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Turchia, la volata presidenziale guarda al passato

Erdoğan incassa il sostegno elettorale di Oğan per il ballottaggio e quest’ultimo può ricevere in cambio il controllo di un ministero creato su misura che s’occuperà dell’emergenza terremoto.

 Ufficialmente fra i due non c’è nessun accordo, il presidente uscente l’ha ribadito in un’intervista televisiva, ma il suo staff nei giorni scorsi ha incontrato il terzo candidato presente al primo turno delle presidenziali. Ancor più l’aveva contattato Kiliçdaroğlu, due le riunioni avvenute a risultati confermati, perché i 2.7 milioni di voti raccolti da Oğan corrispondono al distacco fra gli elettori del leader del Chp e di quello dell’Akp. Dunque fanno gola. Ma l’ultranazionalista, al di là di sottolineare posizioni ideologiche di stampo xenofobo contro la presenza di stranieri sul suolo turco - un tema che ha prodotto una sterzata anti rifugiati siriani da parte di entrambi i candidati ora in lizza per la presidenza - sembra badare al sodo. S’offre a chi può fornire contropartite. E’ uscito dalla prima contesa, non dalla politica futura e cerca spazio fra un elettorato da consolidare gestendo qualcosa di prezioso. Il capitolo post terremoto è foriero di potere e affari. Erdoğan ha impostato un pezzo di campagna elettorale promettendo rapidi alloggi per gli sfollati, una volta incassati i voti, com’è accaduto alle politiche e al primo turno delle presidenziali, col suddetto ministero passa la mano a un altro soggetto che potrà diventare il parafulmine per eventuali mancanze e cattive gestioni. Ovviamente si tratta d’illazioni, bisognerà vedere quale diventerà il percorso dell’ipotetico ministero. Per ora il presidente uscente ha affermato che una struttura istituzionale da affiancare all’operato dell’Afad (l’agenzia d’intervento sulle calamità) può tornare utile. E restando sul tema ha ricordato come il governo è impegnato a fornire alloggi, per ora di fortuna, a un milione di sfollati e circa mezzo milione di borse di studio per gli studenti delle province terremotate. 

Nei giorni scorsi diversi grandi media mondiali - fra cui l’immancabile Al Jazeera sempre attenta a questioni mediorientali - hanno ricordato la sperequazione nell’informazione turca fra i candidati in corsa per il ballottaggio. Erdoğan riscontra una presenza più che doppia rispetto a Kiliçdaroğlu, il quale pur contando su un canale televisivo di sostegno della politica kemalista e qualche quotidiano storico come Cumhuriyet, si trova schiacciato da una comunicazione palesemente pro governativa. Non è storia nuova. La repressione seguita al tentativo golpista del 2016 ha visto la chiusura di diverse testate d’opposizione, liberali, di sinistra e quelle gestite dalla confraternita gülenista Hizmet, con l’espulsione da molti canali televisivi di giornalisti accusati di collusione coi golpisti. Di recente uno degli Osservatori che s’occupa della libertà di espressione ha declassato la Turchia dal 100 al 165 posto della graduatoria internazionale che monitora il sistema dei media. Eppure le ultime lamentele dell’opposizione repubblicana sulla vicenda sembrano un alibi. Fino alla vigilia del voto il cosiddetto ‘Tavolo dei sei’ pensava di scalzare Erdoğan nonostante la propria limitata presenza nelle tivù, ciò che non ha funzionato va oltre lo svantaggio mediatico. Nell’ultima settimana la spinta elettorale pro Kiliçdaroğlu sembra molto affievolita, fra gli stessi alleati la fiducia appare offuscata perché una stessa ipotetica presidenza repubblicana non potrebbe attuare la tanto ambita riforma anti presidenzialista (mancano i numeri nel Meclis) e si troverebbe a fare i conti con una maggioranza parlamentare sfavorevole. Nella volata finale per domenica trova spazio il progetto del ‘nuovo secolo della Turchia’, che parlando alle genti turca, circassa e albanese, bosniaca, turkmena, uzbeka, uigura (ma non ai kurdi) prospetta un benessere patrio d’impianto ottomano. Non manca il tema della sicurezza con cui in queste ore viene presentato un nuovo sistema di difesa aerea, detto Siper, che affiancherà gli S-400 forniti dalla Russia. La propaganda armata del presidente uscente non perde un colpo, anche perché una maggioranza ben più ampia del suo elettorato apprezza.

Enrico Campofreda

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