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Sotto il ponte, niente

di Luca SOLDI

I recenti accadimenti meteorologici impongono delle decisioni che siano drastiche. In questi giorni è toccato alla Calabria ad essere flagellata, ma settimane fa, era toccato al beneventano. E che dire poi, della frana che ha fatto stare senz’acqua, per più di una settimana, la città di Messina?

Non passa una perturbazione meteorologica che non avvengano esondazioni, allagamenti, frane o smottamenti di intere colline. Ed ecco immediatamente dopo la conta dei morti, i danni, le distruzioni. E poi, subito dopo, le polemiche, le responsabilità scaricate sul caso, sul clima, sulle bombe d’acqua, sul costruzione scellerate, su quel calcolo delle probabilità che il male non accadesse.

Passa poco tempo, mentre gli angeli del fango, scaraventati da una parte all’altra del Paese, sono ancora a togliere la melma dalle case ed ecco che arrivano le promesse d’interventi, di riparazione.

Arriva l’atto di presenza di certa politica che si autoaccusa e poi si auto-assolve. Scaricando le colpe dove possibile, meglio sull’eccezionalità meteorologica. Ed immancabilmente, disbrigata qualche pratica per i rimborsi, questa stessa politica, dimentica. Lamentando la mancanza di fondi importanti per il territorio, ma soprattutto dimostrando la resa di fronte alla necessità di interventi sul dissesto idrogeologico del paese.

Dietro tutto però esiste una predisposizione a non comprendere che mascherandosi dal proprio sopravvivere quotidiano, si privilegiano altre scelte, altre decisioni.

Come ha scritto Emiliano Brancaccio sul suo blog: “…considerare questi eventi come delle calamità imprevedibili è un’ipocrisia che ci riporta indietro nei secoli, in un clima da medioevo. La verità è che nel nostro paese, ancor più che altrove, qualsiasi idea di prevenzione dei disastri, vale a dire di “pianificazione pubblica” del territorio, è diventata un vero e proprio tabù politico. Le conseguenze catastrofiche di questa visione anti-moderna del rapporto tra uomo, economia e ambiente sono sotto gli occhi di tutti”.

Troppo complicato e troppa poca la visibilità nel fondare una strategia che miri complessivamente a rimediare ai mali del passato ed impedire quelli del futuro. Molto meglio usare il marketing per fondare il consenso su grandi opere di enorme visibilità ma di scarso risultato. Troppo facile rispolverare i progetti faraonici come quello del Ponte sullo Stretto, mentre alle sue estremità il paese frana.

Ed aggiungo arditamente, troppo facile trovare i fondi per poche grandi colate di cemento piuttosto che impegnarsi a costruire migliaia di interventi che per una volta vedano e prevedano il rispetto del territorio. Di un territorio e delle sue genti. Ma soprattutto per l’obbligo verso le generazioni future che fra tutte sono le meno colpevoli dello scempio fatto fino ad oggi.

Altrimenti, provocatoriamente s’intende, sperando di non esser presi troppo sul serio, questo ponte facciamolo per davvero. Facciamolo da Bolzano a Lampedusa così da poter dimenticare tutto quello che c’è sotto.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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