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Turchia, taglia sul ’golpista’ Dahlan

Criminale in lista rossa. Così il quotidiano turco Daily Sabah indica l’ex responsabile della sicurezza di Fatah il palestinese Mohammad Dahlan. Il politico, espulso dal partito sin dal 2011 con l’accusa d’aver provocato la morte di Arafat, ebbe un braccio di ferro col leader dell’Autorità Nazionale Palestinese Mohamoud Abbas, contro il quale avrebbe tramato. 

Da quel momento ha scelto l’esilio volontario negli Emirati Arabi Uniti, anche per non incorrere nelle sanzioni dell’ANP. Ora la politica turca, nella persona del ministro degli Interni Soylu (e certamente nell’onnipresente presidente Erdoğan, ispiratore d’ogni mossa di Ankara) l’addita come uno dei punti di riferimento del movimento gülenista Fetö per il tentato golpe del 2016. Nella fattispecie Dahlan avrebbe trasferito fondi a quel gruppo. Inoltre, secondo l’agenzia d’Intelligence Mıt il palestinese sarebbe stato anche l’anello di connessione d’una rete di spie emiratine in Turchia, per attuare un piano d’Israele volto a destabilizzare Turchia, Iran e Qatar. Il ministro Soylu stabilisce il prezzo del “wanted” per Dahlan in 4 milioni di lire turche, circa 700.000 dollari. In realtà l’accusa da para golpista Dahlan l’aveva già ricevuta anni addietro, indicato come uno dei consiglieri stranieri di Al Sisi per quello che nel 2013 fu il “disarcionamento legale” del presidente egiziano Morsi.

Certo, si tratta di dietrologie mai provate, però frequenti nella vita di Dahlan definito dai detrattori ‘sicario’ per le torture fatte infliggere dai suoi uomini sui militanti di Hamas imprigionati e per alcune sparizioni di avversari interni. S’è fatto il suo nome perfino per il macabro omicidio del giornalista Khashoggi, avvenuto a Istanbul, dove appunto agirebbe una rete della Sicurezza delle due più fosche petromonarchie. (Arabia Saudita ed Emirati Arabi). Simili coinvolgimenti assumono contorni da spy story che, nei mesi immediatamente successivi al tentato golpe, ha fatto registrare sul territorio turco episodi inquietanti e misteriosi: dall’assassinio dell’ambasciatore russo nel dicembre 2016, all’attentato di Capodanno al Club Reina. Una sequenza che può avere più regie e vedere Dahlan nel ruolo di ennesimo nemico della nazione da agitare per confermare l’estensione ad libitum della linea securitaria di Erdoğan. Di fatto Ankara, per inseguire avversari reali o presunti, lancia da mesi taglie milionarie da far riscuotere a chiunque aiuti le Forze dell’Ordine a colpire il terrorismo diffuso. Ma più dell’imprendibile volpone Dahlan, l’obiettivo resta quello di oppositori interni, kurdi e non, oltre ovviamente a giornalisti e intellettuali. Il caso Altan è eclatante, l’ultimo verso cui la Turchia attua la linea dello ‘stop end go’ carcerario, proprio come fa Sisi che di pratica repressiva se ne intende. Con o senza l’aiuto di mister Dahlan.

Enrico Campofreda, 23 novembre 2019

articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it

 

 

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