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Turchia, Helin Bodek il canto della morte

Helin Bodek ha scelto di morire nei giorni della morte. Ma il suo decesso non è segnato dalla pandemia che sta flagellando il mondo. Helin, cantante e attivista turca, era da quasi dieci mesi in sciopero della fame contro il regime dell’Akp. 

Altri componenti del ‘Grup Yorum’, una band musicale con trentacinque anni di presenza sulle scene nazionali a sostegno delle lotte popolari ed etniche, stanno tuttora praticando questo estremo gesto di ribellione. Il gruppo unisce echi della tradizione anatolica alle proteste che la vita in quell’area propone, soprattutto per gli attriti fra le minoranze etniche (kurda, araba, circassa) e il potere centrale. Negli ultimi anni questo potere s’incarna nel personalismo autoritario di Recep Tayyip Erdoğan. Già nel 2015 alcuni concerti del gruppo erano stati vietati. Il suo punto di riferimento, un centro culturale nella metropoli di Istanbul, è stato perseguitato dalle forze dell’ordine con perquisizioni, intrusioni, danneggiamenti. Durante ogni azione repressiva si verificavano distruzioni, fermi e arresti. Il complesso musicale viveva lo stesso clima subìto dalle redazioni di quotidiani, riviste, emittenti radiofoniche o singoli giornalisti, scrittori, editori, artisti: blocco dell’attività, censura, incriminazioni di vario genere per attentato alla sicurezza nazionale. Per Helin Bodek e Ibrahim Gokcek l’accusa era diventata ossessiva e hanno optato per la clamorosa protesta. Il chitarrista la sta proseguendo, deciso a morire anche lui, come lei. Disprezzo per la vita? Diremmo disprezzo per certe vite da parte del governo, del presidente che non hanno mostrato un minimo di attenzione a chi con disperazione e determinazione gridava il desiderio di esprimersi, cantare dare voce ai bisogni delle minoranze, ai sogni delle persone. Verso quella protesta estrema e pericolosa si è risposto con la disattenzione, il silenzio, l’indifferenza. Cui s’uniscono il conformismo e la paura della maggioranza dei turchi soggiogati al sultano-padrone, il dominus che decide per tutti. Proprio in questi giorni il Parlamento sta discutendo sull’attuazione di una grande amnistia per alleggerire le carceri turche da un sovrappopolamento in tempo di coronavirus. Se non saranno 90.000 i detenuti rimessi in libertà, ci andranno vicino. Ma la perfidia del potere bloccherà in cella oppositori e liberi pensatori. Certi nomi invisi a Erdoğan come lo scrittore Altan, arrestato, liberato e riarrestato per reati d’opinione, resteranno rinchiusi. Così il co-presidente del Partito democratico del popolo, il kurdo Demirtaş, incarcerato dal novembre 2016 con l’accusa di terrorismo, che nell’epidemia in atto è un elemento a rischio perché afflitto da problemi cardiaci.

Enrico Campofreda, 4 aprile 2020

articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it

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