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Sui rom... Cronaca di uno sgombero mancato a Roma

Quella che state per leggere è una non-notizia. Non-notizia perché nulla nei fatti è accaduto, nulla che sia degno di cronaca giornalistica, nulla che possa suscitare curiosità o indignazione (forse), ma qualche spunto per riflettere e spingersi oltre, quello magari sì. Ore 7.30, l'appuntamento è davanti al numero 102 di Via Cave di Pietralata, Roma...

Per chi passa in strada, un doppio cancello chiude l'ingresso. Quello grande e scorrevole per il passaggio dei mezzi, il più piccolo per i pedoni.

Chi vive nel quartiere sa bene, invece, che dietro quel cancello c'è un'occupazione (vogliamo chiamarla così, perché nulla ha a che fare con un campo) di rom rumeni che dura ormai da più di tre anni. Era infatti il febbraio del 2008 quando in 60 circa, appoggiati da comuni cittadini , associazioni, decisero di scavalcare la recinzione e occupare il vecchio capannone dismesso e le palazzine espropriate per dare risposta al problema abitativo posto dallo sgombero appena subito.

Appena entrata la piccola comunità si rimboccò le maniche e, con materiali di scarto e pochi spiccioli, riuscì a compiere quella che si definisce un'“azione di auto-recupero”: ovvero fece sì che una struttura dismessa e decadente, improvvisamente acquistasse (ce l'ha ancora) le caratteristiche per poter essere abitata e, soprattutto, venisse presa ad esempio di buona pratica.
Una proposta, scrisse qualcuno, a suo tempo, lanciata dal basso alla città e alle istituzioni in primis, che di contro agli sgomberi coatti, soprattutto nell'ultimo periodo, non hanno di meglio da offrire se non la separazione dei nuclei famigliari. Un esempio di quanto i luoghi comuni, come quelli che circolano sui rom (e sono tanti) vengano poi smentiti dai fatti.

Una soluzione, che però già si sapeva, sarebbe stata provvisoria.

Ed ecco, infatti, arrivare la scadenza.

“Entro giovedì (oggi) dovete fare le valige e andarvene”. L'annuncio, o per meglio dire l'imposizione, arriva martedì ed è tradotto, raccontano i rom, anche in romanes così da essere comprensibile a tutti. Motivo? A breve quell'area diventerà un grosso cantiere, quindi bisogna sgomberare.

Alle 7.30 (ecco spiegato il punto iniziale) c'è una piccola folla radunata all'ingresso in attesa della “catastrofe”. Gli abitanti di via di Cave di Pietralata aspettano invece all'interno, seduti in cerchio attorno a un tavolo. Dopo 10 anni passati in Italia per la maggiore parte di loro, subire l'ennesimo sgombero sembra quasi inevitabile e gli annunci, che vanno avanti ormai da mesi, hanno fatto il resto spingendo alcuni di loro a fare le valigie e andarsene e fiaccando ampiamente il morale.

Le soluzioni alternative? Come sempre quelle mancano. Bisogna sgomberare, punto.

Il sindaco come aveva promesso ha lasciato che i bambini finissero l'anno scolastico, quello che succederà per il prossimo non ha alcuna importanza.

Come conta poco il fatto che la piccola comunità sia ben inserita nel quartiere e che siano state addirittura raccolte 800 firme per bloccare una precedente minaccia.
I lavori devono cominciare e le alternative non esistono o meglio non c'è la volontà di trovarne in maniera condivisa, sentendo in primis i rom stessi e i soggetti che li hanno seguiti e conosciuti in questi anni.

Ore 9.00. Ormai è tardi, si tira un mezzo sospiro di sollievo. Per oggi pericolo scampato. Tanto succederà... domani, dopodomani, magari la prossima settimana e stavolta senza preavviso, perché già c'è stato.
La piccola folla si disperde con l'avviso di tenere alta la guardia.
Il cancello rimane accostato. Subito dietro si annida l'angoscia.

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