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Report: il nuovo consorzio mafioso, la ricostruzione in Emilia e il quadro di Sgarbi

Presto che è tardi di Bernardo Iovene, Il valzer della candela II – L’artificio di Manuele Bonaccorsi e La Mafia a tre teste di Giorgio Mottola: le inchieste di Report

 

PRESTO CHE È TARDI di Bernardo Iovene

A più di sette mesi dall’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna le case colpite sono ancora inagibili, quartieri disabitati, le famiglie sono costrette a vivere lontano dalle loro case e, per molti, mancano proprio i soldi per ristrutturarle, quelle case sommerse dalle acque.

I ristori del governo non coprono le spese per i mobili (un paradosso, da parte del governo), oltre a questo c’è il timore che queste zone, dove i fiumi hanno sommerso strade e case riprendendosi i loro spazi, siano pericolose per viverci.

Le imprese potranno accedere ad un contributo di 40mila euro, una mancetta, quando arriva.

Per le famiglie sono solo 20mila euro, senza i mobili però: sommando però questa cifra coi 3000 euro concessi dal governo all’inizio, non basteranno a coprire le spese.

Le persone si stanno rimboccando le maniche ma ora servono soldi: i cittadini sono ora tormentati dalla prossima piena, vigilano i fiumi e sugli istrici, le cui tane hanno causato il crollo degli argini a Monselice. Lavori che non sono stati fatti nel passato.

La Conasia si è autocostruita un argine attorno alla ditta, spendendo soldi propri: tutto pur di proteggere il proprio lavoro, lo stabilimento, gli impianti del valore di milioni di euro.

Solo per fare le perizie necessarie per avere quei 40mila euro, servirà spendere una cifra analoga: cosi le aziende e i propri dipendenti si stanno arrangiando da soli, creando argini e costruendo protezioni per gli impianti, sono gli stessi dipendenti che stanno lavorando, senza ricorrere alla cassa integrazione.

Ad oggi le imprese, anche quelle agricole, non sanno quanti soldi arriveranno e quando: meglio sarebbe se il governo Meloni dicesse che non danno niente – racconta a Iovene un imprenditore colpito dall’alluvione: le aziende hanno subito danni per milioni, a volte: quei 40mila euro coprono solo una minima parte delle spese.

Per ora il governo ha stanziato 600 milioni di euro per i danni, di fronte ad una stima di 4,5 miliardi: la piattaforma della regione per i ristori si chiama Sfinge, ma i tempi burocratici per ottenere i soldi sono troppo lunghi e legati alle coperture.

I comuni non hanno dipendenti per seguire tutte le perizie e dare le stime e per questo, alla fine, le pratiche vanno a rilento.

Iovene è andato a visitare i paesi colpiti da frane e ponti crollati: i primi lavori in urgenza sono stati seguiti dal comune, con le imprese locali che verranno pagate sulla parola.

La regione è intervenuta con la protezione civile, per sistemare il ponte sul Reno: anche qui le imprese verranno pagate sulla parola.

Le spese in urgenza sono state poi riconosciute dal commissario, ma i soldi sono arrivati in ritardo (anche perché il governo ha aspettato mesi prima di nominare il commissario) e non coprono ancora tutte le spese iniziali.

Le 216 assunzioni previste da Figliuolo sono ancora sulla carta, i comuni fanno da soli: i sindaci sono stati accusati dal ministro Musumeci di considerare lo stato un bancomat e questo ha causato degli attriti tra gli organi statali.

Report non è riuscita ad intervistare né il commissario (che non ha sede in regione) né il ministro della protezione civile: i cittadini erano stati rassicurati dalla presidente in persona, che aveva fatto la sua passerella nel fango. Ma poi le cose sono andate diversamente, fino all’infelice frase sullo stato come un bancomat.

Dei 2 miliardi che dovevano essere stanziati, sono arrivati solo 1,2 miliardi, che però non sono stati spesi perché le aziende hanno preferito mettere i loro soldi: così il governo quei soldi se li è ripresi.

Poi è arrivato l’intervento di Figliuolo per 4,5 miliardi che, sommata alla prima, non arriva ai sei miliardi di cui Meloni aveva parlato alla Camera.
Nei 6,5 miliardi, Meloni conteggia anche 2 miliardi che non ci sono: la presidente ha pure attaccato la regione sulla messa in sicurezza del territorio e sulla piattaforma sfinge.

La nomina dei commissari doveva essere fatta immediatamente – racconta Bonaccini: ai cittadini devo raccontare la verità, ovvero che i soldi non arriveranno per coprire tutte le spese.

L’area alluvionata vale il 2,2 % del pil nazionale: non mettere questa zona in condizioni di ripartire è un clamoroso autogol per il paese.

In Toscana per la ricostruzione sarà la regione a doverci mettere le risorse: qui fango e acque hanno colpito le aree industriali vicino ai fiumi, come a Montale (Pistoia), come a Campo Bisenzio nei capannoni sommersi dall’acqua, a Prato nelle aziende tessili.

Nessun rappresentante delle istituzioni è venuto in Toscana in queste zone: forse per il colore della regione? Forse perché rischiavano di prendere degli insulti?

I danni sono ingenti, per gli imprenditori, che sono molto scettici nello sperare un aiuto dallo Stato, vedendo anche quello che è successo in Emilia Romagna.
Ci sono poi i danni alle abitazioni, alle strutture pubbliche (scuole, palestre): anche qui i cittadini e le imprese si sono mosse da sole, senza aspettare nulla.

Anche qui ci sono moduli da compilare per chiedere i rimborsi, ma sono moduli non facili da comprendere: per le famiglie ci saranno 5000 euro, 15 mila per le aziende.

In Toscana il commissario per l’emergenza è il presidente Giani, in attesa del commissario per la ricostruzione: anche qui si rischia di perdere tempo nelle nomine, il ministro Musumeci ha puntato il dito sulla scarsa manutenzione del territorio.

Sono arrivati 5 ml di euro come liquidità dal governo – spiega Giani: da Roma dicono che i soldi arrivano, ma non si sa quando?

Chi garantisce che domani non arriverà un nuovo alluvione? Le case e le aziende sono in sicurezza ora?

A Campo Bisenzio sotto accusa sono i lavori che non sono stati fatti su un muro storico, di una villa antica: i lavori erano bloccati da un vincolo della sovrintendenza, i lavori erano previsti ma non erano considerati straordinari.

Dalla sovrintendenza smentiscono le voci su un loro blocco: per la sistemazione degli argini aveva già espresso parere favorevole.

Chi sarà il commissario che seguirà la ricostruzione? La deputata di Forza Italia ha le idee chiare, se ci fosse un collega di partito o della coalizione si potrebbe fare un discorso diverso, ma meglio che la ricostruzione sia affidata ad un tecnico terzo. Ognuno si può fare una sua idea sul concetto di ritorsione politica.

Il valzer della candela II – L’artificio di Manuele Bonaccorsi

Il tempo è galantuomo, si dice: sarà la magistratura a stabilire chi ha ragione, tra il sottosegretario e i giornalisti di Report e del Fatto Quotidiano sul quadro di Manetti. Quello rubato e quello che è nelle mani del sottosegretario.

Al momento Sgarbi si è difeso solo su Rete 4, ma i testimoni a sua difesa a Report raccontano una verità diversa da quella del critico d’arte.

Sgarbi è sotto indagine dalla procura di Imperia per l’esportazione di un quadro, ora sequestrato dai carabinieri a Nizza e sotto tutela dei carabinieri a Roma: è un quadro di Valentin De Boulogne, Concerto per bevitore, che andrebbe acquisito per un grande museo italiano.

Sgarbi nega che il quadro sia di sua proprietà e che sia originale: ma la figlia del presunto proprietario, secondo quanto dice Sgarbi, smentisce questa versione, considerandola una diffamazione.

Una vicenda poco chiara anche questa, dove la versione di Sgarbi sembra non reggere all’evidenza dei fatti: il quadro di Valentin De Boulogne avrebbe fatto lo stesso viaggio del Manetti, dal restauratore, alla GLAB.. cosa se ne fa di tutte queste copie?

LA MAFIA A TRE TESTE di Giorgio Mottola

La mafia si sta trasformando: per riconoscerla oggi bisogna essere strutturati e attenti.

Anche a Milano, nei giorni prima di Natale dove ad un incontro per beneficenza compare L.B., regina delle feste milanesi – racconta il servizio di Report.

B. organizza convegni dove partecipano persone della cultura milanese e della magistratura: il suo nome compare anche nelle carte dell’indagine dell’antimafia milanese, sebbene non sia mai stata indagata.

L’intervista tentata da Mottola, per avere la sua versione, è saltata per l’atteggiamento dell’imprenditrice che “si occupa del diritto all’oblio”.
B. ha partecipato a incontri in Calabria con Morabito, Spagnuolo, boss della ndrangheta: erano incontri sul tema dell’oblio?

Il compagno di B. ha preso al collo il cameramen, nell’intervista: qualcosa che non passerà velocemente nell’oblio.

La nuova faccia della mafia ha un volto imprenditoriale, siede nei posti che contano, nei salotti bene di Milano, ha un volto presentabile. È molto vicina a politici locali.

Difficile da distinguere dalla politica sana, dall’imprenditoria sana: la procura di Milano ha aperto un fascicolo su questa nuova mafia, in parte smentita dal GIP che non ha firmato molte delle richieste di arresto.

Il servizio ha raccontato anche altro: il confine tra le tre mafie è quasi invisibile, Milano è diventata oggi il laboratorio della nuova mafia, camorra ndrangheta e cosa nostra sono oggi solo mafia.
Boss di queste mafie fanno affari insieme, conquistano nuovi settori imprenditoriali nella zona del milanese, tutto assieme per non avere discordanze: nei video dei carabinieri sono mostrati assieme, ad un convegno della ndrangheta nella locale di Lonate Pozzolo di Massimo Rosi, dove è presente anche un esponente di cosa nostra, i Nicastro.

Nel summit si parla di zio Paolo, Paolo Errante Parrino, imprenditore ad Abbiategrasso dove gestisce un bar ed è proprietario di una azienda. Anche con questo personaggio è difficile fare una intervista, “vi apro la testa in due”.
Parrino è stato condannato a dieci anni di carcere, come membro del clan Messina Denaro: tutto lo conoscono nella zona, la presenza mafiosa ad Abbiategrasso la mafia c’è ma non è percepita come una entità pericolosa.

Parrino, come altre persone indagate dalla procura, non è stato arrestato per scelta del GIP.

Vista la difficoltà ad incontrare Parrino, il giornalista ha cercato di fare qualche domanda al volto pubblico della famiglia, il cognato avvocato Giovanni Bosco che, è bene ricordarlo, non è mai stato né indagato né coinvolto in procedimenti per mafia: “Io mio cognato lo conosco bene, per lui il pane e il pane e il vino è il vino, tagliare la testa potrebbe voler davvero dire tagliare la testa..”.

L’avvocato Bosco si è candidato alle elezioni nel 2007 con una sua lista: è una persona importante in questa città, Abbiategrasso: di Castelvetrano come il cugino, parente alla lontano di Messina Denaro, che considera una persona intelligente, “perché altrimenti non avrebbe fatto quello che ha fatto”. Bosco è difensore di una parente del boss di cosa nostra, nel suo studio ha lavorato un nipote del boss, Allegra.

In un viaggio in Sicilia, Giovanni Bosco e Parrino incontrano a Castelvetrano i parenti di Messina Denaro: di queste parentele, di questi viaggi, non trova nulla da ridire il sindaco di Abbiategrasso, di una coalizione di centro destra.

Ci sarebbe un forte legame tra l’imprenditore condannato per mafia e il sindaco che l’avrebbe aiutato in diverse occasioni, anche per una pratica che Parrino si aspettava da un dirigente del comune. Ma ad Abbiategrasso c’è la mafia? Il sindaco Nai risponde che non lo sa.

Qui però, nella provincia di Milano, si sono svolti summit di mafia dove Parrino è considerato – nelle intercettazioni dei carabinieri – come una persona importante, legato a iddu, Messina Denaro e alla famiglia Gambino.

Gioacchino Amico è siciliano di origine ma in Lombardia rappresenta il boss della camorre Senese: sarebbe lui il braccio operativo di Parrino, zio Paolo, l’uomo più temuto perché dirime le liti tra i clan, il consorzio mafioso gli riconosce una somma di denaro ogni mese.

Per la sua capacità di tessere relazioni con la politica, con Fratelli di Italia, è tenuto sotto controllo dalla magistratura, Gioacchino Amico.

Il servizio ha raccontato dell’incontro tra Amico e la sottosegretaria all’istruzione Frassinetti, dove si sarebbe parlato di appalti nel settore sanitario: solo una visita alla Camera, ha spiegato la sottosegretaria. Ma Amico avrebbe fatto diverse telefonate alla segretaria di Frasinetti che però ha cercato di avvicinare anche il partito del Grande Nord, quello dei fuoriusciti dalla Lega.

Monica Rizzi a Report racconta che arrivò al suo partito presentato da Carlo Fidanza, pure lui presente al congresso programmatico del Grande Nord.

Amico si è dato da fare per la campagna elettorale di Fidanza – è sempre la Rizzi a parlare: si tratta delle elezioni europee e a quel tempo non era ancora condannato.

In Fratelli di Italia c’è un problema di selezione o di filtro della classe dirigente? A questa domanda la presidente Meloni ha risposto dicendo che lei ha iniziato a fare politica dopo la morte di Borsellino. Ma questo non basta oggi, di fronte a tutte le notizie di arresti di esponenti di FDI, per rapporti con la criminalità organizzata. Anche il nuovo “consorzio” milanese aveva scelto il partito di Meloni: il suo candidato era il medico Ceraulo, ex candidato a Desio, grandi ambizioni politiche.

Per avvicinare la corrente di Mantovani e Santanché, Ceraulo si è accompagnato da un altro personaggio legato alla criminalità, Vestiti: la ministra Santanché smentisce sia i contatti con l’avvocato Marino che le telefonati per la sponsorizzazione di Ceraulo.

Giancarlo Vestiti con Gioacchino Amico sono nel consorzio criminale come rappresentanti del boss della camorra Michele Senere: di Senese e del suo potere a Roma ne ha parlato nel servizio il pentito Perrella, che nell’intervista fa il nome del padre del presidente Giorgia Meloni, arrestato per narcotraffico nel 1995. Il padre del presidente avrebbe lavorato alle dirette dipendenze del boss Senese.

Il nome di Senese è legato all’omicidio del capo ultras Diabolik, Fabrizio Piscitelli: fu un omicidio di mafia?

Secondo il comandante del Gico di Roma Marco Sorrentino fu chiaramente un delitto di mafia, aggiungendo che c’è un nesso tra Piscitelli e la famiglia Senese a Roma, “all’inizio degli anni 90 Fabrizio Piscitelli fu indagato insieme alla famiglia Senese, in particolare con Gennaro Senese, fratello di Michele.”
Il potere del capo ultras derivava dalla sua vicinanza alla famiglia Senese, era cosa nota a tutti a Roma che Piscitelli fosse uomo dei Senese, “quindi è una interpretazione mia, ma credo che una luce verde sia stata data per l’omicidio di Piscitelli” – è la conclusione del comandante del Gico.

Piscitelli secondo la procura di Roma era un boss importante a Roma: si sarebbe avvicinato troppo al sole, come Icaro, e per questa smania di potere sarebbe morto.

Il consorzio milanese si era interessato al superbonus varato dal secondo governo Conte: per accedere ai fondi Amico si affida ad un amico costruttore siciliano che ha una base a Busto Garolfo, Pietro Mannino che fonda due società per prendere i fondi.

In queste società era presente anche Amico: a Report racconta però di aver pagato 800mila euro di tasse e che non ha fatto traffici criminali. In questo gruppo era presente anche Giuseppe Fidanzati (negli anni 80 la sua famiglia gestiva il narcotraffico a Milano).

Alla fine l’intervista con Mottola si interrompe e non viene più ripresa, forse perché il giornalista di Report non crede in Dio. L’affare del suberbonus non decolla per le tensioni nel gruppo, tra Mannino e Amico.

Il consorzio si sarebbe avvicinato anche nell’Ortomercato milanese: Iose Dioli è una delle figure storiche dell’Ortomercato, si è battuto per anni contro il lavoro nero e contro le infiltrazioni della criminalità. In una delle sue ispezioni si è imbattuto in una cooperativa intestata alla figlia del boss Mangano.

La Sogemi era gestita da un manager, arrestato di recente per una vicenda di corruzione: il manager era stato avvicinato da Amico che riesce ad entrare nell’Ortomercato con una cooperativa, tutto sotto l’occhio della Sogemi.

Per il GIP di Milano tutte queste storie sono suggestione: su 153 richieste di arresti, solo 11 sono state ritenute valide. Il consorzio criminale non esiste, solo reati bagatellari: c’è un ritardo del diritto e della legge rispetto alla realtà – racconta Nando Dalla Chiesa a Mottola.

Diversi pentiti raccontano la stessa storia da anni: camorra, mafia e ndrangheta sono un tutt’uno qui a Milano, “lo stato ha dato un terreno fertile alla ndrangheta, alla mafia..” racconta un pentito.

Terreno che sarà ancora più fertile nei prossimi mesi, purtroppo.

Con l'emendamento Costa tutte le ordinanze di custodia cautelare non potranno essere rese note. E se passerà il bavaglio sulle intercettazioni, su queste vicende del consorzio criminale calerà l'oblio.

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