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Tunisia: un bilancio negativo ad un anno dalle prime elezioni democratiche

23 ottobre 2011: la Tunisia andava al voto: per la prima volta, dall’indipendenza, il popolo esercitava liberamente la propria volontà attraverso le urne. Con grande gioia e con uno straordinario senso di disciplina, fieri della libertà riconquistata, i tunisini attesero per ore ai seggi in una bellissima e indimenticabile giornata di sole. Le foto di donne e uomini sorridenti che mettevano in bella mostra il loro dito tinto di inchiostro fecero il giro del mondo.

23 ottobre 2012: in una Tunisi blindata da polizia, invasa da figuri in passamontagna nero e fucile in mano e con truppe dell’esercito dislocate nei vari punti sensibili (ambasciate, ministeri e…supermercati), il governo provvisorio formato dalla coalizione fra il partito islamico Ennahdha e altri due partiti di centro-sinistra, il Congrés pour la République e Ettakatol, celebra un po’ in sordina, suo malgrado, l’anniversario, di fronte alla seduta plenaria dell’Assemblea Nazionale Costituente. Quest’ultima, lungi dall’aver terminato l’elaborazione della nuova costituzione, è assediata dall’esterno da due gruppi contrapposti di manifestanti (solo alcune centinaia, in verità): da un lato “la Ligue pour la protection de la révolution” (vicini a Ennahdha) e dall’altro membri di associazioni laiche e semplici cittadini della borghesia “illuminata”. I primi, chiamati in piazza dal capo del partito islamico Rached Gannouchi, rivendicano la legalità dei loro comitati (che a ben guardare, non avrebbero più ragione di essere, essendo operative istituzioni elette democraticamente) e sostengono la legittimità del governo. Legittimità che invece viene contestata dal gruppo che fronteggia a colpi di insulti i partigiani del governo, in quanto tutti i partiti in lizza per le elezioni nel 2011 (ad esclusione del Congrés pour la République) avevano firmato un accordo per stabilire il limite di un anno per la redazione della Costituzione.

All’Avenue Bourghiba, cuore pulsante della capitale, nel frattempo gruppi di giovani tentavano di manifestare anch’essi contro l’inanità del governo e le sue promesse non mantenute. Ma stuoli di poliziotti sbarravano il passaggio a chiunque. Persino la gradinata del Teatro Municipale (uno dei simboli della rivoluzione) veniva sgomberata da agenti in borghese. Nessuna violenza, ma certamente una rivisitazione in chiave nadhaoui dei metodi di Ben Alì.

Da tempo, specialmente nei social network, giravano appelli apocalittici per il 23 ottobre che, nelle intenzioni di alcuni, doveva essere la giornata del grande “Dègage” al governo. Sembrava che masse di oppositori dovessero dare l’assalto alla Kasbah e farla finita una volta per sempre con un governo che per la verità era già alquanto discreditato. Nessuno però era in grado di proporre un’alternativa costruttiva e credibile. Da parte sua, Ennahdha incitava i suoi a difendere la rivoluzione (a cui non ha contribuito) dai suoi “nemici” e il sempre famigerato Ministero degli Interni predisponeva un imponente e funzionale apparato securitario.

L’opposizione istituzionale e il nuovo partito Nidaa Tounes (d’ispirazione neo-bourghibista e liberista, fondato qualche mese fa dall’ex primo ministro Beji Caid Essebsi) hanno preferito sfilare il giorno prima per timore di scontri violenti. Lo hanno fatto anche per protestare contro la violenza politica che per la prima volta ha fatto un morto nella città di Tataouine: Il coordinatore regionale del partito Nidaa Tounes Lotfi Naguedh, ucciso durante gli scontri con membri della Ligue pour la protection de la révolution. Anche il Fronte popolare (nato recentissimamente dall’alleanza fra partiti della sinistra marxista e nazionalisti arabi) ha sfilato, ma con una manifestazione separata.

A questa drammatica contrapposizione di posizioni, si è giunti a causa della non volontà di dialogo fra le due parti, nonostante il recente tentativo da parte dello storico sindacato dell’UGTT di porre intorno ad un tavolo i tutti i partiti per cercare di trovar un consenso per proseguire la transizione nella fase post 23 ottobre. Tentativo fallito per ripicche e dispetti reciproci delle parti in causa, ma soprattutto perché non ha coinvolto i veri protagonisti delle rivendicazioni sociali ed economiche del paese. E a ciò si aggiunga il fatto che, nonostante la tanto sbandierata “democraticità” del partito Ennahdha, quest’ultimo non abbia rinunciato a tentare di iscrivere nella costituzione la Chaaria, a ridimensionare il ruolo della donna nella società, a controllare i media, ad utilizzare l’indubbia sensibilità religiosa della popolazione contro i cosiddetti “miscredenti”, mantenendo rapporti più che ambigui con le frange salafite violente. E i partiti non confessionali dell’alleanza governativa, il CPR e Ettakatol che dovevano rappresentare l’argine alle pretese egemoniche di Ennahdha, non si sono in alcun modo dimostrati all’altezza del compito, appiattendosi completamente sulle posizioni del partito islamico, per banale attaccamento al potere.

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Tunisi 23 ottobre 2011

Ennahdha ha giocato però in modo intelligente con le opposizioni, facendole cadere nella trappola del discorso identitario e religioso. Da oltre un anno infatti il dibattito politico, all’interno e all’esterno della Tunisia, si è ormai cristallizzato in maniera preponderante sugli attentati al sacro e sull’identità arabo-musulmana del popolo tunisino, sviando totalmente l’attenzione dai problemi reali del paese. Una grande responsabilità di ciò ricade anche sui partiti dell’opposizione che, anch’essi staccati dai bisogni dei diseredati e delle fasce emarginate del popolo, sono caduti nel facile tranello di Ennahdha, estremizzando una situazione che poteva più saggiamente trovare un equilibrio. Partiti anche di sinistra che avrebbero facilmente trovato ben altri argomenti per portare avanti battaglie più utili per il paese perché è indubbio che l’attuale governo non ha neppure cominciato ad affrontare la situazione economica gravissima caratterizzata da una inflazione al 5,6% e da una crescita negativa. Il programma economico di Ennahdha, redatto da 140 esperti, ha apportato soltanto lievi cambiamenti rispetto a quello presentato dal governo di Caid Essesbsi, eredità a sua volta dei progetti di Ben Alì. Ed ha lasciato intatte le disparità fra le regioni ricche della fascia costiera e quelle povere dell’interno e di parte del Sud. Perché non portare alla ribalta queste problematiche, ponendosi a fianco delle lotte che ormai da mesi sono riprese a Sidi Bouzid, a Gafsa, a Gabes?

Vi è tutta una parte della popolazione che sta lottando senza l’appoggio di nessun partito contro la disoccupazione dei giovani, contro i concorsi per l’accesso ai posti di lavoro nell’azienda statale mineraria, truccati come sotto Ben Alì, con sit in e scioperi della fame a cui il governo sa solo rispondere con la repressione e l’arresto dei manifestanti, definendo “immorali” le rivolte. Vi sono i giovani feriti durante la rivoluzione che, abbandonati a se stessi, spesso vedono aggravarsi le loro condizioni e di cui nessuno vuole più parlare, media e partiti dell’opposizione compresi. Eppure mettersi dalla loro parte, difenderne il diritto alla salute, il loro diritto ad una giustizia indipendente che avvii processi equi che condannino i colpevoli della repressione, dovrebbe essere la cosa più naturale per una opposizione degna di questo nome.

Opposizione che appare dunque del tutto dedita a perpetuare lo scontro frontale con il governo in maniera ottusa, priva di un linguaggio che la metta in grado di comunicare con le classi popolari, e anche di memoria storica, dato che è arrivata a raccogliere firme per lo scioglimento del partito Ennahdha (do you remember Algeria?), invece di porsi come credibile alternativa a fianco delle lotte e delle rivendicazioni popolari. Che continuano in tutto il paese, a dispetto del silenzio stampa che le circonda, portate avanti da chi è già sceso in piazza contro la dittatura dell’RCD e che ancora ad oggi non ha rappresentanza all’interno dell’Assemblea Costituente.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.242) 26 ottobre 2012 16:09

    Il nuovo risorgimento, così definito imprudentemente ( si può anche scrivere senza r impudentemente), è costato migliaia di vite umane, miliardi di euro spesi in bombe, dispersione di uranio impoverito e impoverimento di persone e di cervelli. Gli americani si sono vendicati su Gheddafi e così inglesi e francesi che erano stati scacciati con orgoglio nazionale dallo "scatolone di sabbia" ricca di petrolio, che si erano accaparrato dopo avere liberato i libici dall’Italia fascista che con Ardito Desio aveva scoperto. L’Italia accoglie i rifugiati politici che fuggono dal Nordafrica del risorgimento, ove Al Qaeda sta trovando fertile terreno per le sue esercitazioni. Molti profughi, non si contano quanti, sciolgono le loro anime nelle acque del Mediterraneo che non è più nostro se non per raccogliere i corpi privi di anima ormai. L’Egitto ribolle. I morti non si contano più, è finito il tempo delle belle parole di chi un tempo lontano salutava con parole "nobili" i carri armati sovietici che schiacciavano gli operai imperialisti ungheresi e, solo un anno fa, i bombardamenti intelligenti voluti da Sarkozi e Obama, premio Nobel della Pace. Questa è un’attualità senza memoria! Bruno Tomasich

  • Di pint74 (---.---.---.127) 26 ottobre 2012 18:46
    pint74

    Cambiare tutto per non cambiare nulla...
    Dai l’illusione al popolo di avere libertà e democrazia e lo avrai tranquillo tranquillo,anche se ,in realtà,siamo sempre sfruttati e se osiamo reclamare siamo zittiti ,denunciati o ,se non ci pieghiamo,pestati ben bene dai protettori del governo,che sia esercito o altro...

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