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Resistenza mediatica

 
La politica sulla comunicazione è da circa venti anni ferma sul conflitto d’interessi e sulla legge Gasparri.
 
In attesa della maggioranza necessaria per approvare queste leggi, trionfa la rassegnazione e l’inerzia.
 
Nel frattempo la macchina massmediale, gestita da Berlusconi, ha continuato e continua a produrre cultura, ad influenzare comportamenti, a cambiare la società e dunque noi stessi.
 
Una macchina che incide su una platea dei teleutenti sonnolenta, incapace di sottrarsi all’influenza mediatica, e di formulare un’analisi appropriata delle realtà reale e della realtà virtuale, e di interrogarsi sul rapporto tra comunicazione, attività, struttura e natura della politica.
 
E per altro verso, la tv svolge il ruolo dei partiti a cui ha espropriato le sue funzioni, ne condiziona le scelte, e così supporta, affossa o addirittura promuove iniziative politiche, seleziona e forma personale politico, produce consenso.
 
L’analisi, la linea politica, l’organizzazione di un partito, e le stesse riforme istituzionali non possono prescindere dalla comunicazione.
 
La stessa analisi politica risulta fuorviante se non tiene conto della comunicazione, mentre nessuna iniziativa politica può essere attivata senza i massmedia, ed un partito senza strutture organizzative della comunicazione, è un partito destinato a subire l’agenda mediatica e quindi politica altrui. 
 
Mentre tutto ciò avviene, vige ancora la tradizionale opinione per la quale la comunicazione è solo uno strumento per diffondere iniziative politiche. Non ci si è accorti che essa ha cambiato i connotati dei partiti e della loro attività, e che la politica, sempre più personificata, mercificata, mediatizzata, non vive più di vita propria.
 
L’esperienza “Rai per una notte”,condotta da Michele Santoro, una sorta di interazione tra internet, tv e società civile, ha dimostrato a tutti, che già da oggi è possibile aprire una breccia nel muro del regime mediatico berlusconiano. Già da oggi è possibile immaginare, ad esempio, un’ipotesi di resistenza mediatica, che significa: formazione di una coscienza critica, comunicare bene, conquistare spazi informativi.
 
La coscienza critica è il prodotto della capacità critica e dell’analisi politico/mediatica. Si tratta di guardare la tv ed di analizzare i fatti ad occhi aperti, di verificare le notizie non date, le notizie nascoste,le notizie manipolate anche con il raffronto con le notizie della stampa, e quindi comparare i dati reali con quelli comunicati, di conoscere i meccanismi di manipolazione mediatica, di acquisire una capacità di ragionamento ridotta al lumicino dalla invadenza arrogante delle immagini.
 
E d’altra parte se ci si abitua ad individuare il meccanismo e il progetto comunicativo di ogni trasmissione tv, ogni talk ogni tg, ci si accorge che Santoro comunica le notizie che i tg non danno, Vespa e i tg parlano dei temi lanciati da Berlusconi e tacciono o nascondono quelli lanciati dall’opposizione. E ciò, attraverso un meccanismo comunicativo che sono le barzellette di Vauro per Santoro, il cartellone che sta dietro i politici ospiti per Vespa. Il famigerato “panino” per i tg.
 
L’enfatizzazione e la manipolazione sono operazioni una tantum di quella singola trasmissione, di quel singolo tg, oppure sono parte di un’iniziativa politico/mediatica realizzata con il concorso coordinato della stampa e della tv del signor B? Qual è la reazione dei giornali e delle tv vicine all’opposizione a tale iniziativa? Questi gli interrogativi a cui dare risposte.
 
La coscienza critica è il bagaglio indispensabile per l’analisi politico/mediatica. La tradizionale analisi politica si esercita sui bisogni veri delle persone oppure su quelli indotti dalle tv senza distinzione alcuna. In particolare non si tiene conto dei reciproci nessi, delle reciproche influenze e del ruolo della comunicazione.
L’analisi politico/mediatica si realizza con il confronto tra la "realtà reale" frutto degli eventi, e la realtà virtuale prodotta dalla comunicazione, per ricavarne indicazioni per una iniziativa politica.
 
Per chiarirne bene il significato, basta ricordare il caso Reggiani e l’intervento di Veltroni sul governo Prodi per un decreto urgente in materia di sicurezza.
In quella circostanza si è andati appresso alla realtà virtuale e si è trascurato la realtà effettiva senza tener conto del fattore comunicazione. In particolare, non si è valutata la funzione minimizzante dei massmedia della realtà vera, e di creazione ed esaltazione della realtà virtuale. Si è sbagliato perché si è fatta un’analisi politica e non un analisi politica/mediatica. Non si è considerata la comunicazione come oggetto di analisi politica
 
Eppure una siffatta analisi avrebbe consentito di accertare che: vi era un forte divario tra realtà virtuale intrisa di violenza e di paura, e realtà effettiva che segnava un calo dei reati di violenza; tale divario era il frutto di una martellante campagna allarmistica del tutto prevalente rispetto alla comunicazione dei dati reali nascosti nelle pieghe dell’informazione o addirittura non comunicati; lo scopo politico della campagna allarmistica era creare paura nella gente e quindi consenso per i partiti di destra.
 
La realtà virtuale doveva essere considerata, ma non poteva e non può mai essere il riferimento esclusivo per scelte politiche, perché è una realtà effimera legata alla congiuntura di un certo tipo di informazione, e quindi destinata cambiare al venir meno della campagna mediatica.
 
Non bisognava allora seguire la realtà virtuale? Ma se la realtà virtuale non poteva essere seguita, neppure poteva essere trascurata. Una risposta bisognava darla al bisogno di sicurezza della gente. Questa risposta non poteva essere, però, di carattere repressivo bensì mediatica.
 
Occorreva sviluppare una controinformazione per assicurare ai dati reali la stessa informazione dei fatti di cronaca, e denunciare l’esistenza di una campagna allarmistica e il suo scopo politico.
 
Ma la controinformazione può derivare solo dalla capacita di comunicare bene, che significa chiamare le cose con il proprio nome, e dalla coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa.
 
Se una legge è razzista la si chiami razzista, se una legge aiuta le mafie lo si dica, senza perifrasi, con voce chiara e forte.
 
I silenzi, le timidezze, sono molto eloquenti, non sono muti. In particolare comunicano l’assenza di chiarezza di idee.
 
Ma per una buona comunicazione, occorre anche la coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa.
 
Ci sono dei valori non negoziabili come l’antirazzismo o l’antimafia ad esempio. Allora se una forza politica accusa un soggetto politico di razzismo o di supportare la criminalità organizzata, non può dialogare con lui, e tanto meno può parlare di questi argomenti senza un moto di rabbia e di indignazione.
 
Quando si dialoga con chi ha una politica razzista o paramafiosa, si comunica che il razzismo o la mafia sono problemi come altri, e quindi si nasconde la loro gravità. Ma comunicare bene significa anche scegliere gli uomini giusti a seconda del tipo di talk o altro programma relevisivo, scegliere le trasmissioni a seconda di ciò che si vuole comunicare. 
 
Ci sono uomini più aggressivi, da combattimento, adatti alle arene di programmi/pollaio (Omnibus, Ballarò) dove c’è sempre qualcuno a darti sulla voce, rendere incomprensibile il tuo pensiero e sottrarti spazio informativo. Altri uomini, invece, sono adatti a programmi più tranquilli (in 1/2 ora, che tempo che fa) dove è possibile esprimere con calma idee o iniziative.
 
Per il lancio di una manifestazione, per l’illustrazione di una proposta di legge, sono più adatte trasmissioni/interviste in cui è possibile sviluppare un ragionamento e il massaggio può essere espresso compiutamente, e con tranquillità, e quindi essere del tutto comprensibile per lo spettatore.
 
Cosa invece impossibile in trasmissioni turbolente dove, tra un’interruzione ed un’altra, un grido ed un altro, sono possibili solo spot comunicativi e quindi rinnovare l’invito alla manifestazione ovvero esprimere i titoli della proposta di legge.
 
Oggi nessuna conquista dei diritti può essere ottenuta senza timbratura politica dei mass media. Dunque una duplice lotta: la conquista della politicità dei diritti, e la conquista dei diritti. Gli operai lo hanno capito, e per difendere i loro posti di lavoro, sono andati sulle gru, sui tetti delle fabbriche, e da ultimo si sono inventati un reality show all’asinara. Non a caso Epifani ha protestato per l’assenza dalla tv e dai giornali di notizie sulla crisi e sulla condizione operaia.
 
In tale contesto fondamentale diventa la conquista di spazi informativi e quindi la situazione degli spazi informativi che attualmente è la seguente:
 
Impero massmediale di Berlusconi che spazia da giornali, a radio, a tv di proprietà e controllate, e all’interno di tali contenitori, dalle trasmissioni politiche, a quelle di intrattenimento che, quando sono dirette da una parte politica, allargano gli spazi formativi di quella parte politica. 
 
Ma gli spazi informativi possono essere anche conquistati,ottimizzando l’utilizzo dei mass media disponibili, e con la costituzione di più siti in corrispondenza della moltitudine delle strutture di base dei partiti.
 
A questi si aggiungono gli spazi informativi che si conquistano nelle varie trasmissioni tv parlando delle proprie iniziative e non contestando l’avversario ,se contesti l’avversario parla di cio che lui vuole e quindi concedi spazi informativi.
rivelando ciò che si vuole comunicare a prescindere dal tema della trasmissione dalle domande che vengono formulate difendendo gli spazi informativi dall’attacco degli avversari che ti danno sulla voce per ridurli.
 
Quando si programma un’iniziativa,una manifestazione, il lancio di una proposta di legge, occorre chiedersi come comunicarla,come ottenere le prime pagine di giornali e tv, un certo tasso di diffusione sui mezzi di comunicazione.
 
Eppure domande del tipo: quale strategia comunicativa per tale evento,restano senza risposta.
 
Quasi sempre manca qualsivoglia piano comunicativo per far conoscere agli italiani l’iniziativa programmata.

Perché un piano? Ma perché la comunicazione non s’improvvisa, occorre fissare degli obiettivi e individuare gli strumenti per conseguirli. Gli obiettivi sono i risultati concreti che si vogliono raggiungere in termini di mera conoscenza dell’evento, una manifestazione ad esempio,di sollecitazione alla valutazione e all’analisi delle proposte formulate, un disegno di legge ad esempio, di coinvolgimento dei soggetti iscritti elettori alla sua realizzazione, una sottoscrizione ad esempio.
 
Ma obiettivi sono anche la copertura mediatica continua, completa, rilevante dell’evento.
 
La prima per assicurare,per un lasso di tempo, l’informazione giorno per giorno sull’evento programmato. In tale periodo occorre ripetere e ancora ripetere il medesimo messaggio, giacchè, non basta dirlo una volta perche esso sia recepito.
 
La seconda per l’utilizzo di tutta la vasta gamma dei mezzi di comunicazione disponibili,e quindi radio,giornali, tv, internet, strumenti pubblicitari: manifesti vari, riunioni, telefonate, messaggi telefonici, come in campagna elettorale. Il tutto attraverso operazioni sinergiche e un gioco di squadra

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