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Tunisi: ragazza stuprata dalla polizia e poi denunciata per oltraggio al pudore

Un gruppo di circa 200 persone, il 2 ottobre, si è riunito davanti al tribunale di Tunisi per manifestare la propria solidarietà ad una ragazza violentata da alcuni poliziotti e poi accusata di oltraggio al pudore.

La vicenda risale ai primi di settembre quando la ragazza, dopo essere stata a cena con il proprio fidanzato, si sarebbe appartata nei pressi del quartiere Aïn Zaghouan di Tunisi. Alcuni poliziotti in borghese hanno notato l’accaduto e fermato i due ragazzi accusandoli di atteggiamento indecente. La “prassi”, in questi casi, prevede che tutto si risolva con una somma di danaro sotto banco. Gli agenti però non si sono accontentati dei 40 dinari che il ragazzo aveva in tasca, tanto che uno di loro si è “offerto” di accompagnarlo al più vicino bancomat per prelevare i 300 dinari, circa 150 euro, necessari per chiudere la questione.

La ragazza, 27 anni, laureata in scienze politiche e con un master in management, al momento del fermo si era dichiarata innocente, sostenendo di essere vergine e disposta a sottoporsi a test clinici per confermarlo. I due agenti hanno allora fatto salire la giovane donna sulla loro auto e hanno abusato di lei in un luogo isolato.

Dopo le violenze, i due poliziotti sono tornati a riprendere il collega impegnato nell’infruttuosa ricerca di un bancomat insieme al fidanzato della vittima. Il ragazzo, accortosi dell’accaduto, ha afferrato una bomboletta di gas immobilizzante, strappandola ad uno degli agenti, e ha iniziato a chiamare aiuto ottenendo il rilascio in cambio dello spray. I sanitari hanno visitato e accertato la violenza solo nel pomeriggio del giorno successivo.

Subito la vittima denuncia l'accaduto all’autorità giudiziaria e arrivano le manette per i tre valorosi agenti con l’accusa di estorsione e stupro, ma il paradosso vuole che nel frattempo sia partito il processo contro la ragazza colpevole di “atteggiamento indecente”, accusa confermata dal tribunale durante la seconda udienza. Il codice penale tunisino, infatti all’articolo 226 prevede il reato di “offesa pubblica al pudore”, retaggio della vecchia dittatura. In realtà è una norma di comodo per trasformare la vittima in carnefice, scoraggiando così molte denunce.

Ahlem Belhadj, avvocato della ragazza, ha fatto sapere che la sua assistita è in una condizione psicologica “molto fragile” ma ha deciso di combattere per vedere puniti gli aggressori: "E' una vicenda che getta vergogna sulla Tunisia. Nella nostra cultura, persino la legge, tende a colpevolizzare le vittime di stupro".

Quest’estate la popolazione femminile tunisina aveva ottenuto una grande vittoria, facendo sostituire nella nuova bozza di Costituzione, all’art 28, la parola “complementarietà”, riferita alla posizione della donna rispetto all’uomo, con “uguaglianza di genere”. La situazione delle donne in Tunisia è complessa e in molti casi ancora drammatica, basti pensare che circa il 30% delle donne afferma di aver subito violenze.

Tutto questo scatena l’ira dei manifestanti che negli slogan non hanno risparmiato nessuno, scagliandosi sia contro le forze dell’ordine e soprattutto contro il potere giurisdizionale, da “Voler, Voiler, Violer” (in italiano Rubare, Velare, Violentare) a “Nel mio paese la polizia mi violenta e la giustizia mi accusa”.

Molte proteste anche per le condanne tardive e troppo prudenti arrivate dal mondo della politica. Sihem Badi ministra delle Donne e della Famiglia ha sottolineato come la denuncia da parte della ragazza sia un segno di progresso, in passato la cosa sarebbe stata impossibile. Grande indignazione, invece, per la deputata di sinistra Karima Souid, membro del Nuovo Costituente, in un discorso si è dissociata dalle leggi e dai politici concludendo il suo intervento con l’espressione “je vous vomis” che in italiano potremmo tradurre con “mi fate vomitare”. 

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