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Rinascimento alla saudita

Negli ultimi giorni ha fatto molto discutere in patria la visita a Riyad dell’ex Presidente del consiglio italiano Matteo Renzi al margine di una conferenza internazionale, nella quale come membro effettivo dell’organizzazione Future Investement initiative (Fii) istituita e fondata dal principe e futuro monarca Mohammad bin Salman, ha manifestato “con invidia” il “modello democratico” dell’Arabia Saudita, come se la nazione araba sfornasse esempi di virtù e laicità propri degli ordinamenti democratici occidentali.

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Sfortunatamente l’Arabia Saudita rispetto ai propositi generosi del senatore Renzi è lungi dall’essere la culla di un Rinascimento mediorientale per una serie di ragioni. In primo luogo, l’élite saudita sul piano culturale è ancora lontana dall’Europa, culla della civiltà greco-romana, e sede fisica nel passato, grazie al genio italiano, del Rinascimento che pose la figura dell’uomo e la sua libertà di espressione nelle arti e nella letteratura centrali per compiere un umanesimo maturo che guardasse agli ideali di bellezza e di dignità grazie al sostegno di grandi mecenati come i papi Giulio II e Leone X. 

Generalmente quando discutiamo sul mondo islamico, lo associamo al mondo arabo. Tuttavia, gli Arabi autoctoni, nel senso letterale del termine, sono situati nell’attuale Arabia Saudita in cui dal 1927, dopo l’unione di una buona parte della penisola arabica (ai quali sono ad esclusione lo Yemen martoriato da una lunga e sanguinosa guerra civile, l’Oman, il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti), per l’opera del capostipite della dinastia dei Saud, Abd al-Aziz. Elevati dal rango di predoni e nomadi a quello di petrolieri dopo la fortunosa scoperta di immensi giacimenti di petrolio la loro ascesa nello scacchiere geopolitico mediorientale segue gli episodi della guerra del Kippur del 1973 e la crisi europea per l’approvvigionamento del petrolio. Che lascerà degli strascichi pure in Italia a seguito di una serie di indagini promosse dal magistrato Mario Almerighi che mostrò la logica del do ut des tra i partiti italiani e le principali compagnie petrolifere italiane per vendere carburante all’estero in cambio di tangenti, causando danni non calcolabili alla collettività italiana.

La crisi del petrolio del ’73 garantì all’Arabia Saudita un enorme afflusso di dollari, reso utile e necessario per promuovere il grande disegno di indottrinamento dell’ideologia wahabita di stampo puritano e conservatrice in tutti i paesi del mondo islamico sunnita, dalla Malesia all’Indonesia passando per il Sudan. L’interesse di diffondere il wahabismo nel mondo islamico è stato accompagnato da una campagna di filantropia e di sostegno finanziario alle economie più debilitate della galassia sunnita. L’Arabia Saudita attraverso la costruzione di moschee e di madrase (le scuole coraniche) e la distribuzione gratuita dei testi sacri islamici come il Corano e la Sunna ai paesi inseriti nel grande network dell’Organizzazione della conferenza islamica (OCI) ha offerto solidarietà e assistenza, allo scopo di creare un legame viscerale in paesi instabili come il Pakistan di Zia, il Sudan, l’Indonesia, la Nigeria, la Somalia e la Malesia.

Lo scopo primordiale del sogno dei Saud è quello di istituire un nuovo Califfato abbaside che persegua la loro “vecchia vocazione egemonica sul significato dell’Islam in tutta “l’Umma” (la comunità mondiale dei credenti di fede musulmana) sotto la loro guida. Dal ’73 la loro posizione predominante nel mondo arabo si è esacerbato sulle nation failure” ormai dipendenti dai loro sussidi per alleviare le loro povere economie. Gli aiuti sauditi, per certi aspetti e per opportunità sono stati paragonati al sostegno all’Europa da parte degli Stati Uniti con il piano Marshall del 1947. Il sostegno americano verso i paesi europei, divenne de facto, un potente strumento geopolitico per imporre la loro influenza e il loro modello di democrazia sulla cultura europea in antitesi ai nazifascismi sconfitti e al comunismo in tutte le sue forme e varianti (maoismo, marxisimo-leninismo).

All’interno di questa cornice qual è l’origine della distinzione tra gli arabi sunniti dagli sciiti? Se vogliamo fornire una risposta storica, basterà ricordare che all’indomani dell’opera di conversione dei miscredenti pagani da parte di Maometto e dei suoi fedelissimi, culminata nell’assedio militare di La Mecca, il profeta si prefissò come obiettivo primario quello di unificare l’umanità sotto un governo di ordinamento teocratico. Infatti, poco prima della sua morte sopraggiunta nel 632, intuì che sarebbe stato fondamentale indicare una linea di successione per garantire la prosecuzione del suo programma teocratico.

Alla sua morte gli successero i suoi più fedeli seguaci, nella tradizione islamica dichiarati come i “migliori”, quelli che ripudiando il titolo di monarca, si fecero attribuire l’appellativo di Khalifa, termine arabo ambiguo che combina i significati di sostituto e successore, divenendo a partire dal califfato di Abu Bakr, una struttura monocratica dai chiari contorni politici. La nomina dei nuovi califfi, a partire da Abu Bakr, facilitò il sorgere dei primi dissapori all’interno della comunità dei fedeli, dal momento che alcuni patteggiavano per il cugino di Maometto Ali ibn Abi Talib il quale prese in sposa la figlia Fatima. 

I dubbi fra i neo-musulmani sulla guida legittima di Abu Bakr, iniziarono non appena diventò il nuovo califfo. La crisi sfociò al termine di crescenti tensioni che culminarono con l’uccisione del califfo Othman, il terzo successore di Maometto, ritenuto da una parte dei musulmani un usurpatore rispetto alla riconosciuta fiducia accordatagli dalla maggioranza della comunità. Solo più tardi con la morte di Ali che la scissione nel mondo islamico prese forma con lo sviluppo della corrente sunnita che si richiamava alla Sunna, ai principi, usi e costumi, azioni e parole del Profeta. I califfi assumeranno il ruolo di guide spirituali in terra ripudiando la corrente ideologica sciita, la cui origine etimologica rimanda al significato di seguace di Ali nella composizione araba delle parole “shi’a di ‘ Ali“. 

Prima di morire Ali fece da scudiero per i responsabili dell’assassinio di Othman perseguendo un programma politico per la difesa degli uccisori del califfo. Questa posizione fu guardata con sospetto dai fedeli ad Othman, i quali per vendetta ideologica assassinarono Ali. Dopo la sua morte, il califfato diventò ereditario, concentrandosi nelle mani della dinastia degli Omayyadi. Nei secoli a venire la contrapposizione fra i sunniti e gli sciiti continuò ad ampliarsi, divenendo un fenomeno caratterizzante del mondo islamico, in cui i sunniti costituiranno il 90% circa del Global Muslim, rispetto agli sciiti presenti in Iraq, Libano e Iran. Particolarmente, la vicenda iraniana è unica. Partendo fin dall’ascesa della grandiosa dinastia Safavide, in una regione dotata di una storia e di una cultura millenaria, nella quale i valori religiosi riuscirono efficacemente a congiungersi con quelli nazionalistici.

Facendo un breve excursus storico l’Iran per una parte dei persiani è idealmente il continuatore della grande dinastia degli Achemenidi dei Gran Re di Persia, da Ciro il Grande fino a Dario III, prima che quest’ultimo fosse spodestato dalla furia di Alessandro Magno. Dopo qualche secolo dormiente, l’identità persiana si risvegliò a cavallo tra l’età imperiale romana e il tardoantico con l’avvento della dinastia dei Sasanidi. Gli arabi sauditi, al contrario, rispetto alla variante sciita, non hanno una definizione nazionalista e identitaria della loro civiltà. Essi si rifanno al pensiero del creatore della corrente puritana Muammad al-Wahhab. Al-Wahhab teologo arabo del Najd vissuto nel XVII secolo, si richiamava alla scuola giuridica di IBN Hanbal e IBN Taymiyya riguardo ad una forte adesione agli ideali del Corano e della Sunna volendo applicare rigorosamente i principi e i metodi della sharia. Il pensiero di Wahhab che prevedeva il rifiuto di una dimensione mistica della religione, seguiva una sorta di idealizzazione della città islamica primitiva dei salaf.

Questo irrigidimento del pensiero favorì l’interpretazione radicale e conservatrice del Corano, ritenendo infedeli tutti coloro che non seguivano letteralmente e con lealtà la condotta di vita e le azioni di Maometto (tra i quali i sufi e gli sciiti). Una posizione così rigida scaturì in un profondo conservatorismo di quei popoli che l’assunsero a modello, in primis sauditi. Al giorno d’oggi, l’Arabia Saudita nonostante i rapporti geostrategici con le potenze occidentali continuano ad essere ancorati a vecchi schemi ideologici e di realpolitik risalenti al Medioevo, nei quali i principi di coscienza civile e di tolleranza erano pura utopia. 

 

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