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Stati Uniti, le Grandi Dimissioni si sono ristrette

Il tasso di dimissioni volontarie negli Stati Uniti sta rallentando e creando problemi di budget alle grandi aziende, che devono valutare gli strumenti per spingere più o meno gentilmente le uscite.

Come riporta il Wall Street Journal, le aziende americane stanno incontrando in questo periodo il fenomeno opposto a quello reso celebre dall’espressione Grandi Dimissioni: il tasso di dimissioni volontarie sta visibilmente rallentando, oltre quello che ci si aspetterebbe in relazione alla fase del ciclo economico. Il fenomeno rischia di mandare fuori budget i grandi datori di lavoro, al punto che alcuni tra essi meditano tagli ai programmi di spesa o agli organici entro fine anno.

RITORNO ALLA PRE-PANDEMIA

I dati di turnover sono in pratica tornati ai valori pre-pandemici. Il fenomeno è confermato anche dalle aziende globali di staffing come Adecco, che lo spiegano come conseguenza di maggiore incertezza e avversione al rischio di spostamenti da parte dei lavoratori, sapendo che in media nelle fasi di debolezza congiunturale gli ultimi arrivati sono quelli più a rischio.

I datori di lavoro si sono quindi trovati a passare da una fase di disperazione nel cercare di trattenere i dipendenti, a prezzo spesso di robusti strappi alle remunerazioni, a quella di un eccesso di personale rispetto ai piani aziendali e alla condizione congiunturale normale attesa. Il fenomeno è riportato principalmente ma non esclusivamente nel settore bancario statunitense.

Il cosiddetto quit rate, cioè il tasso di dimissioni volontarie rispetto al totale degli occupati, a settembre è rimasto stabile per il terzo mese consecutivo al 2,3% rispetto al picco del 3% registrato ad aprile 2022, quando l’allentamento delle restrizioni pandemiche causò un aumento delle dimissioni volontarie alla ricerca di migliori condizioni di lavoro e retribuzione.

Secondo un sondaggio della stessa Adecco, in ottobre il 73% dei lavoratori statunitensi prevedevano di restare nello stessa azienda, contro il 61% di un anno prima. I movimenti interni agli organici aziendali sono considerati fisiologici perché creano opportunità di promozione per interni brillanti o per inserire in azienda figure dotate di potenziale o competenze nuove. Le aziende cercano di prevedere i tassi di fuoriuscita in modo preciso, anche utilizzando modelli di intelligenza artificiale.

SPINGERE GENTILMENTE LE FUORIUSCITE

Quando i deflussi stagnano, le aziende, prima di arrivare a licenziamenti collettivi (che hanno un impatto negativo sul morale e possono innescare uscite indesiderate), usano alcune leve gestionali “gentili” quali un giro di vite sulla valutazione delle prestazioni, di fatto per indurre all’uscita i soggetti che hanno visto un ridimensionamento delle aspettative, e i pacchetti di dimissioni incentivate.

Naturalmente, queste dinamiche prescindono parzialmente dal contesto congiunturale dell’azienda e dell’economia in generale, e vanno considerate un aggiustamento di stato più o meno stazionario, come espresso nei budget aziendali (baseline). Va da sé che, quando l’economia si raffredda, la leva dei licenziamenti collettivi riprende peso.

Pare quindi si possa archiviare l’esperienza delle Grandi Dimissioni, legata a un periodo eccezionale quale la riapertura post pandemica. Con l’avvertenza che, in quei contesti in cui la demografia tende a restringere l’offerta di lavoro e ove la tecnologia non dovesse tenere il passo della situazione, il fenomeno potrebbe ripresentarsi. Ma parliamo per scenari e ipotesi.

Photo by Carey Ciuro on flickr – CC BY-NC 2.0 DEED

Questo articolo è stato pubblicato qui

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