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Rilanciare il contenuto - Per una nuova serie A

Adriano Galliani sa che il Milan per qualche anno deve dire arrivederci alla Champions League. Troppo strutturate le squadre inglesi e spagnole per poter reggere l’urto anche dopo i primi anni di fair play finanziario. Tolta la possibilità di vincere in Europa, al Milan viene tolto il suo portato di significato primo quando aggredisce i mercati extraeuropei: siamo la squadra campione del nostro continente o addirittura del mondo. 

Questa decadenza delle squadre italiane avviene in un momento molto delicato. I mercati tradizionali sono ormai saturi e in crisi, per cui è vitale guardare ai mercati emergenti che, per definizione e natura, non possono avere memoria. In sintesi e in relazione al nostro discorso, per il mercato cinese Borriello vale mille volte di più di Van Basten.

Di fronte ad una soluzione del genere Galliani sa che ha da percorrere due strade per la sua squadra: inserire nuovi capitali all’interno della società e lottare con gli sceicchi per accaparrarsi i campioni oppure ricontestualizzare il valore comunicativo del Milan, proponendo un prodotto nuovo in cui il Milan continua ad essere il punto di riferimento. Il primo passaggio è impossibile, per il secondo c’è bisogno di un prodotto da offrire ai mercati di grande appeal, come non è ad oggi la nostra serie A.

Galliani sulla Gazzetta dello Sport di qualche giorno fa parlava di stadi di proprietà, come rimedio per superare l’empasse in cui siamo caduti. Non sono totalmente d’accordo. Gli stadi nuovi serviranno a fare il solletico al mercato interno, sfibrato dalla crisi, ma per attaccare i mercati esteri serve qualcosa di più. Ma cosa?

La mia risposta l’ho trovata in un libro, “Il Basket eravamo noi” di Larry Bird, Magic Johnson e Jackie MacMullan (Baldini Castoldi Dalai Editore) nel quale viene raccontata la storia umana, professionale e iconologica di Larry Bird ed Earvin “Magic” Johnson.

Alla fine degli anni ’70 la NBA era in una crisi nera molto peggiore della situazione della serie A attuale. Gli atleti erano mal visti perché troppo pagati e poco rispettosi dello spettacolo e del pubblico, il gioco languiva sui centri di pura potenza e poche stelle riuscivano ad intermittenza ad accendere la fantasia. Basta sapere che gara sette delle Finals 1980, vinte da un Magic che giocò inaspettatamente centro per l’assenza di Kareem Abdul Jabbar, negli Stati Uniti fu vista in differita.


Oggi invece la NBA è uno spettacolo e un mercato intercontinentale. Cosa è successo?

Tutto è cambiato con l’arrivo sul grande palcoscenico di due giocatori diversi e speciali, Bird e Johnson, che hanno rivoluzionato non tanto le tecniche o le tattiche di gioco, quanto il senso comunicativo del basket americano, che non fu più ragazzotti neri guadagnano milioni di dollari con quell’aria da bulli strafatti, ma divenne una battaglia tra due mondi valoriali differenti: l’aggressività sudista e l’etica del lavoro di Bird contro lo showtime brillante e l’estetica del compito di Johnson.

Ecco cosa manca al prodotto serie A per rilanciarsi, mancano personaggi giovani e preferibilmente autoctoni che creino attenzione e appeal intorno alle loro sfide in primis e in seconda battuta intorno all’intera lega. Dobbiamo ripartire dal contenuto più che dal contenente come chiede Galliani, cercare talento e forza e farla emergere nel pantano dove sguazzano i giovani calciatori contemporanei.

Facciamo come David Stern che puntò forte sui due e ha fatto risorgere l’NBA portandola a livelli mai raggiunti, diamo una chance concreta a due o più giovani facendoli diventare il fulcro del gioco e delle strategie mediatiche dei nostri club più importanti. A questo serve la storia.

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