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Report: la pista nera sulle stragi del 1992-93, i tamponi del presidente

Report lo scorso 23 maggio aveva parlato della presenza della destra eversiva dietro le stragi del 1992-93 e stasera si aggiungeranno altri dettagli.

Poi una inchiesta in Veneto sui tamponi veloci con delle intercettazioni imbarazzanti sul governatore Zaia.

LA GRANDE TRUFFA di Danilo Procaccianti

Il dottore Rigoli era considerato l’Elon Musk da parte del presidente Zaia: oggi è sotto inchiesta dalla procura di Padova che ne ha chiesto il rinvio a giudizio perché avrebbe giurato il falso sulla valutazione dei tamponi rapidi adottati dalla regione Veneto nel 2020.
Erano kit certificati CE, risponde oggi a Report, “quindi non dovevo validare la specificità”.

Ma chi ha valutato i tamponi rapidi, dunque? Report lo scorso anno si era già occupata della sanità in Veneto e dei morti per Covid per la seconda ondata: l’attenzione si era accesa sui tamponi rapidi scelti dalla regione Veneto, dovevano essere usati sia negli ospedali che nelle RSA. Il servizio era stato seguito con attenzione dalla procura di Padova: nell’inchiesta sono emerse intercettazioni su Zaia, che in ogni caso non è indagato.
Il Veneto assieme ad altre sei regioni era capofila per l’acquisto dei tamponi rapidi, per 128 ml: il manager Flor della sanità veneta dice che le altre regioni comunque hanno fatto una validazione scientifica, ma non è vero, le altre regioni sono andate a rimorchio del professor Rigoli che aveva affermato di averli testati, come dice anche in una delle tante conferenze stampa col presidente.

Nell’agosto 2020 la regione Veneto riporta un documento dove si dice che i test rapidi erano certificati dallo Spallanzani, ma si riferiva ad altri test, non per quelli usati in Veneto.
“I prodotti sono idonei per una attività di screening” scrive Rigoli all’azienda 0 del Veneto che si occupa degli acquisti: questi sarebbero arrivati direttamente alla regione dalle mani del dottor Rigoli. Secondo la procura i test non sono stati proprio testati, dal professore, che si difende dicendo di averne testati alcuni: in un primo interrogatorio con gli investigatori aveva detto che nessun test era stato fatto, poi ha ritrattato, affermando che ad agosto aveva fatto dei test, sebbene a giugno 2021 i test dalla Abbott non erano arrivati.
La regione avrebbe provveduto ad un affidamento diretto per 2ml di euro per i test della Abbott: la direttrice dell’Azienda 0 preferisce non rispondere alle domande di Report, risponderà nelle sedi opportune.

I test rapidi hanno una validità del 70%: il Veneto ha puntato su di loro al punto che nel piano di sanità pubblica dell’ottobre 2020 li ha indicati come test di riferimento anche per gli operatori sanitari e per chi doveva accedere nelle RSA, contravvenendo alle indicazioni dell’OMS.

Crisanti aveva avvisato la regione che tre su dieci, di questi test non funzionavano: avevano delle maglie così larghe e fanno entrare in contatto persone vulnerabili con persone positive.

Sapeva Rigoli della cattiva efficacia di questi test? Io non li avevo provati, erano certificati CE, continua a ripetere oggi. Ma dovrebbe spiegare anche ai veneti ciò che ha scelto.

La seconda ondata del covid nelle RSA in Veneto è stata un disastro, secondo Crisanti per l’uso di questi tamponi rapidi, con il 13% di deceduti di tutta l’Italia e la mortalità più altra tra tutte le grandi regioni, 1600 morti in più rispetto alla media nazionale.

Report ha sentito anche Nino Cartabellotta del Gimbe: “un tasso grezzo del genere, 159 morti per 100000 abitanti rispetto a quello nazionale che è di 105, fa accendere una spia rossa e bisogna porsi la domanda ‘perché in quel periodo in Veneto c’è stata una mortalità così elevata?’”.

oggi le procure venete stanno cercando di capire se esista una correlazione tra questi tamponi rapidi e l’eccesso di mortalità, in special modo in alcuni contesti con grande granularità di dati come le RSA. Oggi la regione è sommersa dagli esposti dei parenti delle migliaia di anziani morti nelle RSA venete.
Marco Bonaldi è uno di questi, oggi si chiede: “i tamponi funzionavano o non funzionavano, perché si sono adeguati a questi anziché fare i tamponi molecolari [come nella prima ondata]. Avremmo risparmiato un po’ di vecchietti”.

Il dottor Crisanti aveva espresso parere negativo contro questi tamponi: “l’uso dei tamponi rapidi come strumento di screening, in una situazione dove avevano un basso valore predittivo, sicuramente ha contribuito alla diffusione del virus in ambienti protetti, tipo per esempio le RSA. Sicuramente la diffusione e la mortalità sono due parametri uno in relazione all’altro, più aumenta la diffusione più aumenta la mortalità”.

Sono stati comprati centinaia di migliaia di test rapidi su un test, almeno secondo l’accusa della Procura, fatto dal successore di Crisanti, il dottor Rigoli, fasullo.

Se questo fosse vero sarebbe di una gravità senza precedenti, perché significherebbe che la regione ha ignorato uno studio su 1500 casi e allo stesso tempo ha preso per buono quello che effettivamente non era uno studio [..] siamo di fronte ad una situazione di una gravità etica senza precedenti.”

Se il parere è falso lo devono stabilire i magistrati: quello che è certo è che il Veneto ha usato il doppio dei tamponi rapidi, un dipendente dell’Abbott racconta di aver portato direttamente ad agosto i tamponi, dopo che Rigoli ne aveva certificato la bontà con la regione Veneto. Dopo il Veneto si erano aggregate altre regioni. Oggi hanno qualcosa da dire i protagonisti della vicenda?

Crisanti aveva redatto uno studio dove mettera nero su bianco che la loro efficacia era al 70%, non al 90%, ne sconsigliava l’uso nelle RSA.
Nella seconda ondata il Veneto si è preoccupato di attaccare il dissenso dei medici contro le scelte della regione: i medici dovevano comportarsi come soldatini. Zaia aveva querelato un esponente politico del gruppo “Il Veneto che vogliamo”, usando i soldi pubblici. Alla fine la querela è finita in archiviazione, anche contro Crisanti.

Crisanti era stato attaccato dopo il suo studio sui tamponi rapidi che contrastava la politica regionale sui tamponi: lo studio esiste ed era stato pubblicato su 
una rivista scientifica.
Meglio dire che lo studio non c’è altrimenti l’azienda ci fa causa – dice il manager della sanità Flor a Report.
Esiste poi una intercettazione in cui Zaia parla preoccupato dell’inchiest
a ma anche dall’esposto presentato da Zaia contro lo scienziato Crisanti. Questo esposto aveva suscitato anche la reazione del senato accademico dell’università di Padova: “è un anno che prendiamo la mira a questo .. stiamo per portarlo allo schianto … [Crisanti] sta passando per il salvatore della patria e io sto passando per il mona ...” sono le parole al telefono del presidente Zaia riferito a Crisanti e ai problemi che gli stava causando, anche dopo la lettera degli accademici.
Oggi Crisanti per non creare problemi si è dimesso dall’università di Padova.

Sla certificazione del dottor Rigoli fosse falsa, dovremmo chiederci se è stata una scelta autonoma.

STATO D'ONORE – Facce da mostro di Paolo Mondani

Dietro le stragi del 1992-93 ci sarebbe una struttura politico, massonico, eversiva che avrebbe avuto lo scopo di portare al governo una formazione filo atlantica.

Perché insistiamo nel voler cercare la verità sulle stragi di mafia – racconta nel servizio Paolo Mondani? Perché come diceva un vecchio filosofo la storia si ripete sempre due volte, prima come tragedia, poi come farsa.

La farsa odierna – continua il giornalista – è la messa in scena dove onoriamo gli eroi con lacrime agli occhi e dichiariamo che i mafiosi cruenti sono stati sconfitti. Eppure c’è ancora chi nasconde le prove, depista e confonde, dietro i muri della procura di Palermo, dietro le carte qui custodite.

Roberto Scarpinato racconta a Report di quanto il trentennale si sia svolta in chiave di riduzione, di cancellazione della storia: da una parte i buoni e dall’altra i cattivi, i cattivi non ci sono più, possiamo ora smantellare la legislazione antimafia messa in piedi in quegli anni. Questo stato non vuole trovare la verità sulle stragi del 1992-93 conclude Scarpinato.
Report aveva raccontato il maggio scorso degli incontri tra Delle Chiaie e i boss mafiosi, dei viaggi a Palermo, raccogliendo le dichiarazione di brigadiere, di un confidente della mafia, Lo Cicero.

Si poteva arrestare il capo di cosa nostra prima degli eccidi, racconta oggi Lo Cicero che all’epoca aveva parlato già con Borsellino (che dunque sapeva del ruolo di Delle Chiaie).

Dopo il servizio Paolo Mondani è stato pedinato e intercettato, come se i criminali fossero i giornalisti di Report.
Dietro la strategia stragista del 1992-93, pianificata nei primi anni 90 tra destra eversiva, massoni c’è Delle Chiaie?
Report in questo servizio ha sentito Armando Palmeri, braccio destro del boss di Alcamo ex collaboratore di giustizia: prima della strage di Palermo due uomini dei servizi avevano chiesto al clan e al boss Milazzo di organizzare una strage, attentati per destabilizzare lo Stato.
I due uomini dei servizi – racconta Palmeri - erano accompagnati dal dottor Lauria, poi diventato senatore di FI negli anni novanta: Milazzo, il capomafia aveva rifiutato e a Palmeri aveva detto che erano i servizi deviati la vera mafia, loro erano i burattini.

Prima della strage di Capaci Milazzo viene ucciso, pochi giorni dopo viene uccisa la sua fidanzata che forse sapeva qualcosa dei suoi segreti: Milazzo fu ucciso da Nino Gioè, un altro uomo d’onore particolare, secondo una informativa dei carabinieri del 67 era una persona buona per operazioni particolari, di natura riservata, lavori da servizi deviati.
Gioè assieme a Brusca faceva parte del commando di Capaci: oggi Palmeri dice che a premere il pulsante per la bomba non è stato Brusca, che aveva in mano solo un giocattolo “è stata una operazione militare.”
Il boss Di Carlo, cugino di Gioè, ha affermato che era un uomo dei servizi, come anche Paolo Bellini, oggi implicato anche nella strage di Bologna.

Gioè è morto suicida in carcere, prima di iniziare una collaborazione coi magistrati, uno strano suicidio di cui aveva parlato in una intercettazione anche l’ex magistrato Loris D’Ambrosio.

Gioè aveva parlato anche di traffici di materiale radioattivo, per alimentare il piano di destabilizzazione voluto dai servizi segreti.
La Commissione Parlamentare antimafia ha approvato una relazione dove si parla di un traffico di materiale fissile andato avanti fino al 1993, con la Libia, che partiva da Alcamo.
Un traffico per cui è stato condannato un agente della CIA, un traffico di uranio in cui erano coinvolti mafiosi, agenti segreti: persone dello stato parallelo, che usano la criminalità organizzata come manovalanza.
Il commissario Peri. Della stazione di Alcamo, aveva indagato su questi traffici come anche sull’incidente del DC8 a Montagna Longa nel 1972: 115 morti, per un incidente che dietro potrebbe nascondere un episodio della strategia della tensione.
Il commissario Peri stava indagando sui 115 morti dell’incidente di Montagna Longa del 72, sui sequestri e sugli omicidi avvenuti a Trapani (come i due carabinieri uccisi ad Alcamo nel 77). sui rapporti tra mafia, la destra eversiva e la massoneria: la sua indagine finì male, il procuratore di Trapani ne screditò il lavoro, la sua indagine fu archiviata dal giudice Cassata.
Peri morì nel 1982 mentre il giudice Cassata era stato scoperto negli archivi di Gelli.

Anni dopo queste indagini furono riprese da Falcone che indagò sugli omicidi politici sull’isola, mettendo assieme loggia P2 e mafia.
Report è poi passata alle stragi del 1992-93, soffermandosi sul ruolo di Bellini, infiltrato del ROS dentro la mafia per scoprire un traffico di opere d’arte. Ma poi alla fine quale fu il suo lavoro? Forse quello di spostare la strategia mafiosa contro le opere d’arte, come poi avvenuto con le bombe a Firenze e Roma?


Palmeri oggi ai magistrati afferma di aver riconosciuto uno dei due uomini dei servizi, ma non ha voluto aggiungere altro per l’inchiesta in corso.

L’ex giudice Scarpinato si è poi soffermato sull’incontro dei boss mafiosi nel 1991: si pianificavano le stragi per destabilizzare il paese e preparare la discesa in campo di nuove formazioni politiche che dovevano prendere il posto dei partiti della prima repubblica.

In quei mesi si registra l’attività di Delle Chiaie e di Domenico Romeo: quest’ultimo accompagnò Delle Chiaie per la sua attività politica in Sicilia, come conferma oggi a Report.

Alberto Lo Cicero, autista del boss Troia, a pochi mesi della strage di Capaci aveva raccontato ai carabinieri la presenza di personaggi di spicco proprio a Capaci, perché doveva succedere qualcosa di importante.
Lo Cicero vede a Capaci anche Delle Chiaie, sempre nell’imminenza della strage: Maria Romeo è la ex compagna di Lo Cicero e oggi a Report afferma che è stato Delle Chiaie l’organizzatore delle stragi, assieme ad una parte dei boss mafiosi.

Delle Chiaie era l’aggancio tra la mafia e lo Stato – dice la Romeo: era quello che portava in Sicilia la voce di Roma, come per esempio l’ex deputato Lo Porto del movimento sociale.
Lo Porto oggi ricorda il boss Troia, una persona generosa dice: sapeva che fosse figlio di mafiosi, non sapeva che fosse lui stesso mafioso.
Degli incontri tra Lo Porto e Troia parla Marta Granà: Troia incontrava imprenditori, oltre all’onorevole Lo Porto.

Il 5 ottobre 1992 il comandante della sezione giudiziaria di Palermo Cavallo, aveva redatto un documento in cui parlava di una fonte confidenziale che rivelava come nell’aprile del 1992 Delle Chiaie era venuto a Palermo, si era incontrato col boss Troia e aveva cercato l’esplosivo per la strage: questo documento non era stato reso noto ai magistrati – racconta oggi Scarpinato, che aggiunge che questo filone di indagine non è stato seguito dai carabinieri.
L’informativa dell’allora capitano Cavallo, si parlava di Delle Chiaie, dell’eplosivo preso da una cava di un parente di Troia: questa era stata inviata a diversi magistrati come Aliquò e Tinebra senza che sia nata una indagine.
Da queste piste, di queste dichiarazioni su Delle Chiaie non se ne è fatto nulla. Sparito, come le registrazioni che la Romeo aveva consegnato ai carabinieri.
I due Troia, il boss e il proprietario della cava, vennero poi arrestati nel 1993 e nel 1998, ma non per la strage di Capaci.
Anche l’onorevole Lo Porto è stato arrestato nel 1969, per aver sparato in un poligono assieme all’esponente della destra estrema Concutelli, l’assassino del giudice Occorsio.

Dopo il fallimento del progetto politico delle Leghe, ispirato dal maestro P2 che doveva balcanizzare la politica italiana, si cambiò strategia.
IL pentito Sparacio racconta ai pm di Firenze del lavoro di Delle Chiaie su questa strategia, indicando gli obiettivi da colpire al boss Nino Mangano (che era stato incontrato a Roma). Ma la procura di Firenze non aveva avvertito i pm di Palermo che non erano a conoscenza di queste deposizioni.
Delle Chiaie aveva dato indicazioni alla mafia su come muoversi, nel gennaio febbraio del 1993: il leader di Avanguardia Nazionale era in contatto con la mafia da anni, racconta oggi Sparacio che aveva la cultura per indicare quali obiettivi culturali scegliere a casa dell’imprenditore Michelangelo Alfano.
Anche l’attentato a Costanzo sarebbe nato da Delle Chiaie, scelto perché in trasmissione aveva offeso i mafiosi, poi un attentato contro De Gennario (nominato capo della DIA nel 1992), che Bagarella e Mangano avevano già come obiettivo.
Il quartier generale di Delle Chiaie, occupato dal 1991 è oggi tornato un possesso del comune di Roma: anche dopo lo scioglimento negli anni settanta la sua attività politica è andata avanti.

Ne parla Massimo Pizza ex agente Sismi: alla procura di Palermo Pizza aveva parlato delle leghe meridionali, espressione della mafia, di incontri di inizio anni novanta tra famiglie di ndrangheta che si erano incontrate coi mafiosi e coi politici (corrente andreottiana), con esponenti della massoneria (del finto ordine di Malta), dell’estrema destra (Delle Chiaie e Menicacci).
Delle Chiaie, racconta Pizza, doveva occuparsi della parte militare di questa destabilizzazione.

Dell’incontro del 1991 ne parla anche D’Andrea segretario della Lega Meridionale: Delle Chiaie aveva avuto input da uomini dello Stato (dal ministero dell’interno) per portare d’avanti questo progetto di destabilizzazione.

Il piano di destabilizzazione aveva ricevuto fondi da imprenditori e banchieri, si parla di 100 miliardi di lire, anche da imprenditori mafiosi: questi soldi sono parcheggiati sotto il controllo del vescovo di Monreale, tramite Lima vengono drenati verso lo Ior, parte dei soldi saranno usati da politici vicino ad Andreotti.

Un altro capitolo del servizio è stato la trattativa Stato mafia: Ciancimino fu avvicinato dal ROS per la trattativa e ne parlò con D’Andrea, èerché entrambi facevano parte della Lega Meridionale. Lo Stato temeva che Ciancimino e la mafia parlasse del suo lavoro fatto per lo Stato – racconta oggi Antonio D’Andrea. Lavoro sporco si intende.

Il piano di destabilizzazione avrebbe avuto la benedizione di Cossiga e Andreotti, oltre che di Gelli.

Solo nel 2021 lo Stato si è riappropriato del locale in Torre Spaccata di Delle Chiaie, morto nel 2018. Sono spariti i verbali su delle Chiaie a Palermo, così come per anni lo Stato si è dimenticato della pista nera sulle stragi di mafia.

Paolo Mondani è tornato anche sull’omicidio del maresciallo Lombardo: il 4 marzo 1995 nella caserma Bonsignore dei carabinieri di Palermo viene trovato senza vita in una Fiat Tipo bianca, una Beretta calibro 9 nella mano destra, una lettera vicino a lui. Ufficialmente suicidio, ma i figli dopo 27 anni dicono che fu un omicidio.
Oltre alla morte del maresciallo, c’è anche la vicenda della sua borsa, che quella sera aveva con se in automobile e che poi non venne ritrovata (come l’agenda rossa di Borsellino, i documenti di Dalla Chiesa ..): “credo che quel giorno lui sicuramente avesse qualcosa di delicato e di importante in quella borsa [anche perché in quei giorni era in contatto con Totò Cangemi]. Tornava da un viaggio molto importante ..”

Lombardo tra febbraio e marzo 95 trascorre l’ultima settimana a Milano parlando con Cangemi: nel 1994 quest’ultimo aveva parlato alla Boccassini dei soldi dati da Berlusconi alla mafia, dei rapporti tra Dell’Utri con la mafia.
Lombardo aveva trovato la verità sulla morte di Borsellino, racconta oggi la figlia, ricordando una sua telefonata alla vedova del giudice. Era un carabiniere che raccoglieva informazioni dai mafiosi, anche i latitanti come Provenzano, tanto che la figlia oggi si chiede, come mai non l’hanno arrestato?
Quello del maresciallo Lombardo è uno strano suicidio per le perizie fatte sulla lettera trovata accanto al suo corpo: era inquieto da settimane perché veniva accusato di essere contiguo con la mafia, accuse dall’allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando.
Stava convincendo il boss Badalamenti a parlare, cosa che poi non avvenne anche per il mancato sostegno da parte dei superiori.
L’arma trovata accanto al corpo ha una rigatura diversa da quella del bossolo che ha ucciso il maresciallo.
Un ex carabiniere della caserma Bonsignore ricorda quella sera del marzo 1995: fu allontanato dalla macchine del maresciallo, che era circondata da altri ufficiali.

Non è stata fatta l’autopsia sul cadavere, non era stata trovata una goccia di sangue sui finestrini, sul tetto dell’auto: la scena del suicidio sembra dipinta – racconta l’ex carabiniere.
Un suicidio strano, come quello di Gioè, oggi i familiari chiedono nuove indagini sulla sua morte.

La Procura della Repubblica di Firenze ha da tempo ripreso le indagini sulle stragi di mafia nel 1993, principali indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri che in passato sono già stati archiviati dall’accusa di essere i mandanti esterni delle stragi dai tribunali di Caltanissetta e Firenze. Ma ci sono importanti novità emerse da una recente relazione della commissione parlamentare antimafia sulla bomba di Firenze a via dei Georgofili nella notte tra il 26- 27 maggio del 1993 dove morirono 5 persone tra cui una bambina di 9 anni e una di 50 giorni, principale estensore della relazione dell’antimafia è stato il procuratore Gianfranco Donadio (ex magistrato presso la DNA): “la commissione parte da un dato indiscusso, in via dei Georgofili furono collocati 250 kg di esplosivo, i mafiosi a Firenze disponevano all’incirca di 130-140kg di esplosivo, vi è una differenza di 100 kg, questi kg sono rappresentanti da esplosivo di natura militare, ad alto potenziale”.

Si tratta della teoria della doppia bomba, già emersa per la strage di Capaci (e anche per quella di Piazza Fontana, sebbene poi non si siano mai trovate prove a supporto)”.
Qualcuno che non è mafioso quindi aggiunge dell’esplosivo militare?

“Nelle automobili dei mafiosi vi sono solo tracce di tritolo – risponde il magistrato – dobbiamo escludere che i mafiosi avessero altro, quindi altri hanno aggiunto alle cariche portate dai mafiosi esplosivo ad alto potenziale di tipo militare”.
La procura di Firenze ha sentito il capomafia Graviano che aveva raccontato di incontri con Berlusconi, smentiti da quest’ultimo. I suoi racconti si sono interrotti nel 2021, quando il parlamento ha cambiato la norma dell’ergastolo ostativo. Oggi questi boss che non hanno collaborato con lo Stato potranno uscire dal carcere, tenendosi i loro segreti.

È una norma che disincentiva la collaborazione con lo stato: il collaboratore per essere amesso al programma di collaborazione deve indicare tutti i beni non ancora confiscati, il boss che non collabora non ha questo obbligo.
Oggi la procura di Palermo deve indagare sulla struttura parallelo del Sisde, che dentro aveva personaggi come faccia di mostro e Contrada, racconta Marianna Castro compagna del poliziotto Giovanni Peluso: a Paolo Mondani racconta che ad uccidere Falcone sono stati i servizi, non i mafiosi.
Racconta anche del viaggio fatto da Peluso assieme a “faccia da mostro” a Milano all’indomani della strage al PAC, stessa storia successa con la bomba di Firenze.
Nei commando delle stragi di Milano e Firenze erano presenti delle donne, racconta oggi Donadio, questo escluderebbe la sola presenza dei mafiosi, come si è detto per anni.
Il lavoro dell’ex magistrato Donadio aveva concluso i suoi lavori nel 2013: i suoi lavori erano spariti dentro la sede della procura nazionale antimafia.
14 faldoni spariti che contenevano le piste più promettenti sulla strage di Falcone: la pista nera, il ruolo di Delle Chiaie e tutto quanto raccontato da Report nella scorsa puntata.
Questa sparizione fu scoperta dal pm Di Matteo, che fu incaricato di costruire un pool per indagare su queste stragi.
Avanguardia Nazionale era l’anello di congiunzione tra chi aveva organizzato le stragi italiane e la parte militare dell’eversione degli anni settanta: questo è quanto emerge oggi dopo le indagini su Bologna e Brescia.
Delle Chiaie aveva anche organizzato una campagna di depistaggio per inquinare l’informazione pubblica sulle stragi della strategia della tensione, con l’aiuto di avvocati e giornalisti. Che poi è quello che è successo in questi anni quando si parla di trattativa stato mafia o di Capaci.
La politica si chiude a riccio attorno al racconto dei buoni contro i cattivi, che salva la faccia allo stato e anche ai mafiosi.

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