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Sul femminicidio e la violenza sulle donne: basta una legge?

Come è noto, sono in corso di approvazione norme specifiche sull’uccisione di donne e sulle violenze contro i gay. Posso dire che la cosa mi lascia molto perplesso? 

Capiamoci, il contrasto di comportamenti antisociali è giusto che avvenga anche con lo strumento penale (nulla quaestio in proposito), ma ridurre la politica criminale (nel senso di politica di contrasto al crimine) a mera politica penale è sempre un errore e per diversi motivi: in primo luogo perché la politica penale segna sempre una maggiore aggressività dello Stato verso la società civile e, pertanto, spinge verso soluzioni autoritarie. In secondo luogo, perché la pena punisce, ma non previene, mentre noi siamo interessati a che certi comportamenti non si verifichino affatto. Quindi ogni politica criminale che non sia il prodotto di un attacco isterico, deve contenere molta più prevenzione che pena.

Al contrario, l’”iper penalismo” spinge verso una falsa sicurezza l’opinione pubblica, per cui all’istituzione o ad un aumento della pena si immagina che debba seguire logicamente una diminuzione dei reati colpiti. A volte accade questo, ma più spesso non si osserva alcuna variazione significativa.

Questo spinge a riflettere sul valore deterrente della pena. Ricordiamoci sempre che il criminale non ritiene accettabile alcuna pena che non sia proprio irrisoria, per cui, semplicemente, pensa di “farla franca”. Ne deriva che, come i criminologi sanno da ormai molto tempo, la maggiore deterrenza della pena si ha nella scala da sei mesi a 10 anni di reclusione, per cui il criminale avverte ogni variazione al rialzo come qualcosa che rende “diseconomico” il comportamento anti giuridico, ma al di sopra dei 10 anni, la deterrenza subisce un progressivo affievolimento sino a scomparire oltre i 20 anni.

Facciamo un esempio schematico per capirci: se rubando rischio 3 anni di reclusione (che poi possono scendere per effetto di indulti e misure alternative) ma metto da parte 2 milioni di euro che “mi risolvono la vita”, posso anche pensare si correre il rischio, perché, anche nel caso più negativo, può valerne la pena. Ma se la pena viene portata a dieci anni effettivi (senza misure di clemenza) magari inizio a pensare che dieci anni di galera non sono uno scherzo, che quando esco magari sono un altro e, insomma, forse non ne vale proprio la pena, se non penso che la farò sicuramente franca.

Ma se la pena arriva a 15 anni la cosa non mi fa né caldo né freddo, perché già prima pensavo che l’unica cosa a cui devo pensare è come non farmi beccare. E, dunque, più che l’entità della pena, può influire sul criminale la constatazione della frequenza con cui i colpevoli di quel reato sono individuati e puniti: se – come già accade oggi – i responsabili di alcuni reati non sono identificati nel 67% dei casi, e solo nel 17% dei casi subiscono una condanna effettiva il, criminale pensa che ha 4 possibilità su 5 di cavarsela ed, a quel punto, che la pena sia di 10, 20 o 30 anni non ha alcuna efficacia.

Sinceramente sono un po’ imbarazzato nello scrivere queste cose che in fondo sono delle banalità (già 186 anni fa Manzoni parlava di “politica delle grida”, do you remember?) ma vedo che certe illusioni sono dure a morire.

Veniamo alla questione dei femicidio che, sinceramente non capisco cosa significhi e che bisogno ci sia di coniare questa espressione, come se la nozione di omicidio fosse riferita solo a vittime di sesso maschile. Per il nostro ordinamento (e per il buon senso) l’uccisione di un essere umano, qualche che ne sia il sesso, la “razza”, la condizione sociale ecc. è il reato più grave colpito dal massimo della pena. E se è il reato più grave, come si fa a pensare qualcosa di ancor più grave? Ma, soprattutto, che facciamo?

La tortura e la pena di morte non possiamo introdurle e più di quello che il codice stabilisce già oggi non si può irrogare ed allora? D’altra parte, se da un lato ci battiamo per l’abrogazione dell’ergastolo, poi come possiamo, dall’altro lato, dire che però l’ergastolo va dato se la vittima è una donna? Il ragionamento tende a considerare più grave l’atto in sé per le motivazioni abiette di chi uccide in odio ad una donna in quanto donna. Va bene, ma se si trattasse di un gay, di un immigrato, di un avversario politico uccisi in odio all’omosessualità, alla particolare etnia o ideologia ecc? Potremmo, ad esempio, prevedere per questi tipi di reato una aggravante specifica, che comporti condizioni di detenzione più dure o l’esclusione dei benefici di legge oggi previsti ma, in questo modo staremmo dicendo che l’uccisione di una persona di sesso maschile senza ulteriori “qualifiche” razziali, politiche ecc. è meno grave di quella di altre. Ce la sentiamo di dire una fesseria del genere?

Il punto è che se già l’omicidio (inteso come uccisione di essere umano) comporta il massimo della pena, non possiamo farci altro perché non esiste “il doppio del massimo”. Quindi, per quanto possiamo provare ripugnanza per l’uccisione di una donna, su questa strada non c’è nulla da fare, a meno di non credere nella virtù taumaturgica della “politica delle grida” per cui l’inasprimento della pena produce una maggior tutela per l’eventuale vittima. Con questo criterio, se minacciassimo due ergastoli al posto di uno, i “femicidi” dimezzerebbero. 

C’è chi, pur essendo d’accordo con questi argomenti, dice che questa legge serve a “dare un segnale” per cui va fatta pur con una certa strumentalità. Sinceramente ci credo poco, ma non mi disturba in sé la sciocchezza di questa legge, quanto il fatto che questo induca alla ingannevole sensazione che questo è quello che ci sia da fare.

Facciamo qualche esempio di cose che si possono fare? Ho visto con piacere che la Polizia ha istituito qualche centro anti stalking, in sedi distinte da commissariati e questure, opportunamente arredati in modo da non sembrare il solito ufficio burocratico, con personale femminile non in uniforme e con la necessaria preparazione psicologica per accogliere le donne ed incoraggiarle a denunciare i soprusi subiti. Benissimo: questa è la strada, ma ora sono solo “centri di eccellenza” rarissimi, mentre dovrebbero essercene quantomeno in ogni capoluogo di provincia. Oppure: finalmente la magistratura è entrata nell’ordine di idee di allontanare da casa il coniuge violento, ma non si poteva farlo già dieci anni fa? E c’è ancora qualche magistrato che rimanda a casa il sospetto pedofilo che abita sullo stesso pianerottolo della sua vittima...

Ancora: più che tirare fuori questo improbabile reato di “femicidio”, non sarebbe meglio sanzionare con maggiore precisione e severità reati minori, spesso propedeutici a quelli più gravi, ed assai più diffusi? Anche per la considerazione iniziale per cui l’inasprimento delle pene è più efficace per i reati meno gravi dove la variazione dell’entità della pena esercita qualche reale deterrenza. Ed in questi casi sarebbe anche opportuno ridurre i benefici di legge, oltre che vigilare sull’eccessiva facilità con la quale alcuni magistrati concedono attenuanti e riduzioni di pena che, per reati come questi, dovrebbero essere concesse con grande avarizia.

E questo vale pari pari anche per il fenomeno altrettanto grave dell’omofobia, che deve trovare un adeguato contrasto penale, ma non solo.

I reati di questo tipo sono, in primo luogo, problemi di natura psicologica e culturale il cui contrasto più efficace deve avvenire su questo piano: dobbiamo chiederci cosa sta succedendo nella testa dei maschi, perché tanti abbiano queste esplosioni di violenza e cosa si può fare per prevenirle. Ma soprattutto, dobbiamo chiederci cosa sappiamo di fenomeni come le violenze alle donne, l’omofobia, la xenofobia.

In primo luogo: sono fenomeni in espansione o che ci sono sempre stati in ugual misura? Cosa sta aumentando: i casi in sé o la nostra percezione di questi comportamenti? Magari sono aumentate le denunce e non i comportamenti in sé che, forse, sono addirittura in regresso. Intendiamoci: io penso che siano in aumento, ma si tratta di una sensazione che non saprei dimostrare perché non ho a disposizione dati sufficienti a dimostrarlo.

Ho cercato testi, articoli e statistiche su questo tipo di fenomeni, risultato: uno si occupa dei casi di omofobia in Lazio, un altro delle violenze alle donne nella provincia di Imperia, un terzo studia i casi di xenofobia comparando Napoli e Marsiglia, un altro ancora delle violenze alle donne ma usa come unico parametro le denunce presentate, e non dà altri indicatori che facciano capire se l’aumento di esse segnala un aumento dei casi o una maggiore propensione delle donne a “verir fuori”, un ennesimo prende in considerazione le lettere ai giornali, ma senza alcuna predeterminazione dei criteri metodologici. E così via.

Il che significa che di questi fenomeni in quanto tali ed a livello nazionale sappiamo poco e niente. Non abbiamo serie storiche accettabili, non abbiamo statistiche accettabili ed omogenee in modo da poter essere comparate, tacciono i dati sanitari (effetto di quella sciagura che è stata la norma sulla privacy che non ha discriminato l’accesso ai dati da parte degli studiosi), le statistiche giudiziarie sono una insalata inutilizzabile… ecc.

E poi, si tratta di un fenomeno solo italiano? O internazionale? Perché è ovvio che già le coordinate spazio temporali dei fenomeni in questione suggeriscono quale possa ed essere l’approccio più opportuno ed utile. E se proprio il Parlamento vuole produrre norme efficaci, perché non vara una commissione di indagine (cioè con scopi meramente conoscitivi) su questi fenomeni?

Considerato il livello degli stipendi ed il pochissimo lavoro che i nostri parlamentari fanno, non sarebbe utile occupare una trentina di essi in un lavoro del genere?

 

Foto: Wikimedia

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.197) 16 settembre 2013 11:14

    Finalmente qualche idea lucida sull’argomento.
    Dare una pena specifica, diversa per l’omicidio di un uomo o di una donna è sminuire la donna, è ritenerla "sesso debole e bisognoso di protezione".
    Altro che uguaglianza!
    Io non ho bisogno di nessuna protezione contro il crimine in più rispetto a qualsiasi uomo.
    E nessuna donna ne ha bisogno.

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