocertificazione, né è stato chiarito l’intervento procedurale dell’intermediario finanziario italiano, che sarà comunque tenuto a segnalare al fisco tutti i bonifici esteri in ingresso su conti di persone fisiche. È di tutta evidenza che una simile procedura porta dritta al controllo incrociato tra redditi di capitale materializzatisi sotto forma di bonifici dall’estero e consistenze patrimoniali detenute all’estero dal residente, cioè il quadro RW della dichiarazione dei redditi, che di recente è stato ridefinito, formalmente in ossequio a normativa europea, e che ora impone che investimenti ed attività estere debbano essere sempre dichiarati, anche se al termine del periodo d’imposta siano di importo inferiore a 10.000 euro.

Ma come originerebbe la comparsa di una piccola Web Tax? In un modo molto semplice: chiunque possieda un sito internet “amatoriale”, nel senso di non riconducibile ad attività professionale, e venda pubblicità tramite Google Adsense sarà di fatto assoggettato alla nuova normativa, subirà la ritenuta d’acconto del 20% sui bonifici in entrata pagati da Google Ireland Limited e dovrà quindi inserire questi importi in dichiarazione dei redditi. In questo modo verranno incisi dei privati che realizzano “reddito” su base occasionale e non professionale attraverso vendita di spazi pubblicitari sul proprio sito web.

Naturalmente, scopo dell’introduzione della ritenuta del 20% sui bonifici dall’estero è ben altra, questo sarebbe solo un effetto collaterale minore ma produrrebbe comunque gettito. Non a carico di Google, che opera tramite una controllata irlandese, bensì degli utilizzatori non professionali del servizio Adsense. Se a questo aggiungiamo che, da quest’anno, le persone fisiche che corrispondono un “canone” per servizi di hosting resi da soggetti operanti negli Stati Uniti sono tenute a pagare l’Iva italiana del 22% su tali servizi, si intuisce che il fisco italiano ha deciso di fare qualche soldino anche con i webmaster amatoriali italiani.

Chi esclude che i webmaster amatoriali italiani possano essere colpiti dalla legge, invocandone la lettera ove afferma che

«il prelievo va in ogni caso effettuato, indipendentemente da un incarico alla riscossione, a meno che il contribuente non attesti, mediante una autocertificazione resa in forma libera, che i flussi non costituiscono redditi di capitale o redditi diversi derivanti da investimenti all’estero o da attività estere di natura finanziaria», 

dovrebbe comunque essere consapevole che i redditi da vendita di spazi pubblicitari web da parte di privati, fatti emergere attraverso segnalazioni delle banche in applicazione di tale legge, possono comunque essere assoggettati ad imposizione con un tratto di penna. E diremmo che, in linea teorica, dovrebbero già esserlo.

Come d’autunno sugli alberi le foglie, restiamo quindi in attesa del Verbo che si incarnerà nel prossimo “provvedimento interpretativo del direttore dell’Agenzia delle Entrate”, l’uomo che prima o poi riuscirà anche a tassare il Padreterno, nell’improbabile eventualità di un transito di quest’ultimo in Italia.

 

Foto: Jason.Rogers/Flickr

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