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Test del sesso nello sport: le violenze subite dalle atlete

Quando Caster Semenya, atleta sudafricana, vinse nel 2009 la medaglia d'oro ai mondiali di atletica di Berlino, in molti si chiesero se questa ragazzina non "nascondesse qualcosa" nei pantaloni.

La giovane atleta venne sottoposta all'umiliazione di un test che comprovasse la sua sessualità, e tra la visita di un endocrinologo, quella di un ginecologo e poi di uno psicologo, tutto quello che Caster Semenya ebbe da dire fu: “Io so bene cosa sono”.

Ad ogni modo Semenya non rappresenta un caso unico nel suo genere, anzi pare che la storia dello sport abbondi di episodi d'oltraggio al corpo e alla sensibilità di atlete che si sono viste escludere dalle competizioni sportive a causa dei propri ormoni. Eh già, il Comitato Olimpico Internazionale così come l'Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica Leggera si sono da sempre prodigati nell'istituire regole ferree che regolassero i sani principi di elegibilità delle sfidanti: come appunto il tasso di testosterone.

Certo le regole e i metodi sono cambiati nel tempo, ma il risultato è sempre lo stesso. Libération, in un articolo intitolato “Les opérées de la testostérone” ["Gli operati del testosterone"] ripercorre in modo meticoloso la storia dei test della sessualità proposti durante le competizioni sportive dalla fine degli anni '40 ad oggi. È infatti dal 1946 che in ogni competizione viene richiesto un certificato medico che attesti la femminilità dell'atleta. Nel 1966, in occasione del campionato europeo di atletica leggera, a Budapest, le atlete furono costrette a sottoporsi ad un controllo ginecologico di gruppo. Una delle atlete, come riportato da Anaïs Bohuon nel suo libro sulla definizione della femminilità nello sport (Le Test de féminité dans les compétitions sportives. Une histoire classée X?), ha descritto questo episodio come traumatico: “Eravamo nella stessa stanza e ci hanno ispezionato i genitali”. 

In seguito il COI decide di optare per un metodo “meno invasivo” puntando sul test del corpo di Barr, che contraddistigue la struttura cromosomica XX. Caso volle che nel 1985 l'atleta spagnola Maria José-Martinez-Patiño venisse squalificata da una competizione proprio sulla base di questo test. Fu allora che Maria scoprì di essere affetta da un'anomalia che presentano nel suo patrimonio genetico entrambi i cromosomi X e Y. Ci vollero tre anni prima che potesse tornare a gareggiare, ma intanto Maria che, chiariamolo, era una donna al 100% dotata di una vagina così come del seno, fu allontanata dal mondo dello sport, perse anche il fidanzato e la sua borsa di studio.

Fatto sta che a distanza di qualche anno si decide di lasciar perdere il test di Barr per affidarsi a quello del gene SRY, centrato sul cromosoma Y. Anche stavolta però il COI sembra voler ignorare che alcune donne potrebbero essere munite di questo cromosoma; solo in seguito alle pressioni della Commissione nazionale d'etica in materia di medicina il test venne abbandonato nel 1999, anche se il COI si riservò il diritto di poterlo utilizzare per i casi più “dubbiosi”.


Ed ecco che arriviamo ai giorni nostri, al caso di Semenya, a quello dei giochi di Sochi, durante i quali il COI precisa di “non poter determinare il sesso delle atlete” ma di poter decidere “le circostanze nelle quali un'atleta non può essere ammessa alla competizione”. La verità più disarmante è che nel caso in cui un'atleta si rifiuti di sottoporsi al test, la sua unica alternativa è quella di gareggiare con gli uomini!

E quale sarebbe oggi il criterio che accerta la fimminilità delle atlete? Il test del testosterone, un ormone prodotto sì dalle cellule presenti nei testicoli, ma anche dalle ovaie, benché in minima parte. Fatto sta che proprio in base alla presenza eccessiva di questo ormone maschile molte donne sono state escluse dalle competizioni, e ad alcune di loro è stato persino proposto un intervento di escissione del clitoride.

Ma perché tanto accanimento? Pare che un alto livello di testosterone influisca sulla riuscita della performance, e per questo le donne con un elevato tasso di testosterone sarebbero avvantaggiate rispetto alle altre. In realtà però, come riportato dal New York Times, quest'affermazione non ha ancora trovato un effettivo riscontro scientifico; anzi, uno studio condotto dalla Clinical Endocrinology su 693 atlete ha dimostrato che l'elevata presenza di testosterone non incide in maniera definitiva sulla prestazione atletica, a dispetto di altri parametri quali peso e altezza.

Il Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism ha riportato in un articolo il caso di quattro atlete di età compresa tra i 18 e i 24 anni, affette da iperandrogenismo. Alte, muscolose e con il seno piatto, presentano un corredo genetico caratterizzato dal fenotipo maschile XY e, a quanto risulta dagli esami anatomici, sono dotate di mini-testicoli ritenuti nell'addome. Queste quattro ragazze, prima di essere sottoposte a questi minuziosi test non si erano mai interrogate sulla loro identità sessuale. A farlo per loro ci ha pensato il mondo dello sport, preoccupato per la loro sessualità al punto che la loro squadra è arrivata a “suggerire” alle atlete di sottoporsi ad una serie di inteventi chirurgici, tra cui: clitoridectomia, ovvero la rimozione chirurgica (parziale o totale) del clitoride; accompagnata da una gonadectomia, cioè l'asportazione dei testicoli interni; il tutto seguito da una vaginoplastica e da una terapia a base di estrogeni.

Queste le condizioni cui le atlete dovranno sottoporsi se vogliono continuare a praticare sport, benché i medici abbiano precisato che la rimozione del clitoride non abbia alcuna influenza sulla produzione di testosterone e la presenza dei mini-testicoli non rappresenti un rischio per la loro salute.

Al che la domanda nasce spontanea: perché mai queste ragazze dovrebbero sottoporsi a dolorosi e irreversibili interventi chirurgici? Richard Budgett, direttore medico del COI risponde così: “L'obiettivo è solo quello di femminizzare i loro organi genitali”.

 

Foto: André Zehetbauer/Flickr

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