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Tutti soldatini obbedienti sotto la bandiera della globalizzazione

Tutti soldatini obbedienti sotto la bandiera della globalizzazione

I meno giovani ricordano la moda cinese ai tempi di Mao Tse Tung: per necessità economiche la produzione e quindi lo stile era limitato ad una sola giacca verde militare, buona per l’estate e l’inverno, per la festa ed il lavoro. Milioni di persone tutte uguali, segno visibile di un’eguaglianza anche ideologica imposta dal partito-stato.

Per ironia della sorte, o per strategia ben congegnata?, nel libero occidente democratico da trent’anni a questa parte è in atto un processo di omologazione all’ideologia dominante che si rifà - altra ironia - al pensierio liberista. Tutti i paesi industrializzati sono dotati di centrali nucleari ergo, afferma Chicco Testa, tutti sono cretini e solo noi italiani siamo intelligenti a rifiutare ancora le centrali atomiche? Un po’ lo stesso ragionamento che fa il ministro dell’economia, Giulio Tremonti, che si rallegra perché se noi andiamo male, neanche gli altri paesi vanno bene. Non a caso entrambi provengono dalla scuola socialista per la quale, se tutti erano ladri ai tempi di Bettino, nessuno era ladro.

Da quando, nel 1981, gli economisti americani lanciarono la guerra al grido di "Globalizzazione!" tutti anche nel vecchio continente si sono inchinati a novanta gradi, in adorazione del nuovo idolo. Dal femminista "privato è bello" siamo passati immediatamente al nuovo ordine del "grande è bello": imprese multinazionali, transnazionali, globali, holding internazionali hanno soppiantato le vecchie economie e chi non non si è adeguato è stato relegato in un angolo, come un pezzo vintage guardato con nostalgia e compassione. Salvo, una volta guadagnato con gli accorpamenti e gli acquisti, smembrare le grandi Companies per rivenderle sul mercato nello stile Pretty woman.

Fuori dal coro sono rimasti pochi idealisti o illusi o utopisti o neo-estremisti, come il nobel Muhammad Yunus, l’economista indiana Vandana Shiva, papa Benedetto XVI o i movimenti no-global di diversi paesi.

Vero è che la globalizzazione un merito indiscutibile ce l’ha, ed è quello di aver portato attraverso il 2.0 la conoscenza e l’informazione negli angoli più remoti della terra, rendendo vana ogni forma di sopraffazione umana attraverso l’ignoranza dei fatti.

Sull’altro piatto della bilancia pesano però tutte le contraddizioni del liberismo, tentando - per esempio - di imporre con la forza delle armi il modello "democratico" bushiano a paesi lontani anni luce dai nostri sistemi parlamentari.

Al centro c’è una domanda di base: perché o per chi è cosa buona e giusta la globalizzazione? La risposta l’ha data il professore Marcello De Cecco della Normale di Pisa, ospite da Gad Lerner nel suo Infedele: "Vogliono che diventiamo tutti dei lavoratori dipendenti". Ecco il nocciolo della questione.

Via le micro, le piccole e le medie imprese (pensiamo ai centri commerciali che hanno svuotato i centri storici delle città da botteghe e negozi), tutti a lavorare sotto padrone. Ovviamente non più con il posto "sicuro", come si diceva una volta, ma solo con lavori precari e sottopagati. Tutti a busta paga da dove è facile prelevare subito ed in maniera sicura tasse ed imposte previdenziali, mentre a pochissimi furbi è dato superguadagnare, spesso in maniera disonesta, sempre sulla pelle della stragrande maggioranza dei cittadini. E’ la nuova dittatura del XXI secolo, imposta non con le obsolete armi, ma con i giochetti dell’alta finanza.

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