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Sentenza contro Google: regimi e major ringraziano

 

Sentenza contro Google: regimi e major ringraziano

Il 24 febbraio un tribunale di Milano ha condannato alcuni dirigenti del motore di ricerca Google per "violazione della privacy".
 
Con tale sentenza si rinnega un principio che in tutto l’occidente viene considerato universale, la pietra angolare della tecnologia di Internet ovvero la neutralità della rete.
 
La sciagurata sentenza del tribunale di Milano va nella stessa direzione di un’altra recente sentenza di un tribunale di Roma che, pochi giorni prima aveva condannato la piattaforma YouTube, imponendole di rimuovere alcuni clip sul "Grande Fratello" di Mediaset e aveva (orwellianamente) imposto alla piattaforma di evitare che la situazione si ripresentasse in futuro, una "censura preventiva".
 
Il tribunale ha imposto quindi l’obbligo di sorveglianza preventiva ad una struttura tecnologica che offre solo la possibilità di svolgere comportamenti che potrebbero essere sanzionati (a discrezione dei tribunali o della legislazione), senza indicare chi e in base a cosa si dovrebbe operare tale censura (filtraggio).
 
Con la sentenza del tribunale di Roma si è creato in Italia un pericolosissimo precedente, una "nuova era per gli editori" come ha trionfalmente commentato RTI. I provider e le piattaforme, in base a questa giurisprudenza, avranno l’obbligo di censura, una specie di responsabilità editoriale, come quella che pesa sui media mainstream italiani, dove il direttore è responsabile penalmente di qualsiasi cosa venga pubblicata (Legge n 47/1948). Qualunque cosa, anche un commento o una pubblicità.
 
E si noti, cosa sommamente importante: la logica che accomuna le due recentissime sentenze di Milano e Roma è la stessa che sostiene l’attacco che il regime sta conducendo contro Internet.
 
Le proposte di legge Carlucci e Barbareschi nonché lo stesso Decreto Romani (in via di approvazione in questi giorni) e i vari obblighi di rettifica per il web inseriti nel pacchetto sicurezza dell’anno scorso, vanno tutti nella stessa direzione ovvero la logica perversa di volere a tutti i costi indicare un responsabile da colpire e che quindi, per timore di ciò, pratichi l’autocensura sui contenuti della piattaforma internet che gestisce.
 
Non dimentichiamo che il Decreto Romani, nella sua stesura originaria, parificava ogni sito, ogni blog, ad una rete tv, con le stesse responsabilità penali.
 
E’ la stessa logica che ha spinto i dirigenti del regime cinese ad imporre alla stessa Google e ad altri big di internet di filtrare preventivamente certi contenuti che i netizen di tale Paese non avrebbero dovuto vedere. E si noti che i big di Silicon Valley, pur di non rinunciare al ricco mercato cinese hanno a suo tempo accettato la censura imposta dalla dittatura cinese. Solo Google, recentemente ha avuto uno scatto d’orgoglio e ha iniziato un braccio di ferro col regime cinese.
 
Questa perversa e illiberale logica sta imponendosi, coi più nobili motivi, anche in Occidente.
 
Col pretesto della "difesa della privacy" si vuole scardinare un principio molto più importante, quello della Net Neutrality.
 
Se passasse questo abominevole e illiberale principio non si vede in cosa saremmo diversi dal regime cinese o similari.
 
L’Italia sta facendo da apripista e le multinazionali che speculano sul diritto d’autore e i regimi che vogliono mettere la mordacchia alla libera informazione del web si trovano servito, da queste sentenze, un formidabile grimaldello per pervertire, snaturare, asservire, quella logica di libertà e circolazione anarchica delle idee e delle informazioni senza la quale Internet non esisterebbe, situazione questa che per regimi e multinazionali, che odiano Internet, sarebbe la situazione ideale.
 
La volontà di soggiogare e controllare Internet e la libera circolazione delle informazioni è una tradizione italiana che si inserisce, a sua volta, in una tradizione di censura plurisecolare.
 
Rendiamoci conto che la vera Bastiglia da espugnare oggi è quella per la libera ed universale circolazione delle informazioni, dei bites, qualsiasi essi siano, anche quelli che non ci piacciono. E’ il prezzo da pagare.
 
Se passa il principio che qualcuno può arrogarsi il diritto di stabilire cos’è la verità sul web, è finita. 
 
 
 
 

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