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Sfruttamento minorile: la penna e il telaio

 

Pochi avranno la grandezza di trasformare la storia, ma ognuno di noi può adoperarsi per modificarne anche una piccola parte: la storia di questa generazione verrà scritta dalla totalità delle singole azioni, verrà delineata proprio dagli innumerevoli e differenti atti di coraggio e fiducia. Ogni volta che un singolo individuo si schiera per un ideale, o agisce per il bene degli altri, o combatte contro l'ingiustizia, dà vita ad un'onda di speranza, onda che andrà ad incontrare altre onde innalzate da altrettante fonti di convinzione e di forza, creando una corrente che sarà in grado di abbattere le più alte mura di oppressione e opposizione.”

Robert F. Kennedy

Creare un'onda per abbattere il sistema delle ingiustizie, creare un'onda per dissipare le catene dell'oppressione, questo dovrebbe essere l'obiettivo comune della politica in un mondo dove non vige alcuna legge, se non quella del più forte. 

Non intendo chiudere gli occhi di fronte ad un verità cruda e orribile: lo sfruttamento della manodopera minorile. Non posso. E' mio dovere morale soffrire il dolore di ogni violenza subita da tutti gli uomini. 

Ogni bambino, in quanto essere umano, ha dei diritti inalienabili, garantiti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e dai vari trattati che sono stati stipulati nel tempo. I bambini sono germogli da irrorare con la linfa della vita e il dono della sapienza, in modo che un giorno possano sbocciare tantissimi fiori, dei più bei colori, fino a comporre un armonico mosaico di pace. 

Lo sfruttamento del lavoro minorile è una gravissima violazione dei diritti del bambino. In molti paesi del mondo, in particolare asiatici e medio-orientali, i bambini sono costretti a lavorare per più di 14 ore al giorno, senza riposo, con una scarsa nutrizione, sotto l'agonia dei loro aguzzini, sono danneggiati permanentemente sia sotto il profilo fisico, che su quello psicologico/morale. 
Per questo tipo di lavoro schiavistico sono utilizzati, esattamente come merce, ragazzi da 15 anni in giù. Se noi ragazzi occidentali abbiamo la fortuna di poter tenere in mano una penna e di studiare, è d'obbligo per noi denunciare con gran voce il mancato rispetto dei nostri diritti, sì nostri, giacché il fato ci ha concesso la fortuna di vivere in paesi moderni e civili, ma potremmo trovarci tutti in quelle situazioni. Dunque è nostro dovere cambiare il mondo, nostro compito è accresciere quelle onde che romperanno le mura della discriminazione e dell'oppressione, dando un lume di speranza alle anime di migliaia di schiavi bambini che ogni giorno sono bruciati del fuoco dell'avida ingiustizia. 
Ancor più triste è il fatto che, se si cerca un colpevole, non c'è che da guardarsi allo specchio. E' colpa nostra, dell'occidente, dell'Europa e dell'America imperialista, che ha fatto del colonialismo una fonte infinita e perpetua di ricchezza. 

Le multinazionali occidentali hanno spostato stabilimenti in Stati dove le leggi non garantiscono un ben che minimo diritto, a partire dalla sicurezza fino allo sciopero.

In Bangladesh, a Phulbari, nell'agosto 2006, alcune centinaia di persone hanno protestato davanti a una societa' carbonifera, cercando di occupare la struttura. Gli agenti hanno aperto il fuoco uccidendo almeno sei persone e ferendone circa cinquanta.

In Cina, alla fine di dicembre 2009, sono morti 17 minatori e altri 6 furono dati per scomparsi per poi morire anche loro. Le miniere cinesi si confermano le più pericolose del mondo. Secondo le stime ufficiali, durante il 2009 i minatori morti erano stati 3200.

In stati dove non sono garantite le minime sicurezze, i minimi diritti, il bambino diventa un appetibile strumento di lavoro, specialmente in stati dove la povertà dilaga e si è in una fase di sviluppo economico, momento in cui i governi diventano spietati mietitori di vite. Un bambino diventa oggetto, manodopera, costa poco, è dominabile facilmente e non si ribella. Ma spesso ci sono stati casi di persone che hanno alzato la testa, uscendo dalla trasparenza delle fabbriche e della massa, dando vita ad un sentimento che l'oppressione cerca di eliminare: la speranza.

Iqbal Masih nacque in un piccolo villaggio rurale nel Pakistan senza poter conoscere il padre, che abbandonò la famiglia alla sua precarietà. La madre di Iqbal lottò per mantenere i suoi figli, lottò per la loro felicità e il loro diritto ad una vita dignitosa, ma purtroppo nulla poteva davanti alla povertà più assoluta. Quando aveva quattro anni, Iqbal è stato venduto per $16 al proprietario di una fabbrica di tappeti. Lavorava 12 ore al giorno, era terribilmente denutrito, viveva sotto la paura del suo padrone. Più volte si ribellò, più volte scappò e tante più volte alzava la testa, tante più volte era punito, veniva addirittura chiuso in una costruzione di alluminio che accumulava il calore al suo interno, un forno che cuoceva i dissidenti, coloro che sfidavano il padrone. Più volte venne rinchiuso lì dentro, la chiamava “tomba”, infatti pochi riusciva a sopravvivere al caldo estenuante di quel posto orrendo. Quando Iqbal aveva nove anni si recò da una locale organizzazione dei diritti del lavoro che lo ha aiutato a fuggire dalla fabbrica. Questi lo portarono in salvo in una scuola, gli diedero una casa e del cibo, ma il giovane operaio non voleva chiudere gli occhi davanti davanti a ciò che aveva subito e ciò che i suoi coetanei avrebbero continuato a subire se non avesse fatto qualcosa. Cominciò a raccontare dei bambini lavoratori al mondo, irrompeva nelle fabbriche a fare fotografie che testimoniavano la presenza di inferni in giro per il Pakistan, iniziò a lottare pacificamente, con la forza della coscienza, della volontà, sfidò l'ingiustizia con un coraggio che ha dell'incredibile. 

Era un bambino. Un bambino sindacalista. Un bambino rivoluzionario. Un bambino, solo un bambino. E quando tutti i bambini hanno iniziato a seguire l'esempio di Iqbal, alzando la testa, muovendo la rivolta, insorsero contro i padroni, troncando l'oppressione. Iqbal liberò personalmente migliaia di bambini, le sue idee portarono la libertà, la speranza, il sogno. Le sue parole infiammavano gli spiriti, ardevano nell'Occidente e bruciavano ovunque l'ingiustizia. Faceva convegni negli Stati Uniti, in Svezia e nell'intera Europa. Insegnava agli adulti come lottare. 

Ma non appena la lotta diventò insidiosa fu minacciato, lui e la sua famiglia, dalla cosidetta “mafia dei tappeti”, ma Iqbal non fece un solo passo indietro, anzì iniziò a correre sempre più veloce verso la libertà dei suoi fratelli, di quelle migliaia di bambini schiavi. Nell'aprile del 1995 Iqbal fu ucciso. Ma le sue idee si liberarono nel cielo, come un aquilone stretto nelle mani speranzose degli schiavi bambini. Bambini che dovrebbero portare nelle mani una matita e un libro, bambini che dovrebbero stringere un aquilone, bambini che dovrebbero correre liberi tra i prati e non essere legati ad un telaio, bambini che lo vorrebbero, ma ogni giorno perdono una goccia di speranza in un oceano di dilagante rassegnazione. 

Alcune organizzazioni internazionali hanno mappato il fenomeno, arrivando a definire modelli di sfruttamento differenti per le zone:

Asia (60%), dove in alcuni stati la manodopera minorile è utilizzata come modello produttivo. In India è frequente la schiavitù per debiti, ma anche, come avviene inoltre in Thailandia, Taiwan e Filippine, la prostituzione minorile. Infine un altro modello di sfruttamento minorile è quello dell'impiego dei bambini come soldati, diffuso in Asia (Afghanistan, Myanmar, Sri Lanka e Cambogia), ma in particolare in Africa.

Africa (29%), qui lavora un bambino su tre. E' particolarmente diffuso l'impiego di bambini-soldato, specialmente nel centro-sud, dove le guerre civili e le contese tra tribù sono continue (Liberia, Rwanda, Sierra Leone, Sudan, Congo...).

America Latina (8%), anche qui è diffusa la schiavitù per debiti. In maniera meno marcata sono presenti tutti i modelli di sfruttamento, dai bambini soldato (Colombia, Messico, Perù, Paraguay), ai contadini nelle piantagioni brasiliane, fino ai minatori peruviani. Molti bambini sono inoltre impiegati nel narcotraffico e nello sfruttamento sessuale.

Paesi industrializzati (1-2 %), tra prostituzione minorile, attività agricole e tessili ed infine minori nelle forze armate, anche i paesi più ricchi non hanno debellato totalmente il problema.

Come detto in precedenza, il problema dell'utilizzo della manodopera minorile non è circoscritto a una una determinata zona e a determinate mansioni, ma interessa gran parte del globo e svariati lavori. 

Alcuni anni fa era stata scoperta una fabbrica-lager della multinazionale Nike in Cambogia, dove alcuni giornalisti avevano ripreso eserciti di bambine di età variabili, dai 16 anni ai 10 anni, mentre lavoravano su palloni, scarpe e magliette. Una cosa normale e redditizia per gli avidi politici cambogiani, ma un durissimo colpo per la Nike, che si vide isolata e boicottata dai consumatori "politically correct". 

Però laddove si sono ormai insediate multinazionali sfruttatrici, il lavoro, sebbene oppressivo, c'è e garantisce il minimo indispensabile per vivere (o sopravvivere). 

Se la Nike avesse chiuso quelle aziende, avrebbe troncato l'80% delle esportazioni cambogiane e licenziato più di 180 000 operai, fortunatamente è intervenuto il sindacato americano, che riuscì a insediare una sezione estera proprio in Cambogia. Ma il sindacato può qualcosa di fronte a paesi, come Cina, Pakistan, Indonesia, Corea del Sud e Colombia, dove ogni anno vengono assassinati, feriti o arrestati migliaia di sindacalisti? 

L'attivismo in queste desolate aree del mondo è un affare per uomini incorruttibili, forti, in pratica per coloro che hanno una S di superman sul petto. Ebbene, non sono molti, ma quei supereroi fanno un lavoro enorme, basti pensare che Kailash Satyarthi, attivista indiano, ha liberato personalmente più di 40 000 bambini e donne dal lavoro coatto. 

Egli è a capo della “South Asian Coalition on Child Servitude”, un ente che unisce istituzioni nazionali, internazionali e organizzazioni non governative con lo scopo di far pressioni sul governo, sulle industrie e sugli importatori, affinché cessi lo sfruttamento della manodopera illegale. 

E' riuscito a riunire oltre 10 000 organizzazioni non governative sotto la Global March Against Child Labor e per il suo grande lavoro, sebbene sia appena all'inizio, è stato insignito nei “12 nuovi eroi del mondo” dalla Skoll Foundation USA. 

Le tecniche di lotta predilette da Kailash sono l'educazione dei consumatori e le trattative con i governi. Al contrario non ritiene il boicottaggio un efficace strumento, poiché porterebbe ad una crisi economica in India, dove il commercio internazionale di tappeti e di vestiario fattura ogni anno ingenti capitali e permette il sostentamente di migliaia di lavoratori. Tuttavia l'incremento delle esportazioni verificatosi negli ultimi anni ha corrisposto un incremento del numero di bambini schiavi in India, Nepal e Pakistan. Qui i numeri si aggirano tra i 300 000 bambini solo per l'industria tessile, con un fatturato di 600 milioni di dollari. Un decennio fa il numero dei bambini-operai era quasi la metà e il fatturato era di soli 100 milioni di dollari. 

La sensibilizzazione ha ottenuto notevoli risultati, ponendo il problema dello sfruttamento della manodopera minorile tra le prime campagne mondiali. Noi occidentali vestiamo il frutto del lavoro coatto di bambini sfruttati e abbiamo la libertà di portare una penna in mano, sebbene molti di noi preferiscano farsi gli affari propri e vivere nell'indifferenza. 

La strada verso la libertà delle masse è ancora lunga e tortuosa, ma forse un giorno potremo danzare tutti di fronte al sol dell'avvenir, per il quale ogni partigiano diede la vita. 

Concludo citando un eroe assassinato recentemente, Vittorio Arrigoni.

Nonostante tutto, restiamo umani.

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