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Twitter e la Cina

Twitter e la Cina

Una ricerca sui Twitter user cinesi è stata pubblicata da Kenengba sul suo blog.
Non se ne conosce l’attendibilità, è comunque plausibile.
Non mi dilungo a illustrarla, è stata ripresa da Globalvoices e i risultati più interessanti sono disponibili in inglese.

Una premessa.
Twitter è parzialmente bloccato in Cina, ma secondo Evan Williams – amministratore delegato e cofondatore del social network – ha un vantaggio nell’aggirare la censura in quanto si avvale di piattaforme e media diversi, tra cui le applicazioni per mobile e i siti che diffondono “geometricamente” i tweets su altri siti (syndicating sites). Insomma, scappa da tutte le parti.

Esistono poi altre forme di microblogging, cloni cinesi di Twitter, per un mercato del web sociale decisamente propulsivo in Cina. Secondo uno studio della Netpop Research di San Francisco, più del 90% degli utilizzatori cinesi di broadband frequenta qualche social network, in confronto a un 76% di statunitensi.
E’ un fenomeno nato sull’onda lunga di chat e instant messaging, quell’”online guanxi” che si sposa benissimo con la tradizione della rete relazionale, o famiglia estesa, cinese.

Ma torniamo alla ricerca sugli utenti di Twitter.

Commentando i risultati, mi colpisce il fatto che su venti risposte alla domanda “perché ti prendi la briga (e i rischi) di accedere a Twitter“, almeno sette abbiano a che fare con l’esigenza di accedere a un’informazione “libera”.

Sono risposte che rivelano sia un bisogno sia una consapevolezza.

Il punto è che i giovani cinesi – i Twitter user sono in maggioranza compresi tra i 21 e i 29 anninon si fidano dei media ufficiali. Ma è probabile che non si fidino neanche di quelli occidentali.

Insomma, è proprio l’idea di media unidirezionale – l’informazione che cala dall’alto – a essere parecchio svalutata.

In questo, non c’è niente di molto diverso dai giovani europei o nordamericani. Tuttavia la consapevolezza di non avere un’informazione “libera” (e sul grado di libertà dei nostri, di media, potremmo discutere per secoli) mi pare che dia un valore aggiunto ai Twitter user cinesi: l’assenza crea il desiderio, alla Spinoza, sono proprio i divieti che suscitano la voglia di infrangerli e l’interesse ad approfondire le informazioni.

Ma anche altre risposte più neutre, a mio avviso, sono significative. “Prendersi la briga” di aggirare i blocchi per scambiarsi tweet con una ragazza rivela una disinvoltura che stride con l’immagine che si va spacciando qui in Occidente: quella di un popolo prigioniero del Grande Firewall (jÄ«ndùn gÅ ngchéng – é??ç?¾å·¥ç¨?).
Il muro non si abbatte, si aggira, è pratica quotidiana. In realtà mi pare anche molto cinese.

Bene così? Non proprio, perché la localizzazione geografica, il livello scolastico e la stessa tipologia di studi o di lavoro dei Twitter user cinesi ci lasciano intravedere una società duale in cui una componente colta, tecnologica e metropolitana si apre al mondo e accumula informazioni.
Twitter cambia loro la vita.

Il resto o non è pervenuto, o frequenta i social network cinesi, spesso debitamente ripuliti all’origine dagli stessi creatori-amministratori, che vogliono fare business o svagarsi senza rischiare grane.

Twitter veicola ideologia americana? Può darsi, il dibattito è aperto.
Mail fatto che in Cina un’elite tecnocratica vi possa accedere e gli altri no, stride comunque con la “società armoniosa” che persegue il governo.
Meno informazioni significa meno opportunità di reddito futuro.
Potremmo allora dire che i Grandi Firewall si aggirano, sì, ma acuiscono la divisione sociale.

Più che di “meno libertà“, parlerei di “meno opportunità".

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