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Scuola pubblica: una irragionevole propaganda

Nella scuola pubblica non di rado capita che interventi propagandistici vengano spacciati agli studenti per veri e propri progetti didattici. Alle preoccupazioni che accompagnano le visite pastorali o altre simili iniziative apertamente clericali si somma in questi casi la dissimulazione insidiosa. Un esempio recentissimo ce lo offre il “percorso” dal titolo “Una ragionevole speranza – Fatti e dati per guardare ad un futuro da protagonisti”, “rivolto ai maturandi di tutte le scuole superiori”.

L’immagine sul volantino di un ragazzo che alza gli occhi a un cielo da cui gli proviene una luce misteriosa doveva mettere sull’avviso; l’ospite d’onore, un sacerdote, anche. Un cappellano carcerario, per l’esattezza, dunque un rappresentante dell’ex religione di Stato stipendiato dallo Stato per operare in via privilegiata in un luogo obbligante (proprio negli stessi giorni si sono lette alcune lamentele relative ai suoi colleghi ospedalieri e militari). Come se a scuola non ci fossero già i docenti di IRC, figure in larga misura analoghe che vestano o meno l’abito talare pure loro.

D’altra parte, l’associazione proponente, Diesse, si dichiara orientata solo a “didattica e innovazione scolastica”, e molti docenti sembrano prenderla sul serio (anche se, dopo aver esaminato con attenzione un paio di sue proposte, è impossibile non farsi qualche domanda). E, nonostante tutto, anche la lunga esperienza del sacerdote, sia nel carcere minorile sia nella sua comunità di accoglienza per minori, poteva forse risultare stimolante. Si poteva ragionevolmente sperare che la “ragionevole speranza” si riferisse alle tematiche della legalità, della giustizia, della pena e del reinserimento sociale. Mentre l’altro relatore, un amministratore delegato di una grossa società, avrebbe potuto magari contribuire all’orientamento lavorativo dei maturandi.

Tuttavia, a sentire il sacerdote, sembrerebbe che la criminalità, specie quella minorile, nel nostro paese sia in crescita (nonostante le statistiche dicano il contrario) e che le cause siano le eccessive mollezze concesse dalla nostra società troppo permissiva. Sulla base di altrettanto superficiali psicologismi viene asserita la presunta correlazione tra l’uso di non meglio specificate droghe e la devianza. Per cui, circolarmente, la criminalizzazione sembra l’unica risposta adeguata.

A un certo punto il sacerdote rievoca la famigerata vicenda degli islamisti passati per la sua comunità prima di andare a combattere in Siria. Ma pure questa occasione di affrontare in modo opportuno fondamentalismo, immigrazione e integrazione viene immolata sull’altare del moralismo più melenso. Naturalmente non può mancare la sentita testimonianza di “una fede che ti fa guardare a quella situazione come a qualcosa che ti rinvia ad altro, ti rinvia oltre, come qualcosa che è immerso in una storia più grande di noi, nella storia della salvezza”. I due giovani foreign fighter non avrebbero saputo dir meglio. Gli scettici invece non possono che rafforzare i propri dubbi circa l’approccio delle autorità a problemi tanto gravi. Solo in questo senso la lunga predica potrebbe risultare non del tutto inutile.

Va persino peggio con l’intervento dell’altro oratore, verosimilmente coinvolto dagli organizzatori tramite i comuni rapporti con la Compagnia delle Opere. Assistiamo a un ulteriore profluvio di banalità che termina con un ispirato sermone finale: “Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, in questo percorso di comprensione, di immedesimazione con tutto quel che c’è. Mi sembra che Gesù stesso ci chiami a pregare il Padre nostro direttamente senza intermediari”.

Non possiamo che prendere atto delle legittime credenze personali dei due signori, ma in tutto questo che cosa c’entrano la didattica e l’innovazione scolastica? Che cosa c’entrano i maturandi? Che cosa c’entra la scuola?

Andrea Atzeni

 

 

 

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