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Un voto amministrativo molto politico

Una avvertenza generale: siamo di fronte ad una nuova fiammata di astensioni che, rischia di non essere capita da un po’ tutti gli schieramenti politici, ciascuno dei quali - a parte il Pdl - la attribuisce all’altro: il Pd segnala il calo di voti assoluti di Pdl e M5s e si frega le mani, ma dimentica le centinaia di migliaia di voti che ha perso lui; Grillo, da parte sua, parla di “crollo dei partiti” vedendo i voti persi dagli altri, ma non si pone il problema dei (tantissimi) voti persi dal M5s. Il Pdl ammette la sua flessione, ma la spiega come un fatto di banale pigrizia di un elettorato poco motivato (“c’era il derby” si è consolato Alemanno).

E tutti mi pare che non stanno capendo la portata del fenomeno, liquidato con poche parole di circostanza, come se questi italiani non esistessero più o siano definitivamente condannati all’irrilevanza. Non è così: il crescente astensionismo è il fenomeno più rilevante (più dell’affermazione o della sconfitta di ogni singolo partito) da analizzare e capire.

In primo luogo poniamoci questa domanda: di che natura sono le motivazioni di chi non è andato a votare?

“Tecniche” (condizioni climatiche, periodo dell’anno, stanchezza per turni elettorali troppo ravvicinati, modifiche della legge elettorale che sfavoriscano la partecipazione ecc.) o politiche? E’ ragionevole pensare che ci sia un po’ l’una un po’ l’altra cosa, ad esempio è dimostrato che turni elettorali troppo ravvicinati sfavoriscono la partecipazione e noi abbiamo votato per il Parlamento solo tre mesi fa (così come è facile prevedere che al secondo turno la partecipazione calerà ancora e in molti centri si andrà sotto il 50%). Ma si tratta di una motivazione che può aver inciso in modo assai modesto.

Forse ha inciso anche l’assenza di Scelta Civica e del M5s in diverse città, per cui i loro gli elettori hanno preferito, in parte, astenersi.

Tuttavia c’erano altre ragioni che avrebbero dovuto stimolare l’affluenza: ad esempio, a febbraio si votava senza poter esprimere preferenze e questa volta c’era questa possibilità che, normalmente induce un certo numero di cittadini a recarsi al seggio magari solo per favorire un candidato amico. Così come le condizioni metereologiche erano più favorevoli di febbraio mentre non sono ancora iniziate le vacanze; inoltre le modifiche alla legge elettorale (le preferenze alternate per sesso, non erano tali da indurre all’astensione come sarebbe stato se avessimo adottato il criterio americano della registrazione obbligatoria da parte dell’elettore).

Infine: questa nuova ondata segue quella già vistosa di febbraio e, pertanto, si iscrive in una tendenza più generale. Dunque, nessun dubbio sulla netta prevalenza politica delle motivazioni del non voto e, siccome questo ha colpito un po’ tutti, ciascuno farebbe bene a guardare dentro casa e capire perché una parte degli elettori lo ha abbandonato, prima di esultare per le perdite degli altri.

Per cui i risultati percentuali dicono poco e, come nel caso friulano di un mese fa, bisogna tenere d’occhio i risultati in cifre assolute.

Ed è bene mettersi bene in testa una cosa: questi italiani non sono morti e non si sono dimessi da elettori, la loro è una scelta che possiamo definire di “astensionismo attivo”; ci sono sempre e possono “rientrare” in ogni momento con comportamenti elettorali imprevedibili. Chi pensava che i milioni di elettori del Pdl passati all’astensione si fossero volatilizzati nel nulla, poi a febbraio ha avuto l’amara sorpresa di vedere che una bella fetta di essi è rientrata ed ha consentito il grande recupero del Cavaliere. Questa volta non sappiamo cosa potrebbero fare in caso di elezioni politiche: tornare a votare Pdl contro il Pd? O al contrario Pd contro il Pdl? Riaffluire massicciamente sul M5s contro tutti? O magari votare qualche nuova formazione? Magari potrebbero anche seguire un Masaniello di passaggio o qualche forma di “Alba dorata”.

Impossibile dirlo per ora. Anzi, non possiamo dire neppure che la reazione dovrebbe necessariamente essere di natura elettorale: potrebbe anche verificarsi un massiccio sciopero fiscale o una ondata di protesta sociale forse con comportamenti violenti, forme diffuse di disobbedienza civile o altro. Cero le forme più estreme non sembrano profilarsi nell’immediatezza, ma qui abbiamo di fronte una crisi che ci accompagnerà ancora per un periodo imprecisato e comunque non inferiore a diversi anni ancora, per cui nessuno può dire cosa c’è in fondo al tunnel.

Si può dire solo che in cielo ci sono nuvole nerissime che minacciano un temporale che potrebbe diventare anche uragano, mentre a terra la gente fa come se nulla fosse, continuando a litigare sulle cose di ogni giorno.

Detto questo, e per restare su una prospettiva meno remota nel tempo, e vediamo come è andata ai singoli partiti.

Pdl: risultato molto al di sotto delle aspettative. Vero è che il Pd alle amministrative è avvantaggiato ed il Pdl sfavorito ed è anche vero che spesso, in questo turno, si presentava senza la Lega. Così come possiamo concedere che sul risultato romano ha pesato la pessima amministrazione locale di Alemanno, che i romani hanno voluto punire. Possiamo concedere tutto, ma qui resta da spiegare un risultato che va decisamente oltre queste spiegazioni di “contorno”: i sondaggi (per quello che valgono) sin qui ci parlavano di un balzo in avanti di quasi sette punti e di un centrodestra attestato oltre il 35%; invece il centro destra arranca dappertutto, non si registra nessuna avanzata significativa e, non di rado, perde rispetto alle politiche. Questo è un dato politico generale da spiegare. Iniziamo dalla causa meno importante: nelle politiche Berlusconi si è prodotto in una campagna molto efficace (fra le migliori prestazioni della sua carriera politica), ora ha girato meno del solito ed è di nuovo parso troppo condizionato dalle sue vicende giudiziarie. E, questa volta, l’incantesimo non è scattato. In secondo luogo, ha pesato anche la questione Imu; Berlusconi si è molto speso su questo punto, ma poi il risultato che ha portato a casa è stato troppo piccolo: la sospensione della prima rata, senza nessuna garanzia né di abolizione dell’imposta in quanto tale né che poi, a novembre, non ci si trovi a dover pagare tutto in una sola rata. E. cosa peggiore, questo solo per la prima casa, ma non per le aziende che sono quelle che hanno bisogno più di tutti di prender fiato. Insomma, puoi anche sbandierare questo come un successo, ma la gente i conti li sa fare e quelli che hanno votato Pdl nel miraggio di riavere indietro la somma pagata per l’Imu nel 2012, non possono essere soddisfatti di questa inezia.

Ma il dato politico più rilevante ed imprevisto, mi sembra un altro: l’alleanza di governo con il Pd penalizza il Pdl più del Pd, contrariamente a quanto ci si poteva attendere. Il popolo del Pdl, più di quello di sinistra, vuole un Berlusconi a muso duro che chiama alla crociata anticomunista; non apprezza un Cavaliere dialogante che si atteggia a padre nobile della Repubblica. Il Pdl ha più tifosi che elettori ed i tifosi non amano gli accordi con la squadra avversaria. Non sembra aver ricevuto flussi in entrata da altri partiti (salvo qualche modestissimo rivolo da Scelta Civica), ma, occorrerà fare una analisi più dettagliata, su singoli seggi campione per dirlo. Vice versa, appare abbastanza chiaro che gli elettori che lo hanno abbandonato si sono astenuti e non sono passati ad altri schieramenti elettorali che non siano le liste civiche di fiancheggiamento, che assorbono parte dei flussi in uscita.

Il Pd esce sostanzialmente graziato dagli elettori, pur avendo perso oltre 300.000 voti in assoluto. Più che di vittoria, si può parlare di maggiore tenuta rispetto agli altri. Dunque il trionfalismo appare fuori luogo e la situazione del partito resta molto fragile, tuttavia sarebbe errato non cogliere il valore di alcuni segnali. Il deludente risultato di febbraio, la pessima gestione dell’inizio legislatura e dell’elezione del capo dello Stato, le violente polemiche interne, la cattiva campagna elettorale fatta a Roma ma, soprattutto, la formazione di un governo con il nemico di sempre, il Pdl, erano tutti fattori che facevano presagire un violento collasso del partito che, in gran parte, non c’è stato. Probabilmente hanno giocato una serie di fattori: l’assenza di offerte politiche di ricambio, l’istintivo riflesso a “fare quadrato” che nella sinistra scatta quando si avverte un pericolo di dissoluzione, la presenza di personale amministrativo del Pd nelle amministrazioni locali maggiore degli altri partiti ecc.

Almeno per ora, la partecipazione di governo con il Pdl sembra essere accettata dalla maggior parte della base elettorale del Pd come un momentaneo stato di necessità (ed è significativo che neppure Sel abbia registrato alcun particolare afflusso dal Pd). Non è detto che questo stato d’animo debba durare ancora a lungo, ma per ora la tradizionale disciplina dell’elettorato del vecchio Pci sembra aver contribuito ad assorbire la sgradita coabitazione con il Pdl.

Anche qui l’interscambio dei flussi più rilevante è con l’astensione, mentre in entrata c’è solo qualche modesto rivolo dal M5s.

Il M5s è il vero sconfitto di queste votazioni. Quando si perdono 63 voti su 100 in tre mesi, non ci sono scuse che tengano e non serve attaccarsi puerilmente all’argomento dello scarto fra politiche ed amministrative. Dopo la vittoria del M5s a febbraio ci fu molto trionfalismo e faciloneria. Adesso credo che questa sconfitta stia provocando una ondata di scoraggiamento (fra i fautori del M5s) e di esultanza (fra i suoi detrattori) che va al di là delle reali dimensioni del fatto. Questo risultato è una sconfitta, anche seria, ma da non necessariamente il segnale di un precoce declino. Chi pensa che ormai il M5s è un “pericolo scampato” credo si faccia delle illusioni. Intanto c’è ancora uno zoccolo duro - almeno per ora - che si aggira sul 15% che non è proprio pochissimo. Ma, soprattutto non è affatto detto che il M5s non abbia possibilità di recupero.

In fondo molti di quelli che si sono astenuti possono benissimo tornare a votarlo, a condizione che il M5s capisca i motivi dell’insoddisfazione e sappia porvi rimedio. D’altra parte, il M5s ha uno sponsor formidabile in questi partiti di governo che restano la sua migliore risorsa. E, dunque, troppi si stanno vendendo la pelle dell’orso prima di averlo ucciso, anche se il rischio di un collasso definitivo esiste e Grillo fa male a sottovalutarlo.

Ma di cosa può fare il M5s e delle ragioni della sua flessione parleremo nel prossimo pezzo.

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