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Un medico in famiglia | Intervista a Giorgio Marchesi, protagonista a teatro con “7 anni”

Attore di teatro, di cinema e di televisione, è tra i volti più noti e amati dal pubblico. In tanti lo avranno già visto nella settima, nell’ottava e nella nona stagione di “Un medico in famiglia”, nei panni del giornalista Marco Levi. Ha recitato al fianco di grandi attori, come Lino Banfi, Giulio Scarpati, Alessandro Gassmann. Lo stiamo vedendo, su Canale 5, nella fiction “Oltre la soglia” con Gabriella Pession, nel ruolo del Pm del Tribunale dei Minori, Piergiorgio Di Muro. Farà parte della terza serie della fiction “I Medici”, dove interpreterà Giacomo Spinelli, nuovo avversario di Lorenzo il Magnifico. 

Attualmente, è impegnato a teatro con “7 anni”, una rappresentazione dalla trama avvincente. Quattro soci di un'azienda, un crimine commesso e 7 anni di carcere da scontare in ballo. Chi si assumerà la colpa? In questa intervista, Giorgio Marchesi ripercorre la sua carriera, tra esperienze e ricordi, senza dimenticare la passione e l’impegno che lo portano ad affermarsi con successo, in tv e in teatro.

Attualmente, sei impegnato con la rappresentazione teatrale “7 anni”, tratta dall’opera di José Cabeza e Julia Fontana. Quali sono le tue sensazioni?

“Lo spettacolo funziona. Piace molto al pubblico. È una storia semplice, con un meccanismo tipicamente teatrale, che è quello di quattro personaggi in una stanza. Devono sceglierne uno tra loro che si sacrifichi per gli altri. Dall’essere quattro amici, diventano quattro belve che devono essere o prede o predatori. Esce fuori l’istinto di sopravvivenza, bestiale, anche se umano. È un meccanismo che funziona. Il pubblico apprezza, anche un pubblico non teatrale. È una cosa interessante per chi è abituato al teatro classico. Ha molti uomini, tra i trenta e i cinquant’ anni che si sentono molto rappresentati. Sono dinamiche difficili di vite umane. Siamo contenti.”

 

Nella fiction, “Oltre la soglia”, interpreti il ruolo del Pm del Tribunale dei Minori, Piergiorgio Di Muro, un uomo di legge tutto d'un pezzo, che si occupa di ragazzi con problemi psichici. Che effetto ti ha fatto calarti nei panni di questo personaggio?

“La prima cosa che mi viene, pensando a un ragazzo con dei problemi mentali, non è quella di proteggerli. Il mio personaggio, da un lato, li protegge, dall’altro, cerca di proteggere le vittime. A volte, questi ragazzi commettono dei reati, quando c’è una malattia mentale, la finta malattia mentale. Ho dovuto distinguere fortemente quello che il personaggio da quello che sono io nella vita. È molto toccante, perché sono dinamiche e problemi di cui non si parla molto, per vergogna. Se uno ha un problema di salute, fisico, lo condivide con gli altri. Se, invece, sono di natura psicologica, vengono tenuti nascosti. Bisognerebbe parlarne di queste cose.”

 

Attore di teatro, di cinema e di televisione, ti sei formato professionalmente, seguendo il corso "Professione attore", presso il Bel Teatro di Padova. Sei stato affiancato da insegnanti del calibro di Giancarlo Sepe, Valerio Binasco, Geraldine Baron e Ran Arthur Braun. Com'è maturata questa tua passione?

“È stata una cosa strana. Da ragazzino, non mi piaceva. Avevo avuto una mera intenzione, intorno ai dodici, tredici anni, di fare un corso di teatro. Per vergogna o per altri motivi, non l’ho fatto. Poi, a ventitré anni, quando ero a Londra, mi è venuta questa idea di fare un corso di teatro. Quando ho cominciato a farlo, ho capito che era una cosa che mi piaceva molto fare. Mi divertiva calarmi in un personaggio lontano da me. Questa è la cosa più bella di questo mestiere. Pensare in modo diverso da come la penseresti tu. Conoscere delle storie che non sono le tue. In qualche modo, nasconderti dietro un personaggio, e cercare, all’interno di te, delle cose che possono risuonare. Ho sentito che era una cosa che mi piaceva fare. Sono arrivato a Roma che avevo quasi trent’anni. Non pensavo di poter fare quello che poi è capitato, per fortuna. È stata una passione.”

 

Tante le fiction a cui hai preso parte, "Un medico in famiglia", "Un posto tranquillo", "Una grande famiglia", " Il restauratore", "Braccialetti rossi", "Sorelle", "L'allieva". Che ricordi hai di queste esperienze?

“Ognuna è legata a un periodo della mia vita. La nostra vita è scandita da questi lavori, perché, quando cambi set, cambi personaggio e linguaggio. Ci sono epoche diverse legate alla storia. Cambiano i gruppi di persone con cui lavori, il cast, la troupe, la regia, così come i posti, perché, quando giri a Roma, ti può capitare di girare in altri luoghi. Ho tantissimi ricordi legati a queste serie, in particolare, a quelle che fai per molti anni. Sono molto difficili, perché fai due o tre stagioni, confondi un po' i periodi. Invece, quelle che durano di meno sono legate a degli anni, dei periodi della tua vita. Insomma, tanti ricordi.”

 

Nella tua carriera, sei stato diretto da grandi nomi della regia, come Ferzan Ozpetek e Marco Tullio Giordana. Com'è stato lavorare con loro?

“È stato sorprendente, perché, facendo riferimento alla varietà con cui abbiamo a che fare, loro sono due registi che lavorano in modo diverso e fanno dei capolavori. È stato affascinante, come sempre accade, quando incontri persone capaci, intelligenti. È un viaggio. Questi, al cinema, come con Cotroneo e Sollima, sono incontri che ti lasciano delle cose dentro. Da ognuna di queste, ho imparato delle cose. Quando ti capitano, sei fortunato. Mi considero tale.”

 

Nei vari lavori televisivi, sei stato affiancato da Lino Banfi, Stefania Sandrelli, Alessandro Gassmann, Gianni Cavina, Isabella Ferrari, Milena Vukotic, Giulio Scarpati. Che cosa hai provato recitare al loro fianco?

“Di solito, bene, perché, quando trovi dei bravi attori è molto facile lavorare. La recitazione è come giocare a tennis. Se tu hai di fronte uno che è bravo a giocare, di solito, giochi meglio. È più facile, perché non fai fatica. Da uno come Lino Banfi che improvvisa molto, impari, e ti lasci trasportare con lui. Con tutti questi attori, provi questo senso di facilità e di semplicità nel lavoro.”

 

A breve, ti vedremo protagonista su Rai1 nella fiction "I Medici", nel ruolo di Giacomo Spinelli, il nuovo avversario di Lorenzo il Magnifico. Com'è stato vestire i panni di questo personaggio?

“Devo fare una precisazione. Non è tra i protagonisti, perché il mio ruolo è di contorno. Mi ha fatto molto piacere farlo, perché avevo l’intenzione di lavorare in inglese. Quello mi piace fare è di trovare delle cose nuove. Il fatto di recitare in inglese è stato uno dei motivi per cui ho scelto di farlo. È sempre divertente quando lavori in riferimento a un’epoca particolare, perché devi prepararti, studiare, cercare di capire come si ragionava a quei tempi. C’è un grandissimo lavoro di scenografia, di costume. Vivi di più la magia del cinema.”

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