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Un giorno da mediatore culturale tra i richiedenti asilo dello sbarco della Geo Barents a Ravenna

L’appuntamento era alle ore 8.00 della mattina del 3 Gennaio 2024, davanti alla Cooperativa DiaLogos di Forlì, che è una realtà affermata nell’ambito della mediazione culturale e delle politiche di inclusione sociale e culturale attiva in Romagna dal 1997. 

di Fulvia Fabbri, Ravenna - Milad Jubran Basir

 

(Foto di https://www.regione.emilia-romagna.it)

Destinazione il Palà De Andrè di Ravenna, dove si sarebbero svolte le visite sanitarie dei richiedenti asilo salvati in mare dalla nave Geo Barents, gestita da Medici senza Frontiere, che dal 2021 ha realizzato 151 operazioni di salvataggio nell’area SAR del Mediterraneo, con oltre 100mila persone sottratte a una morte più che sicura.

Il 3 Gennaio 2024 la Geo Barents, attraccava al porto di Ravenna con 336 migranti da far scendere per le operazioni di accertamento sanitario, coordinate dalla Dott.ssa Tiziana Marzulli del Dipartimento Cure Primarie, Ausl della Romagna, sede di Ravenna, e di seguito per l’identificazione a cura della Questura di Ravenna e le attività di monitoraggio sociale a cura del Centro Stranieri e dei Servizi Sociali del Comune di Ravenna. Le visite sanitarie si sarebbero svolte in 5 Ambulatori allestiti dalle Cure Primarie e dalla Croce Rossa di Ravenna, con una area di triage che permetteva di identificare situazioni sanitarie critiche sfuggite ai medici a bordo della Geo Barents.

Il compito dei mediatori e mediatrici culturali della DiaLogos -un team di circa una decina di professionisti per la lingua e cultura araba, bengalese, pakistana, inglese, senegalese ed eritrea, coordinati dalla coordinatrice in ambito sanitario FulviaFabbri – era quello di supportare i medici e il personale sanitario della Ausl della Romagna nella relazione con i migranti, in modo che tutte le persone sbarcate avessero informazione sull’organizzazione complessiva e potessero dare le informazioni necessarie sul loro stato di salute, permettendo ai medici di decidere, in modo celere ma preciso, le misure sanitarie da intraprendere. Le prassi operative dei mediatori culturali, in connessione con quelle sanitarie, sono rodate da altri 7 sbarchi, avvenuti al Porto di Ravenna, identificato come “porto sicuro” dal Ministero dell’Interno da quando, il 31 Dicembre 2022 la Ocean Viking ha portato il primo centinaio di profughi. Da allora Ravenna ha accolto 734 migranti giunti con navi ONG.

I profughi di questo sbarco di gennaio 2024 sono arabi, nella maggioranza siriani, ma anche egiziani e palestinesi, bengalesi e pakistani, alcuni dal Sudan, Yemen, Senegal ed Eritrea, tutti passati dalla Libia, imbarcati in questo paese e salvati nell’area SAR ad alcune miglia dalla costa.

Arrivati al Pala De Andrè, noi mediatori culturali abbiamo preso posto nella nostra postazione all’ingresso, dove li avremmo accolti, subito dopo la foto segnaletica svolta dalla Questura.

Va detto che la forte e visibile presenza dei rappresentanti delle istituzioni, a partire dal Comune di Ravenna, dalla Questura e Prefettura, dalla Croce Rossa e Ausl della Romagna e dalla società civile in generale davano il senso e l’idea che ha il territorio si era mosso per garantire una efficace azione di accoglienza rivolta a questa povera gente.

Eccoli: accompagnati dai volontari della Croce Rossa, arrivano persone adulte e giovanissimi, stanchi, affamati e sopratutto terrorizzati da queste tante divise luccicanti e tanti tanti operatori. I primi ad arrivare sono i siriani, tra loro tanti giovanissimi, che al mio primo buongiorno in arabo reagiscono con un sorriso e un grande respiro, davanti a loro un parlante arabo e in più palestinese. Forte era l’emozione da parte loro, il messaggio tra di loro è “volato”, in pochi minuti tutti sapevano che c’era un palestinese tra gli operatori.

Ho iniziato, assieme ai miei colleghi/colleghe mediatori e mediatrici culturali -altri cinque di lingua araba- ad accompagnare ai controlli medici ed infermieristici questi giovani vestiti in modo leggero e non adeguato al periodo invernale. In un tragitto di pochi metri, dal’area di accoglienza all’area delle visite, mi facevano tante domande, cercando di capire se si trovavano in un campo per profughi oppure se quella era solo una tappa del loro viaggio in Italia. Una ragazzo, che ancora provava vertigini, mi chiedeva se eravamo ancora sull’acqua, perché sentiva il terreno muoversi sotto i suoi piedi. Era terra ferma finalmente? Si poteva avere internet per avvisare i parenti che finalmente si era in salvo? Un ragazzo ventenne, dopo i controlli medici, mi chiedeva se poteva avere un pezzo di pane perché da tre giorni che non mangiava e provava tanta fame. Dopo questa richiesta così semplice e incredibile, ho iniziato io a chiedere se volevano qualcosa e tutti quanti mi chiedevano del cibo perché si sentivano stanchi e affamati.

Partiti dalla costa libica, avevano impiegato sei giorni nell’attraversata che la nave Geo Barents era stata costretta ad effettuare dall’area marittima della SAR per tutto il mare adriatico, perché il Ministero dell’Interno aveva assegnato il porto di Ravenna, lontanissimo dalla zona di salvataggio, prolungando così la sofferenza di queste persone e le difficoltà a bordo nel gestire possibili casi di emergenza sanitaria: per fortuna le situazioni di emergenza sanitaria sono “scoppiate” solo durante le operazioni di sbarco, ma per alcuni il tracollo, se fosse avvenuto in mare, avrebbe avuto esiti ben diversi. Molti di loro hanno dichiarato di essere stati stati incarcerati in Libia, malmenati e picchiati pesantemente. Tra i 336 richiedenti asilo abbiamo mediato per 3 donne, una in stato interessante, per una quarantina di minori non accompagnati, per circa una ventina di nuclei familiari, tutti terrorizzati di perdersi in queste operazioni di sbarco, per i quali abbiamo avuto una attenzione particolare, perché questa evenienza non si verificasse. L’età media non superava i 25 anni. Abbiamo appreso che sono stati divisi tra Emilia Romagna (Bologna, Forlì, Cesena e Ravenna), Toscana e Lombardia, in misura eguale, e, alla fine del percorso, dopo essere stati rifocillati con un pranzo preparato dalle associazioni di volontari, tenendo presente le caratteristiche culturali e religiose, sono stati trasferiti nei luoghi scelti per loro dalla Prefettura di Ravenna.

In conclusione, mi permetto due considerazioni finali: prima di tutto dobbiamo sapere che le storie che abbiamo sentito raccontare da tutti questi migranti sono tutte caratterizzate da disperazione, situazioni precarie, vulnerabilità e rischio corso con questa loro “scelta” di lasciare la patria e mettersi in cammino alla ricerca di una vita migliore. Tanti come loro si mettono in cammino ma il loro viaggio si conclude tragicamente in mare o nelle rotte via terra verso un’Europa, Vecchio Continente, che, per effetto delle politiche protezioniste, oramai è divenuta una roccaforte irraggiungibile da questi disperati della terra.

La seconda considerazione è quella relativa all’accoglienza messa in atto nel territorio romagnolo, in tutta la sua articolazione, dal Comune fino alla Prefettura e alla Ausl, passando per la società civile e i singoli operatori. Nello svolgimento della mia funzione come mediatore culturale ho riscontrato in modo concreto e tangibile l’aspetto professionale e umano di tanti operatori, aspetto che sempre va oltre il “normale” lavoro.

Nel tardo pomeriggio abbiamo terminato il nostro intervento, portando a casa quel pizzico di speranza per una società migliore basata sulla solidarietà, l’accoglienza e la pace: certi momenti rimangono nella nostra mente e certi volti non si scordano, ma anche certi loro sorrisi rappresentano per noi uno stimolo a continuare su questa strada, perché semplicemente è la strada giusta.

 

Milad Jubran Basir, Giornalista italo palestinese

Fulvia Fabbri, coordinatrice Cooperativa sociale DiaLogos, Forlì

Questo articolo è stato pubblicato qui

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