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Riders: non si può morire per portare una pizza

Ieri a Torino i riders hanno manifestato, sfilando per le vie del centro, la loro vicinanza a Zohaib, il loro collega investito da un automobilista il 19 dicembre e tutt’ora ricoverato al S. Giovanni Bosco.

di Fabrizio Maffioletti

Il corteo si è fermato per degli speech davanti al comune e all’ispettorato del lavoro. 

“Non si può morire per portare una pizza. Glovo schiavista sei il primo della lista” hanno inneggiato i manifestanti. 

I ciclofattorini, in particolare quelli di Glovo, lamentano condizioni di lavoro estremamente difficoltose, l’azienda non fornisce loro le più elementari dotazioni di sicurezza: casco, luci, un giubbotto riflettente adeguato, hanno anche dichiarato che devono pagare il cestello a zaino che utilizzano per trasportare il cibo da consegnare. 

Come ben sappiamo il loro lavoro è regolato da un software che assegna un punteggio, più il punteggio è alto e più il fattorino si vedrà assegnare ulteriori consegne, avendo l’opportunità di guadagnare di più. 

Quindi se per motivi magari moto seri, o semplicemente per una settimana di vacanza, il rider smetterà di lavorare, vedrà il proprio punteggio scendere. 

È eticamente accettabile che un lavoratore non abbia praticamente diritti inerenti al proprio lavoro, che le sue condizioni di vita, di essere umano, siano regolate da un algoritmo?

(Foto di Fabrizio Maffioletti)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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