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Tempi di Fraternità - Maledetti pacifisti: intervista a Nico Piro

Maledetti pacifisti

come difendersi dal marketing della guerra - Intervista a Nico Piro

di Laura Tussi

Nico Piro - Maledetti pacifisti People editore 2023

 

Il suo Maledetti pacifisti, vincitore del premio Ilaria Alpi, è un importante libro di denuncia, dal titolo provocatorio. Ma è davvero ancora possibile fare giornalismo al servizio del lettore e non del pensiero unico bellicista? Nico Piro è un inviato di guerra con una lunga esperienza, e proprio con lui abbiamo parlato di conflitti, di pace e di comunicazione in merito a questi temi centrali, soprattutto nell’epoca attuale.

L’Europa e il mondo intero inseguono la pace. È possibile raggiungerla?

Vi è sempre una possibilità, perché dipende da noi. Diceva Teresa Sarti Strada che ogni persona deve fare il suo pezzettino, ma poi questi pezzettini vanno messi insieme e formano un mosaico che può cambiare il mondo. Credo sinceramente che ciascuno di noi sia chiamato a fare la differenza, e per questo occorrono determinazione e forza.

Credo che si debba partire da un’informazione seria, equa, vera, che deve riprendere la battaglia di Gino Strada per l’abolizione della guerra. I tempi sono più che maturi, anche se qualcuno dirà che è impossibile abolire la guerra. Eppure, sembrava impossibile anche abolire l’apartheid fino agli anni Ottanta, e poi ci siamo riusciti. Sembrava impossibile abolire il segregazionismo razziale negli Stati uniti negli anni Sessanta. Poi una donna, a un certo punto, si è seduta sul posto sbagliato in autobus e ha cambiato tutto. Quindi dobbiamo crederci. Ovviamente crederci significa anche essere pronti a pagare dei prezzi, ma credo che tutto sommato ce la possiamo fare.

 

Che pensi del silenzio assoluto intorno sul TPAN, il trattato Onu di proibizione delle armi nucleari? Cosa

comporta il fatto che questo trattato non viene ratificato dai paesi Nato, compreso il nostro?

Purtroppo, siamo in una fase in cui i grandi progressi degli anni Novanta sul controllo delle armi, in particolare di quelle nucleari, sono in fase di forte risacca. Stiamo tornando indietro.

Credo che, invece di ragionare sullo specifico episodio, sia il caso di pensare a cosa sta accadendo a livello complessivo. Purtroppo, quelli che un tempo erano un disvalore - le armi e gli armamenti – ora sono tornati a essere un valore. Viviamo una corsa globale verso il commercio e il trasporto di armi.

Pensiamo al caso del Parlamento italiano: in poche ore il Parlamento è riuscito a mettersi d’accordo sull’innalzamento delle spese militari al 2% del PIL, senza per giunta porsi il problema di quanti ospedali, quanti ambulatori, quante scuole, quanti asili chiuderemo per alzare quella voce.

Quindi credo che il tema oggi sia fermare la corsa al riarmo, perché di fatto si alimenta il ciclo della guerra, ma non solo: si sottraggono anche soldi alla società civile, e questo è davvero molto preoccupante.

 

Hanno ragione coloro che affermano che le guerre esistono perché le armi, una volta prodotte, vanno vendute con adeguate strategie di marketing?

No. Credo che occorra una visione più ampia: l’industria delle armi fa il suo lavoro. Semplice. Il problema vero

è il fatto che ormai si è imposta nello spazio mediatico una cultura della guerra, che è quella della “guerra normalizzata”. Il vero tema è questo: la pace non ha sponsor, la guerra sì. Anche perché la guerra produce profitti monetari e non monetari per una serie di centri di potere. Un esempio?

Boris Johnson è uno che ha usato il conflitto armato in Ucraina per riscattarsi, riuscendoci per qualche mese per

poi capitolare alla fine. Ma ha sviato l’attenzione dalle proteste suscitate dalla gestione della pandemia.

 

Vi è dunque una precisa responsabilità politica?

La pace non ha voce. La pace non ha investitori, e questo è, secondo me, colpa dei governi. Quando si prepara una guerra, le voci predominanti sono spesso quelle di chi sostiene il conflitto. Il pensiero unico bellicista lancia uno stigma su tutti quelli che la pensano diversamente, corrode la democrazia. Quindi il tema che ci dobbiamo porre è:

possiamo oggi parlare di pace senza essere trattati da nemici della Patria al soldo del nemico?

 

Cosa vuol dire pace oggi in Italia?

L’Italia - non dimentichiamolo mai, anche se quasi non si può dire - sta vivendo il più lungo periodo di pace della

sua storia, che coincide con quello di massimo benessere del nostro Paese. La pace creativa dà dividendi per tutti, la guerra profitti per pochi. Il problema è che la pace li crea a lungo termine. Ma della pace ci dobbiamo prendere cura e dobbiamo diffonderla in tutti i settori, dalla giustizia ai diritti.

Credo che vada tutto ottenuto insieme. Considero limitante condurre una attiva campagna sulla pace che non tenga conto di tutti questi aspetti.

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