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Renato: "Con una sola gamba ho sfiorato l’infinito"

Una sola gamba. Eppure, non si è negato la sensazione di toccare quasi l’infinito scalando il Monte Rosa.

Sì, perché è da un pezzo che Renato Brignone, classe ’70, di Verbania, geometrissimo (come ama definirsi,ndr) ha fatto i conti con la sua diversità. Tanto che di sé dice: “Sono fortunato. Non mi manca niente. E sapete perché? Semplicemente, perché vivo”.

Non ci credete? Provate a leggere questa intervista.

Intanto Renato, perché le piace essere chiamato geometrissimo?

Beh, perché ci ho messo sette anni per un titolo, che ne richiede cinque.

I suoi sogni da bambino?

Non ricordo sogni particolari, volevo solo diventare un “supereroe”.

Ha una focomelia alla gamba destra. Ci spiega di cosa si tratta?

E' una patologia forse causata da un farmaco preso in gravidanza da mia madre. Di fatto, per i non addetti ai lavori, mi manca quasi completamente il femore destro.

Non sarà stato semplice per lei da piccolo

I bambini non sono buoni per loro natura, sono egoisti e paurosi, cercano il “branco” e chi è diverso, è fuori dal branco. Io da piccolo ho fatto abbastanza fatica a farmi accettare. Per analogia, se una donna per far carriera deve essere brava il doppio di un uomo, un disabile, negli anni Settanta, per essere accettato doveva avere una gran forza. La cosa mi ha lasciato in eredità un caratteraccio, aggressivo e determinato, che solo la maturità, vera o presunta che ho, mi ha stemperato.

La sua famiglia com’era?

E’ stata fondamentale. Essere il quinto figlio non poteva lasciare spazio per troppi vizi. Ho imparato ad essere competitivo in modo sano.

E cioè?

I miei fratelli più grandi non me le lasciavano vinte, mi trattavano alla pari, più o meno. I genitori poi sono stati normalmente eccezionali. Mio padre, trasmettendomi la passione per la montagna, mia madre, quella per la vita.

L’espressione, l'episodio più offensivi?

Ricordo una sola offesa vera, ma risale ad una decina di anni fa. Un mio ex amico, diventato giornalista, ha voluto sostenere subdolamente e non esplicitamente, che l’impresa sociale di cui mi stavo occupando – una struttura ricettiva per disabili – stesse in piedi solo perché utilizzavo strumentalmente la mia disabilità. Diceva che così volevo ottenere ciò che non mi era dovuto. Oggi io mi occupo di altro, ma lui non fa più il giornalista. Mi ha sempre offeso la superficialità.

Crescendo?

Beh, negli anni Ottanta, crescendo tra “paninari” e “metallari” rimanevo intontito quando guardavo i miei coetanei fare di tutto per un giubbotto di piumino o delle scarpe griffate. Credo che in quel momento ho davvero capito che fosse un piacere essere diverso, e la mia disabilità era “una fortuna”. Mi si conceda l’estremizzazione.

Chi o cosa le ha dato tanta forza?

C’è un libro che ho letto da ragazzino – io non sono un grande lettore, preferisco il cinema, perché non sembrerebbe, ma sono pigro – si intitola “Illusioni- avventure di un messia riluttante” di Richard Bach e che mi colpì. Una frase di quel testo l’ho subito fatta mia. Dice: “I limiti che hai sono quelli che ti poni”.

Cosa significa avere una sola gamba?

Niente! E’ la mia vita, forse le sembrerà strano, ma credo che nella mia quotidianità l’avere i capelli rossi abbia inciso di più, perché tutti parlavano con me dei miei meravigliosi (ex) capelli rossi, ma raramente della mia unica gamba. Era ed è normale, la mia normalità, che è orgogliosamente diversa. Non so se mi spiego.

Ha ideato delle stampelle particolari.

Sì, fantastiche, ma anche questo è normale, per uno che va in montagna. Se tu vai in montagna con delle ciabatte, ti accorgi che non sono adatte, cerchi qualcosa di meglio e arrivi agli scarponi. Se tu usi stampelle e sono di pessima qualità, è normale che cerchi un prodotto migliore. Se non esiste e sei un “tipo tosto”, lo inventi. E’ normale.

Come sono fatte?

Intanto, sono mie, perché le uso e le ho brevettate. Hanno una forma diversa, perché scaricano i pesi a terra in modo più sicuro. Con una forma innovativa ottengo maggiore sicurezza, minore resistenza nella fase di deambulazione, quindi minor energia spesa a parità di percorso e maggiore praticità. Le stampelle Tompoma, si chiamano così, si appoggiano con facilità, senza cadere, a tavoli, sedie o altro.

Ho cambiato i materiali costruttivi per ottenere maggior resistenza e comfort, sono in titanio e lega, la manopola è rivestita in pelle per evitare le fiacche e sui poggia gomiti c’è un imbottitura.

Poi?

C’è un diverso sistema di regolazione, che le rende più precise e silenziose. Insomma, sono un prodotto di altissima qualità. Solo un difetto.

Quale?

Sono costose. Costano come un paio di scarpe griffate, ma fanno più di una stagione. Sono eterne. Molte sono le finiture ed i colori possibili. Ecco il sito che potrete visitare.

Cosa si aspetta?

Spero che tutte le stampelle cambino forma. E se questo mi dovesse consentire di guadagnare abbastanza per occuparmi di altri progetti che ho in testa anziché continuare a fare l’operaio, ne sarei felicissimo.

E veniamo alla sua passione per la montagna.

Io vado molto in montagna, ci andavo prima con normali stampelle rinforzate, e ci vado oggi con maggiore sicurezza e minor fatica. La montagna mi somiglia, sempre diversa, sempre affascinante da scoprire, sempre pericolosa e difficile. Ma puoi scegliere anche itinerari dolci e accoglienti.

Ogni volta che torni da un viaggio in montagna, come quello che si fa in se stessi, sei più ricco, più sazio di conoscenza. E questo succede se trovi una bella giornata o un percorso difficile. Il limite lo poni tu, non la montagna, che è democraticamente accogliente con tutti nella stessa maniera.

Quante volte mi è capitato di sentire un adulto dire al figlio: “Se ci riesce quel bravo signore con le stampelle, tu non fare capricci”. Niente di più diseducativo. La montagna non è per tutti. La montagna non ci mette in competizione, la competizione è una distorsione nostra, la montagna ci accoglie o respinge come la vita. Se sei allenato abbastanza, lo decidi tu e sbagliare può essere fatale.

Cosa si prova ad arrivare in vetta, sul Monte Rosa?

Dipende sempre dalle aspettative. Se sei competitivo, credo si provi la voglia di porsi un nuovo obiettivo, subito. Io provo solitamente soddisfazione, appagamento.

Cosa ama di più della montagna?

I piccoli numeri. Incontri poche persone e devi misurare le parole, risparmiare le forze e contemplare il silenzio. In montagna non devi spiegare o giustificare nulla a nessuno. Devi rispettare chi è passato, perché ti ha lasciato un posto bellissimo e devi rispettare chi passerà, lasciandogli un posto altrettanto bello.

Si sente più vicino a Dio quando è in montagna?

Non pochi mi rivolgono questa domanda. La risposta, che si sia credenti oppure no, è la stessa: se Lui c’è, è con te, se non c’è è improbabile che si nasconda sulle vette dei monti.

Cosa le manca?

Nulla.

Ha paura?

Sì, della stupidità umana, non della montagna o della vita con una sola gamba.

Come guarda al futuro?

Con tanta energia e mille progetti. Chi si arrende alla vita non la progetta. Quindi sì, ho tante idee, ma non è tempo per raccontarle.

Ieri ho pubblicato la storia di Loredana Longo che, dopo un incidente stradale, è rimasta in carrozzina. E’ tosta, perché lotta ogni giorno affinché la ricerca le restituisca la sua vita precedente. Solo allora sarà davvero felice. Cosa ne pensa? 

Io credo che le persone debbano fare ciò che rende loro felici. Penso che il percorso per capire cosa ci rende felici sia complesso e difficile. Credo che essere appagati dal cercare una cura o essere felici nell’accettare una nuova condizione di vita abbiano pari dignità. La saggezza, come la competizione, sono espressioni del nostro modo di relazionarci con gli altri. La nostra vita è il nostro sentiero in montagna, scegliamo noi il percorso, a volte anche i compagni di viaggio, e se non ci accorgiamo della strada che stiamo percorrendo, è perché guardiamo solo alla vetta. Arriveremo magari anche in cima, ma ci potremmo essere dimenticati di vivere.

Un libro che ha ancora sul comodino?

Si intitola “Heidi non lo sa” – Acco Editore, autori Brignone – Dallapina. Ebbene, sì. Ho scritto un piccolo romanzo a quattro mani con un amico, basandomi sul pezzo di vita fin qui vissuto. Come potrei non esservi particolarmente affezionato?

 

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