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Sul ritorno di Mad Men - quinta stagione

Mad Men mancava da diciassette mesi e il suo ritorno di Domenica 25 Marzo, A Litte Kiss, puntata doppia, per la prima volta nella serie e in doveroso risarcimento, si prestava quindi a tutti gli equivoci e pericoli dell'evento troppo annunciato, discusso, interpretato. 

Nelle ultime settimane, solo per citare i luoghi più illustri o vicini a noi, il New York Times ha dedicato un lungo profilo al creatore della serie Matthew Weiner (The Top Man at ‘Mad Men’ Isn’t Mad Anymore), il Guardian ha dato il luogo d'onore della home a un'approfondita presentazione dei personaggi (Mad Men is back!), il blog Le Parole e Le Cose ha ripreso una lunga intervista di Federica Jacobelli a Nicola Lusari su La rivoluzione seriale. E Carla Benedetti, Lunedì mattina, su Il Primo Amore, pubblicava l'importante Il creativo e l'artigiano, che, ignorandole del tutto, con mossa troppo perfetta nella sua divina indifferenza, parla proprio della creatività nelle serie tv e specie in Mad Men.

Citiamone due passi:

La disposizione a creare non è mai venuta meno neppure nei luoghi dove meno la si aspetta, in letteratura per esempio. Ma ciò che intendo dire è che qui viene mortificata, mentre nella pubblicità è favorita, cercata, alimentata, premiata – oltre che, ovviamente, messa al lavoro a fini commerciali. Questa valorizzazione, sia pure strumentale, non ha oggi l’eguale in letteratura, nell’arte e nemmeno nel cinema – per non dire in politica dove è del tutto bandita. [...] Ciò che l’arte della parola ha rigettato, l’advertising l’ha fatto proprio e ancora lo pratica e lo propaga senza alcun imbarazzo né ironia, compresa la teoria del genio. Sì, proprio il genio. Quello che crea in stato di semiconsapevolezza entrando in sintonia con forze che non domina totalmente. Oggi un’immagine del genere suonerebbe ridicola per uno scrittore, suona invece naturale per un pubblicitario, che infatti nel gergo viene chiamato “il pazzo”, mad man

Il "creativo" è oggi il pubblicitario (copywriter e art director), mentre l'"artigiano" è il letterato, in un movimento diacronico comune ma di segno opposto lo scrittore si è degradato in scrivano, mentre il copywriter è passato da copista ad artista. Il nuovo, l'originale, il genio (con l'inspiration) da una parte e la ripetizione, il già detto, l'artigianato (con la transpiration) dall'altra hanno scambiato padroni (sto semplificando, ovviamente).
Nella citazione qui sopra vi sono due spie, una in assenza, l'altra in presenza: la mancanza della televisione nell'elenco delle "tecniche" che non favoriscono la creatività; l'espressione mad man. Seguendo il testo di Carla Benedetti, siamo quindi a definire Mad Men come l'unico Künstlerroman possibile nel nostro tempo. Velocemente citiamo anche Lusari:

È stato necessario, credo, che tutto il lavoro di maturazione narrativa elaborato tra i decenni Ottanta e Novanta del secolo scorso desse i suoi frutti dopo i Sopranos, diciamo da Six Feet Under al più recente Mad Men, e producesse opere che arrivano a sovraesporre la propria complessità contenutistica e testuale ponendosi come dichiaratamente filosofiche. Solo di fronte a questa sovraesposizione il mondo dei lettori colti ha cominciato a rendersi conto che la serialità poteva produrre qualità narrativa non inferiore alla letteratura. Considerando, in ogni caso, che si tratta ancora di una presa di coscienza sbalordita. Certo, oggi non esiste un solo cinefilo che non ammetta le vette raggiunte da certa fiction d’oltreoceano. Eppure i testi analitici sull’argomento sono ancora pochissimi, non solo qui da noi, ma anche in America.

E' giusto segnalare gli ancora clamorosi ritardi nostrani (accompagnati oggi da clamorosi eccessi floreali) nella valutazione dei prodotti seriali, ma da un lato vorrei ricordare che già a inizio anni Ottanta, in condizioni produttive molto diverse la "qualità narrativa non inferiore alla letteratura" della "serialità televisiva" era riconosciuta, e confinata in giusti limiti e raffrontata a specifica letteratura, da Eco e altri. Inoltre è del tutto scorretto ricordare sempre e solo la fiction USA, ignorando il grandissimo peso culturale e produttivo della fiction inglese, che continua a fornire la base di innumerevoli adattamenti americani (ne ho scritto in questo post) e da decenni realizza opere di qualità media molto alta e pure capolavori assoluti (limitandoci alla tradizione della sit-com: Fawlty TowersBlackadder,The OfficeThe Thick of it ecc.). E pure altri paesi hanno dimostrato di saper produrre con continuità serie di alto pregio: lasciando stare due lontani giganti asiatici quali la Corea del Sud e il Giappone (anime e non solo), rimaniamo in Europa e pensiamo alla Francia con prodotti quali Engrenages Braquo e alla Danimarca (molto noto il caso di Forbrydelsen, che ha vinto un BAFTA, è stato candidato agli Emmy e ha avuto un adattamento americano). E qui sto parlando propriamente di fiction divise in stagioni, non di film a episodi per la televisione di grandi autori.

Anche se è sempre da riconoscere il debito verso i capolavori europei che da inizio Anni Ottanta hanno mostrato possibilità diverse per la narrazione sul piccolo schermo: Fanny och Alexander di Bergman, Berlin Alexanderplatz di Fassbinder, il ciclo Heimat di Reitz ("feature films" ma di chiara fruizione televisiva) e in coda, a metà anni Novanta, sempre in Danimarca, Riget\The Kingdom 1 e 2 di Von Trier).

Proprio Heimat 2 con la formazione del compositore Hermann Simon negli Anni Sessanta ci fa ritornare a Mad Men, che - si è scritto sopra - è il Künstlerroman del nostro tempo. Dove, molto chiaramente, dietro la metafora dello studio pubblicitario, dietro la professione dello schermo sta lo schermo televisivo, il lavoro creativo delle serie tv, che è, ancora una volta, l'assenza ingombrante di questa frase di Carla Benedetti: "Invece la possibilità che un romanzo, che pure è un organismo linguistico più complesso e potente di uno spot pubblicitario"; la fiction seriale di qualità quale forma suprema del romanzo è infatti tema ormai obbligatorio per ogni articolessa (a lato, qui non posso naturalmente aprire il discorso sulla serialità degli spot pubblicitari).

In simbolo e sovrapposizione: Matthew Weiner "è" Don Draper. Come quest'ultimo arriva sempre a salvare la giornata con un'idea di genio (anche in malafede e banale, vedi la lettera ai giornali sul fumo nel finale di quarta stagione, perché ci vuole un genio per mantenere saldo il campo con tanta malafede e banalità), così il genio del creatore della serie tv sempre sta in posizione regale nei titoli di testa a dimostrarne lo statuto demiurgico (parimenti, nell'economico più immediato, il genio è riconosciuto da contratti faraonici, trenta milioni di dollari per tre anni, mentre i divi attori rimangono molto indietro).

E come Don Draper ha i suoi validi collaboratori, a cominciare da Peggy, così Weiner crea in un team di nove scrittori (con sette donne) e si appoggia ad altri professionisti del più alto livello per regia, costumi ecc.. Perché il genio isolato della tv americana sorge sì maestoso negli opening credits con il loro enfatico "Created by" (sino al delirio di onnipotenza di Tim Kring nell'eclissi di Heroes), ma nella serialità pesante ed esigente nessun uomo è un'isola e nessun uomo è un demiurgo. Il lavoro è collettivo, con pieno (e molto sindacalizzato) rispetto delle specifiche abilità di ognuno, e la metafora della "bottega d'arte" continua a essere appropriata, quando opportunamente ipervitaminizzata e tecnologizzata. Il genio, l'originalità, l'invenzione esistono; e all'interno di un contesto economico complesso come l'advertising e la fiction non possono esistere in isolamento (se non appunto per replica ad effetto della retorica del genio solitario).

E come la creatività di una pubblicità di successo è sempre strutturalmente imitata e\o imitanda, così Mad Men ha il uso stuolo di "precursori" e cloni. Rimanendo nell'ambito delle serie tv, numerosi copycat dosano in diverso modo, e con molta meno sapienza, glamour, Swinging Sixities, lotta per i diritti di tutte le "minoranze" e la tanta nostalgia per la classe di Audrey Hepburn: dal subito chiuso The Playboy Club (dove il dondraperismo d'accatto del protagonista faceva persino tenerezza, ne ho scritto qui) al mediocre Pan Am. Mentre si attende Magic City su Starz (canale che di solito cristallizza in estremizzazione volutamente volgare fenomeni sviluppati altrove, si veda ad es. Spartacus; attendo quindi con interesse il debutto del 6 Aprile).

D'altro canto Mad Men deve molto a numerosi autori e testi del periodo che mette in scena, poiché, si scusi la banalità, la messa in scena del periodo non può che essere costruita attraverso determinati autori e testi. A cominciare da Hitchock (lo dichiara Weiner e lo si vede subito nella deliziosa devozione dei titoli di testa), e poi il Billy Wilder di The Apartment e Blake Edwards e tutti gli altri precursori che la serie si crea, nel riconoscimento e nella transvalutazione (le virgolette del paragrafo precedente erano infatti umilmente borgesiane). Perché appunto, per ritornare al contrasto tra il creativo e l'artigiano, tra l'originale, l'idea nuova, e il derivato, l'idea già sentita, vi è sempre una serie di testi precedenti a ogni atto di "genio". E se in letteratura, soprattutto per i più mal-osservanti post-strutturalisti, questo debito può pesare come un coperchio tombale sullo scrittore che si dimidia in scrivano (quando non rimane direttamente fermo alla pagina bianca), nella serie tv di Weiner, via una concezione archeologica ma non paralizzante della storia e un'attitudine molto rilassata verso l'angoscia dell'influenza, si deliricizza in cenno del capo e ricerca d'archivio e "che materiali ci servono per questa puntata?". In una dialettica ben manierata tra ispirazione e fonte d'ispirazione.

Si apre anzi il gioco sociale degli anacronismi di Mad Men, per impeccabile traino pubblicitario. Proprio in A Litte Kiss ambientato nel Maggio 1966 compariva inizialmenteThe Look of Love di fine Gennaio 1967, come hanno notato i fortunati spettatori delle anteprime. La canzone è stata subito ritirata, e credo che il suo posto sia stato preso da You Don't' Have to Say You Love Me sempre cantata dalla sublime Dusty Springfield. E di qui si potrebbe partire per indagare, oltre l'innocua e piacevole imprecisione musicale o linguistico, quell'interpretazione attivamente contemporaneista della storia che dietro la ricerca d'archivio anima Mad Men e in modo molto meno raffinato numerose altre period pieces americane (sino al ridicolo di Hells On Wheels sempre su AMC). Ma questo post è già lunghissimo, e sulla specifica puntata, sull'evento troppo annunciato, non ho forse detto molto.

Ecco quindi il giudizio: bell'episodio che avvia le principali linee narrative della stagione. Weiner con piena consapevolezza ha scelto di evitare qualsiasi rumoroso colpo di scena o accidente memorabile, ha rifiutato il singolo evento (in ciò imitato dal miserrimo scrivano che state leggendo, in sede di recensione), perché, nonostante la troppa lunga attesa e il desiderio di "colpi di scena", Mad Men resta una serie che ha davanti, secondo contratto, tredici puntate quest'anno e altre due stagioni. Se non si vuole rischiare di "saltare lo squalo" (sputtanarsi, come è facile accada quando le stagioni diventano numerose, Heroes Desperate Housewives e tanti altri insegnano...) le cose devono funzionare così, nella tecnologica bottega artigiana della creazione e della creatività, nell'invenzione della serie e della serialità.

Mad Men, stagione 5, 13 episodi su AMC la domenica sera dalle 22. Vedi score e recensioni su Metacritic (e naturalmente le ottime voci Wikipedia su tutta la serie e su questa doppia puntata in particolare).

Demitizzante comica di chiusura

Nella scena finale di seduzione, con la bellissima Jessica Paré\Megan impegnata, molto fenechianamente, a far pulizie in slip e reggiseno e "pose provocanti", un linobanfista e renzomontagnista militante come me ha sentito distintamente il sedotto (ma sempre seducente) John Hamm\Don pronunciare "Madonna Benedetta dell'Inconoreta io spinneggio" (questa invece si chiama deriva intertestuale...).

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