Trump contro la riforma fiscale di Trump
Trump promette di eliminare (ma scadrà comunque tra due anni) il tetto alle deduzioni di tasse locali dalle imposte federali, da lui introdotto. E altre misure che renderebbero il sistema fiscale distorsivo.
Durante la sua presidenza, Donald Trump ha ridotto le aliquote d’imposta finanziando in parte l’operazione mediante una serie di semplificazioni e ampliamenti della base imponibile. Che poi è quello che andrebbe fatto per ottenere un sistema fiscale meno inefficiente e distorsivo. Capita ora che, per contrastare Kamala Harris in una campagna elettorale divenuta improvvisamente difficile, The Donald si lanci all’inseguimento della candidata Dem con una serie di promesse fiscali da paese sudamericano, criticamente illustrate dal Wall Street Journal in un articolo dell’Editorial Board, quindi rappresentativo della linea del giornale.
Un SALT nel deficit
Ad esempio, la settimana scorsa, durante un comizio a Long Island (New York), Trump ha promesso di eliminare una delle sue principali misure fiscali, il tetto alla deduzione dalle imposte federali di quelle statali e locali (SALT, State and Local Taxes), oggi pari a 10.000 dollari, che in precedenza consentiva ai contribuenti degli stati ad alta pressione fiscale, che sono tipicamente Democratici, di ottenere corposi risparmi sulle tasse.
La deduzione consentiva a stati come quello di New York (e di altri a guida quasi sempre Democratica) di aumentare le tasse attenuando l’impatto sulle tasche dei propri contribuenti più agiati, che potevano azzerare l’aliquota statale dell’imposta sul reddito, pari al 10,9 per cento, e le pesanti tasse sugli immobili, compensandole con le tasse federali. I principali beneficiari del SALT risultavano i contribuenti a maggior reddito, ma anche i politici e i sindacati degli stati ad elevata pressione fiscale, che potevano alimentare il tassa e spendi senza particolari problemi di consenso. Il tutto a carico dell’erario federale, in una sorta di “perequazione” (come diremmo noi italiani) fortemente regressiva.
La riforma fiscale di Trump, quindi, ha avuto nel tetto alla deduzione SALT una delle misure più interessanti e autenticamente federaliste. Tale tetto è servito per finanziare in parte una maggiore deduzione standard e minori aliquote nominali dell’imposta federale personale sul reddito, beneficiando quindi tutti i contribuenti statunitensi.
Prima della riforma, nel 2016, i contribuenti di New York, New Jersey, Connecticut e California hanno complessivamente richiesto oltre il 40 per cento del totale delle deduzioni, quasi quattro volte di più rispetto a quelli di Arizona, Georgia, Nevada, Wisconsin, Pennsylvania e Michigan. In questi ultimi stati, tuttavia il tetto alla deduzione SALT ha colpito pochissimi contribuenti proprio perché la riforma ha raddoppiato la deduzione standard, portandola a 29.200 dollari per le coppie.
Ma attenzione: la riforma fiscale Trump del 2017 ha scadenza decennale. Pertanto il tetto alla deduzione SALT scadrà a fine 2026, ripristinando la piena deducibilità delle tasse locali dall’imponibile ai fini di tassazione federale, e con essa un buco di gettito federale stimato in 1.200 miliardi di dollari in un decennio. Importo che equivale alla somma del gettito dell’aliquota marginale massima al 37 per cento, della deduzione standard del 20 per cento per le piccole e medie imprese e delle più elevate esenzioni per successioni e donazioni. Qui trovate una sintesi delle misure del TCJA (Tax Cuts and Jobs Act) di Trump.
Quindi, Trump dovrà trovare le coperture per non fare scadere tutto il TCJA, ma già ora sta promettendo di eliminare un anno prima del tempo una misura che egli stesso ha introdotto. Il tutto nell’improbabile tentativo di prendere voti in roccaforti Dem come New York e in generale le coste. Ma per lui le coperture non sembrano essere un problema, visto che è convinto di poter fare gettito ad libitum con i dazi. E temo lo creda davvero, non è cinismo politico elettorale.
Esenzioni fiscali per tutti
Ma il percorso elettorale di matrice sudamericana di Trump non finisce qui. La settimana scorsa si è inventato niente meno che un’esenzione fiscale totale sugli straordinari. Misura che, secondo stime della Tax Foundation, costerebbe in un decennio tra 680 e 3.100 miliardi di dollari a seconda che la misura si applichi solo ai contributi sociali o anche all’imposta sul reddito.
La legge federale richiede che i datori di lavoro paghino il 150 per cento ai dipendenti che eccedono le 40 ore settimanali. L’esenzione fiscale beneficerebbe soprattutto i dipendenti pubblici come polizia e guardie penitenziarie, mentre nel settore privato il numero dei dipendenti con straordinario è inferiore. L’aumento di ore lavorate (e retribuite) non corrisponderebbe necessariamente a un incremento di produttività.
Poi c’è il capitolo delle distorsioni: alcuni datori di lavoro potrebbero riclassificare i dipendenti come aventi diritto agli straordinari, per consentire loro di avere un netto più alto. Il pensiero corre ad avvocati e investment banker, che di solito stanno intorno alle 80 ore settimanali di lavoro. La metà del loro reddito diverrebbe magicamente esentasse. Ricorda molto le distorsioni indotte da un’altra proposta di Trump, copiata da Harris: quella di rendere esentasse le mance. Proposta che costerebbe 150 miliardi di dollari in un decennio, cioè quanto la proroga per tre anni dell’ammortamento accelerato degli investimenti.
In questo baccanale di esenzioni e distorsioni, Trump ha proposto anche di togliere la tassazione delle erogazioni della Social Security (pensioni, soprattutto), con un costo decennale stimato tra i 1.600 e 1.800 miliardi di dollari. A parità di ogni altra condizione, ciò determinerebbe un incentivo ad anticipare il pensionamento, riducendo la forza lavoro, oltre a beneficiare i pensionati più agiati, visto che l’esenzione fiscale per i pagamenti della Social Security opera oggi sino a 25 mila dollari.
Le tasse di Kamala, la voragine di Donald
In sintesi: più distorsioni, vistose violazioni del principio di equità orizzontale (stesso trattamento fiscale per redditi simili) e restrizione delle basi imponibili, che conduce ad aliquote più elevate. Soprattutto, deficit a perdita d’occhio senza alcun tentativo di ipotizzare coperture che non siano la favole dei dazi e dell’aumento spontaneo di gettito indotto dalla maggiore crescita. Facile criticare Kamala Harris per proporre aumenti di entrate per 5.000 miliardi di dollari, tra aliquota di tassazione delle imprese al 28 per cento (dal 21 di oggi), aliquota marginale massima al 44,6 per cento e imposta del 25 per cento sulle plusvalenze maturate dai miliardari. Peraltro, Harris non ha ancora fatto sapere come gestirebbe la scadenza del tetto alla deduzione SALT, così inviso a stati Democratici come New York, New Jersey e California. Ha bisogno di gettito ma anche di consenso negli stati Dem: bel tradeoff.
La cosa più divertente, si fa per dire, è che da noi ci saranno molti liberisti con tante b che incenseranno Trump proprio perché “non aumenta le tasse”. Così sono capaci tutti.
Photo by Gage Skidmore from Surprise, AZ, United States of America, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons
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