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Rosa della Tacconi: “La vera Resistenza è la legalità”

Dopo 543 giorni è finita l’occupazione della fabbrica Tacconi a Latina, che ha finalmente trovato un imprenditore pronto a riprendere la produzione. La Tacconi è stata una delle nostre primissime storie, dopo l’Asinara, ed è con grande gioia che pubblichiamo questa lettera da Rosa, che ci spiega come sono andate veramente le cose.

In tutte le interviste i giornalisti ci hanno detto: “Allora avete vinto!” e mi spiace aver spento il loro entusiasmo rispondendo che abbiamo vinto una battaglia, non la guerra. Dopo aver ripreso un po’ di normalità posso iniziare un bilancio di questa vicenda. Come è iniziato il presidio? Con un’assemblea sindacale, l’ultima richiesta in modo formale ed accordata dall’azienda il 18 gennaio 2011. Non gli abbiamo detto, chiaramente, che intendevamo restare in fabbrica. E tantomeno che ci saremo rimaste per 543 giorni (Ma questo non lo sapevamo).

A una certa iconografia della lotta piace molto il termine “occupazione” magari con la K, ma con tutto il rispetto che ho per i disobbedienti, vorrei che non fosse necessario violare la legge per esercitare un diritto. Visto che delle leggi dedicate ancora esistono. Tipo lo statuto dei lavoratori: la legge 300 consente, in un passaggio dell’articolo 20, di rendere un’assemblea permanente:

“I lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell’orario di lavoro".

E’ chiaro che si tratta di un’interpretazione, ma prima che tentino di modificare anche questo di articolo, cerchiamo di difenderlo e conoscerlo! Poi il delicato tema della rappresentanza sindacale. Infatti il secondo argomento sempre evidenziato dai giornalisti è stato il lato umano, piuttosto che la vertenza in sé, e me ne assumo la responsabilità: ho voluto e lasciato che la nostra storia venisse trattata così perché mi rendevo conto di un fatto.

La nostra vicenda non aveva una reale soluzione: nel momento in cui iniziammo l’assemblea permanente nemmeno sapevamo dell’esistenza dell’imprenditore che oggi si è impegnato in questo affitto d’impresa (sotto il controllo di un tribunale, è bene ricordarlo). Per questo ho volutamente rimarcato il valore umano del gruppo, se avessimo spostato la discussione sul piano delle soluzioni si sarebbero alternati in passerella tutta una serie di personaggi che – bontà loro – ci avrebbero salvato! Questo non significa che non avevamo una segreteria sindacale di comparto a difenderci, cioè la Femca Cisl, che ha avuto un ruolo strategico sia per la parte legale che per la ricerca dell’imprenditore. Ma per questo, la sottoscritta e le altre pagano già una tessera, e siccome una delega esiste perché sono i lavoratori a sostenerla economicamente, una struttura sindacale che difende i lavoratori deve, appunto, difenderli per ontologia.

Voglio dire che non devo meravigliarmi se questo accade. Non sono d’accordo con chi dice che eliminando la politica e le istituzioni si risolve il problema. La vera questione in gioco è proprio l’istituzione democratica, se la parola Democrazia indica nel suo significato il “Popolo sovrano” allora il popolo ha responsabilità di governo. Vota i suoi rappresentati (sia al governo che nel sindacato) e il nodo vero è l’esercizio della cittadinanza, il rispetto delle leggi e la partecipazione, non solo al destino della propria fabbrica ma di tutto il nostro sciagurato paese. Questo lo dico soprattutto a chi tiene tanto a sottolineare la differenza tra i lavoratori garantiti e quelli precari: l’unica vera differenza tra queste due categorie di lavoratori è la mancanza di impegno dei primi nei confronti dei secondi.

Il trailer del documentario 'Atlantis' sulla storia della Tacconi

I lavoratori iscritti al sindacato si interessano della loro condizione solo quando le fabbriche chiudono, qualche volta si iscrivono al sindacato solo in quel momento! Se pensiamo che i diritti possano essere difesi al momento del bisogno allora non siamo meglio dei nostri governanti, che al bisogno ci interpellano per il voto. Se poi i precari dal canto loro, per paura di essere licenziati accettano consigli dell’azienda su “come farsi rinnovare il prossimo contratto” non iscrivendosi al sindacato, firmando lettere di licenziamento in bianco (se donne), su quale base giuridica pensano di poter esercitare i loro diritti se accettano intimidazioni simili? Sicuramente i precari possono non riconoscersi nei sindacati attuali, ma i diritti sono sanciti nella Costituzione, non dai sindacati!

Per tornare alla nostra vicenda: se non avessimo osservato la legge, tramite la norma sull’assemblea permanente, non saremo potute rimanere in una fabbrica per 543 giorni! E grazie a questa pressione esercitata, con Prefetto e Digos obbligati a difenderci, il nostro datore di lavoro non ha potuto portare via macchinari e materiali. Per questo ho chiamato questa azione di difesa del lavoro: “Habeas corpus contro la crisi”.

Qualcuno mi ha detto: “E’ una nuova forma di lotta?”, ho risposto no. È semmai ristabilire un principio fondamentale, che istintivamente tutti i lavoratori che si sono trovati in una vicenda come la mia hanno rispolverato, in una situazione di emergenza. Perché tutti sono impegnati in masturbazioni post-ideologiche, piuttosto che, ad esempio, pensare a riformare il diritto commerciale? O ripristinare il reato per il falso in bilancio! Così capiremmo meglio come mai tutte le fabbriche con problemi di liquidità possono dichiarare una “cessata attività” con la stessa semplicità con la quale si può fare benzina al distributore.

Oppure, sempre in emergenza, le sigle sindacali coinvolte in crisi dove è chiaro l’intento di delocalizzare potrebbero pretendere il “costo sociale”, perché è troppo facile firmare una cassa integrazione quando a pagare è il fondo Inps dei lavoratori! Devi delocalizzare? Non posso impedirtelo siamo in un sistema capitalistico, ma pagateli tu gli ammortizzatori sociali. Anzi mettilo al primo punto delle spese di trasloco! Così si capisce meglio se dietro tutte queste “cessate attività” si nascondono crisi reali o si tenta eludere il fisco, o di creare bolle speculative.

La vera Resistenza è questa: credere nella legalità, esercitare il diritto, partecipare alla vita politica di questo paese, non importa quale scatola vi scegliete! Di destra o sinistra! Pretendete che venga applicato l’ordinamento per il quale siamo una “Repubblica fondata sul Lavoro”! Il successo della vicenda della Tacconi Sud è stato l’esercizio della cittadinanza, la consapevolezza che i diritti possono essere difesi soltanto rappresentandoli in prima persona, e se necessario anche con il corpo!

Intere generazioni sono morte per un’idea di democrazia e libertà, hanno pagato con tutto quello che avevano senza nemmeno essere cittadini di uno stato democratico! Credendo soltanto in un mondo migliore. Se ci vedessero oggi, forse, nutrirebbero dubbi sulla “qualità del popolo” per il quale sono morti.

Quanto a me, che ho sacrificato molto della mia quotidiana esistenza, per questa “idea di rappresentanza” non provo la sensazione di nessuna vittoria, perché il mercato del lavoro non è cambiato, come non è cambiato il diritto commerciale e il sindacato. La Resistenza è la misura dei valori, se si resiste all’evidenza del contrario tanto più quei valori vanno mantenuti e difesi.

di Rosa Emilia Giancola

Questo articolo è stato pubblicato qui

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