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“Salario Minimo anche in Italia” contro il dumping contrattuale

Un video e un’iniziativa per dire che chiedere il salario minimo e lottare per strappare degli aumenti contrattuale non sono in contraddizione. E per denunciare il modo in cui le imprese usano gli appalti per tagliare il costo del lavoro persino al di sotto della soglia di povertà.

E’ questa l’iniziativa lanciata nei giorni scorsi da “Salario Minimo anche in Italia”, la campagna a sostegno dell’introduzione di un salario minimo legale da 9 euro l’ora lordi e per innalzare il livello della cassa integrazione e del sussidio di disoccupazione al 90% del reddito effettivo, cancellando gli attuali massimali (qui il testo della proposta, che è possibile sottoscrivere). Gli organizzatori della campagna lo hanno fatto con un video pubblicato nei giorni scorsi sulla pagina FB della campagna, con cui esprimono il loro sostegno pubblico ai lavoratori delle imprese multiservizi e della vigilanza privata, in piena vertenza per il rinnovo dei rispettivi contratti scaduti da oltre 5 anni.

“Abbiamo scelto queste due categorie – scrivono – non solo perché tra le meno pagate, con una forte presenza di lavoratrici, migranti, giovani, ma anche perché protagoniste di un fenomeno di dumping contrattuale sempre più diffuso: si moltiplicano infatti i casi di cambi d’appalto in cui lavoratori inquadrati con contratto multiservizi vengono riassunti con contratto delle vigilanza privata subendo decurtazioni salariali che possono sfiorare il 40%. E’ il caso denunciato qualche anno fa dai portinai dell’ospedale San Bortolo di Vicenza, dove le paghe avrebbero subito una decurtazione dell’80% precipitando a 3,50 l’ora”. Ma i casi si moltiplicano. C’è, ad esempio, quello di “un lavoratore che dopo aver prestato servizio per 7 mesi come receptionist a tempo pieno presso l’ARPA di Torino con contratto multiservizi , è stato riassunto con CCNL Vigilanza – Servizi Fiduciari passando da una retribuzione di 1.237,89 euro mensili (per 14 mensilità) a una di 930 (13 mensilità)”. Qui il Tribunale di Torino ha riscontrato che in questo modo la sua retribuzione netta è scesa addirittura al 70% della soglia di povertà.

Per un caso analogo – proseguono – “il Tribunale di Milano (sentenza 3003/2019) ha accertato la “nullità e/o illegittimità dell’art. 23 del CCNL Vigilanza Privata – Servizi Fiduciari” (quello che fissa i minimi per le guardie non armate) ‘per contrarietà all’articolo 36 della Costituzione’, secondo cui il salario deve essere ‘proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro’ prestato e in ogni caso sufficienti ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia ‘un’esistenza libera e dignitosa’”.

Secondo i promotori della campagna per il salario minimo: “Questi esempi confermano la necessità di un intervento legislativo su aspetti che non possono essere sottoposti a contrattazione e che non invaliderebbe la prerogativa dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali di battersi per ottenere una retribuzione che garantisca un’esistenza più che libera e dignitosa”.

Un intervento che non si limiti a fissare un salario minimo per legge ma che ripristini anche la vecchia legge che vieta a chi vince un appalto di applicare un contratto collettivo diverso da quello della ditta appaltante per tagliare il costo del lavoro. “Sennò la gara al ribasso non finisce mai e ci ritroviamo di fronte a uno stillicidio continuo di situazioni come quella denunciata nei giorni scorsi a Trieste, dove i dipendenti in appalto dei musei cittadini oggi lavorano per poco più di quattro euro l’ora”. E’ questo il futuro che vogliamo?

Il video dell’iniziativa si può vedere anche qui 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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