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Romania, le vite sradicate dagli sgomberi forzati

Claudia Greta ha 20 anni. Ha vissuto in via Coastei, nella città di Cluj-Napoca, dall’età di nove anni fino al 2010, quando le autorità cittadine hanno sgomberato con la forza l’intero quartiere. I residenti sono stati trasferiti a Pata Rât, una zona alla periferia della città, nota per la sua discarica e per l’ex discarica di rifiuti chimici. A diverse famiglie non è stata fornita una sistemazione alternativa.

Claudia Greta si è ritrovata a condividere una piccola stanza con i genitori e la famiglia del fratello, in tutto 11 persone: “Ci hanno gettato vicino all’immondizia come se fossimo spazzatura così… Loro [le persone di Cluj] non sanno dove e come viviamo, che stiamo in questa stanza, che ci laviamo qui, che mangiamo qui, che facciamo i compiti qui, che facciamo tutto qui”.

Nell’ottobre 2001, il sindaco di Piatra-Neamţ aveva annunciato l’intenzione di creare un “ghetto rom” in un ex allevamento di polli, alla periferia della città. Ora, 12 anni dopo, ha raggiunto il suo obiettivo e ha spinto tutti i rom di Piatra-Neamt alla periferia della città. 

Queste sono due delle storie contenute in un rapporto pubblicato ieri da Amnesty International sugli sgomberi forzati delle comunità rom in Romania.

Il rapporto segue le vicende di cinque persone provenienti da tre città romene dopo che erano state sgomberate con la forza dalle loro case. Vi si legge il profondo impatto sulle loro vite causato dalla perdita di case e mezzi di sussistenza, la separazione dalla comunità di appartenenza, lo stigma, le difficoltà di accedere all’istruzione e all’assistenza sanitaria e il trauma stesso dello sgombero.

La legislazione vigente in Romania non garantisce il diritto a un alloggio adeguato per tutti i suoi cittadini e non vieta gli sgomberi forzati. In questo modo, le autorità locali possono spazzare via impunemente le comunità rom dai luoghi in cui vivono da lungo tempo e trasferirle in alloggi inadeguati, lontane dalla vista del resto della popolazione, con il pretesto, si legge nel rapporto di Amnesty International, della “rinascita dei quartieri poveri” e dello “sviluppo”.

Tali riallocazioni spesso sfociano in ulteriore emarginazione e povertà e non si capisce come possano favorire le politiche governative destinate a combattere l’esclusione sociale dei rom e di altri gruppi vulnerabili.

Oltre a quelle dell’allevamento di polli in disuso e delle discariche, c’è un’altra storia che merita di essere raccontata: quella dello sgombero di Craica, un insediamento nella parte nord-occidentale di Baia Mare (nella foto), avvenuto nel 2012.

Il comune ha sgomberato con la forza la metà dell’insediamento, demolito le case e reinsediato alcune centinaia di rom ai margini della città, in edifici appartenenti a un’ex fabbrica metallurgica, la Cuprom.

Alle famiglie trasferite alla Cuprom sono state date una o due stanze senza riscaldamento, con un solo bagno per ogni piano. Gli edifici non erano stati convertiti a uso abitativo e in uno di loro – un ex laboratorio chimico – ancora erano immagazzinate sostanze chimiche, con esiti che potete leggere qui.

Rodica è andata a vedere l’alloggio alternativo che le era stato assegnato alla Cuprom: “C’erano alcuni armadi di ferro con molti vasetti… segnalati con il simbolo ‘pericolo’. Ne ho aperto uno e gli occhi e la bocca hanno cominciato a bruciare, non riuscivo a respirare. Erano pieni di sostanze chimiche… Ecco perché io lo chiamo il campo della morte” – ha raccontato Rodica ad Amnesty International.

Chiudiamo con Dusia, sgomberata tre volte nel corso della sua vita. L’ultima volta è successo nell’agosto del 2012, quando le autorità locali della città nord-orientale di Piatra Neamt hanno sgomberato con la forza circa 500 rom dalle unità abitative in via Muncii e li hanno riallocati in “case popolari“ inadeguate a Valeni 2, una zona isolata a circa sette chilometri di distanza dal centro della città, separata da una zona deindustrializzata e da un fiume. Ora deve percorrere circa un chilometro di strada fangosa e non illuminata per raggiungere la fermata dell’autobus più vicina.

“Qui è pericoloso. La foresta è vicina, ci sono gli orsi e i lupi. Se tu fossi al posto nostro, non vorresti almeno l’elettricità, una strada, un autobus e un negozio di alimentari per comprare il pane? Non ti sentiresti meglio vedendo un po’ più di luce, quando esci fuori di notte?” – chiede Dusia al suo governo.

“E se fossimo al loro posto?”. Dovremmo porci, ogni tanto, questa domanda.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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