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Sofia Orr, giovane obiettrice di coscienza israeliana: “La mia generazione non è nata per uccidere o essere uccisa”

L’obiettrice di coscienza Sofia Orr è stata condannata l'altro ieri ad altri 20 giorni di carcere militare per essersi rifiutata di arruolarsi nell’esercito israeliano. Ecco una sua lettera sulla strage di palestinesi che cercavano di procurarsi del cibo.

di Mesarvot

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese

(Foto di Sole Tsalik, Mesarvot)

In una recente visita del mio avvocato, ho sentito parlare un po’ del mondo esterno e della recente sparatoria contro i palestinesi che a Gaza lottavano per ottenere cibo e aiuti. Questa storia non mi ha abbandonato; ho continuato a pensarci costantemente mentre ero in carcere.

Oltre al fatto che sparare a persone affamate che cercano di procurarsi del cibo è un orribile crimine di guerra, credo che dobbiamo riconoscere che non si è trattato di una coincidenza o di un fatto insolito. È un evento che rappresenta la direzione che sta prendendo la coscienza di Israele. Una coscienza di disumanizzazione, che si collega alla volontà di vendetta, dopo che abbiamo fallito nel gestire la popolazione palestinese.

Voglio ricordarvi che le persone che hanno circondato i camion carichi di cibo non sono affamate per caso. Stanno morendo di fame. Da dietro le sbarre vi chiedo: provate a pensare a cosa li ha spinti a correre verso i camion.

E poi c’è stata la sparatoria. Resistete alla tentazione di trasformare gli affamati in mostri. Quando lo facciamo, li uccidiamo senza pensarci due volte, perché li abbiamo trasformati tutti in mostri. Le loro vite non hanno più valore.

Quando ho sentito ulteriori dettagli, ho capito che la storia raccontata dai media israeliani descriveva un assalto violento da parte di chi cercava cibo, durante il quale i soldati si sarebbero sentiti minacciati e avrebbero sparato per autodifesa. “Gli affamati non erano abbastanza educati e organizzati mentre facevano la fila”. Perché non si può comandare una folla affamata, e quando non si può comandare, si cerca di ucciderne il più possibile per recuperare la “deterrenza” e fingere che il sangue versato aiuti a riprendere il controllo.

Anche se non si tiene conto di questa storia specifica in cui i soldati cercavano di gestire una popolazione di rifugiati affamati, Israele mette sempre i palestinesi in condizioni invivibili, cerca di gestirle e fallisce. E quando il fallimento ci esplode in faccia e va fuori controllo, ci convincono che è colpa dei palestinesi. È così che possono uccidere e far sì che questo non abbia alcun significato.

Molti cercheranno di dire, e la maggior parte degli israeliani cercherà di credere, che la sparatoria era giustificata, che i soldati si sentivano minacciati e che sparare alla gente di Gaza va bene, visto che sono il nemico. Questo è un altro motivo per cui mi trovo qui, nella prigione militare. Sento l’obbligo di parlarne e di ricordare che stiamo parlando di esseri umani. Non permetterò che la disumanizzazione continui senza alcuna resistenza.

Come obiettrice di coscienza, purtroppo non ho niente di positivo da dire in questo momento, ma ciò rafforza la mia volontà di fare ciò che faccio, di rifiutare di arruolarmi, di pagare il prezzo e di stare in prigione, di continuare ad alzare la voce e di non lasciare che la disumanizzazione passi sotto silenzio.

Ve lo dico dal carcere: i palestinesi sono esseri umani e non posso restare a guardare mentre muoiono. Non si può più fingere di gestire la situazione; questa finzione non fa altro che favorire questi caotici spargimenti di sangue.

La mia generazione non è nata per uccidere o essere uccisa e per avere un futuro qui dobbiamo passare al processo di pace e fermare la guerra.

Come possiamo porre fine a questa situazione? Prima di qualsiasi accordo e dei suoi dettagli, bisogna dare diritti umani e diritti civili a ogni singola persona, dal fiume al mare.

Traduzione dall’inglese di Anna Polo

Questo articolo è stato pubblicato qui

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