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Regionali: 4 ragioni per cui il voto in Abruzzo è così importante

Le Regionali in Abruzzo hanno visto la vittoria (netta) di Marco Marsilio, candidato del centrodestra. Ma dal voto, per quanto locale, emergono una serie di indicazioni utili anche in chiave nazionale

di Salvatore Borghese

Il primo test elettorale del 2019 non ha deluso le aspettative: le elezioni regionali in Abruzzo hanno dato un risultato netto, e che – c’è da scommetterci – avrà ripercussioni non solo sulla politica locale ma anche a livello nazionale. Vediamo perché, in quattro punti.

1. LA PARTECIPAZIONE

Nonostante si sia trattato di un voto “isolato”, l’affluenza non è stata troppo bassa. Gli elettori che si sono recati alle urne sono stati il 53,1% degli aventi diritto, in calo di oltre 8 punti rispetto alle precedenti Regionali (nel 2014). In quell’occasione, però, nello stesso giorno si votò per una tornata elettorale nazionale piuttosto importante (le Europee) e per il primo turno delle Amministrative in molti comuni. Inoltre, cinque anni fa si era in un periodo dell’anno differente (fine maggio), decisamente più “agevole” per l’esercizio del voto. Di certo non si sono viste folle oceaniche recarsi ai seggi, ma nemmeno si è trattato di elezioni “fantasma” come le suppletive nel collegio uninominale di Cagliari di qualche settimana fa. Né si tratta di un tasso di partecipazione basso come quello che riguardò le Regionali dell’autunno 2014, quando l’affluenza si tenne nettamente sotto il 50% (addirittura fermandosi al 37% in Emilia-Romagna). Insomma: il voto in Abruzzo è stato un test politico da non sottovalutare.

La mappa della variazione dell’affluenza nei comuni (rispetto al 2014) mostra una partecipazione in arretramento quasi ovunque, in particolare nella provincia di Chieti (dove troviamo picchi negativi di -30%), mentre in provincia dell’Aquila vi sono diverse zone dove l’affluenza è invece aumentata.

2. RISULTATI

La vittoria, netta, è andata a Marco Marsilio, candidato della coalizione di centrodestra, che ha ottenuto il 48% dei voti, staccando di quasi 17 punti Giovanni Legnini, ex vicepresidente del Csm e candidato presidente della coalizione di centrosinistra, fermo al 31,3%. Terza con il 20,2% dei voti Sara Marcozzi, candidata (come 5 anni fa) del Movimento 5 Stelle, mentre Stefano Flajani, candidato di CasaPound, ha ottenuto meno dello 0,5% dei voti.

Marsilio ha vinto con ampio margine, riportando il centrodestra al governo della Regione dopo la vittoria, nel 2014, di Luciano D’Alfonso (centrosinistra), nonostante alle Politiche dello scorso anno il Movimento 5 Stelle sia stato la prima forza politica sfiorando il 40% dei voti. Le polemiche che in campagna elettorale avevano riguardato Marsilio, “reo” di non essere abruzzese al 100%, non gli hanno impedito di diventare il primo governatore in quota Fratelli d’Italia: il partito di Giorgia Meloni, nato nel 2012 da una scissione del PDL, fino ad oggi non aveva mai visto un suo esponente diventare Presidente di una Regione. Con questa vittoria, peraltro, l’Abruzzo si conferma la regione “swing” per eccellenza: dal 1995 ad oggi, ossia da quando è stata introdotta la legge elettorale maggioritaria (seguita pochi anni dopo dall’introduzione dell’elezione diretta del Presidente), l’Abruzzo non ha mai confermato la maggioranza uscente in occasione delle Regionali. Per di più, in tutte le precedenti elezioni regionali, l’Abruzzo aveva rispecchiato – se non addirittura anticipato – le tendenze politiche nazionali.

 

Nel nuovo Consiglio regionale dell’Abruzzo, il centrodestra di Marsilio potrà contare su una confortevole maggioranza (18 seggi su 31) in cui la Lega sarà il primo gruppo consiliare con 10 seggi. Nonostante un risultato di coalizione decisamente superiore al quello del M5S (30% contro 20%), le liste pro-Legnini avranno invece solo 6 seggi di opposizione contro i 7 dei pentastellati, a causa della forte dispersione del voto alle liste minori della coalizione, che nel riparto dei seggi non sono riusciti a superare la soglia “implicita” (ottenendo almeno un quoziente intero).

3. LO SFONDAMENTO DELLA LEGA E IL CROLLO DEL M5S

Nel voto alle liste emergono forse le indicazioni più clamorose di queste elezioni. Il primo partito, un po’ a sorpresa, diventa la Lega di Salvini, che raddoppia il risultato (già positivo) delle Politiche 2018, superando il 27% dei consensi. Risultato importante ma che non è stato ottenuto a scapito degli alleati, se è vero che Forza Italia non scompare (pur scendendo sotto il 10%) e che Fratelli d’Italia (partito di Marsilio) ottiene un buon risultato, sopra il 6%. Nel complesso, la coalizione di centrodestra arriva a sfiorare il 50% (49,2%). Decisamente deludente è invece il risultato del Movimento 5 Stelle, che si ferma poco sotto il 20% (19,7%); deludente non solo rispetto al – quasi – 40% conquistato lo scorso 4 marzo in Abruzzo, ma persino rispetto al 21,4% ottenuto 5 anni fa, nel giorno in cui il PD di Renzi esplodeva al 40,8% sul piano nazionale. Il confronto è ancora più impressionante se si tiene conto dei voti assoluti: in meno di un anno, in Abruzzo i 5 Stelle sono passati da oltre 300 mila voti a meno di 120 mila, perdendo circa 6 voti su 10.

Ma – si potrebbe obiettare – non è molto corretto confrontare due elezioni diverse come Regionali e Politiche. Per quanto tale obiezione abbia dei limiti (le Politiche svoltesi meno di un anno fa sono comunque più indicative di quanto non lo possano essere le Regionali 2014, se non altro perché appartengono alla stessa “èra politica”), se confrontiamo i voti assoluti dell’elezione di ieri con quelli di 5 anni fa vediamo come il bilancio sia sostanzialmente lo stesso per tutti i principali partiti: estremamente positivo per la Lega (inesistente nel 2014, prima lista oggi), buono per FDI (che raddoppia), negativo per PD e Forza Italia ma anche per il M5S – che pure nel 2014 aveva ottenuto un risultato non entusiasmante.

Tutti questi dati sono molto importanti perché certificano per la prima volta con voti “veri” quello che i sondaggi stavano suggerendo da diversi mesi: e cioè che la Lega si sta effettivamente rafforzando anche nelle regioni del Centro-Sud, persino superando – come già era avvenuto sul piano nazionale – il Movimento 5 Stelle. In provincia di Teramo la Lega raggiunge addirittura il 33%, un dato che ancora fino a poco tempo fa era inimmaginabile per il partito di Salvini da Roma in giù.

Al contrario, il Movimento 5 Stelle ottiene il suo miglior risultato in provincia di Chieti (provincia di cui era originaria la sua candidata, Sara Marcozzi): il 23,8% raccolto dai pentastellati in questa provincia è solo di poco superiore al 23% ottenuto dalla Lega nella sua provincia peggiore, cioè L’Aquila. La provincia del capoluogo regionale è però la peggiore anche per il M5S, che qui si ferma di un soffio sotto il 13%

La crescita della Lega (anche in voti assoluti, nonostante la minore partecipazione rispetto alle Politiche) e il contemporaneo risultato “poco entusiasmante” del M5S rischiano di avere serie ripercussioni sugli equilibri del governo nazionale: fino ad oggi erano solo i sondaggi a suggerire che le gerarchie tra i due partiti di maggioranza si fossero invertite rispetto al voto politico del 4 marzo, mentre adesso a certificarlo sono voti “in carne ed ossa”. È quindi senz’altro possibile che il risultato delle Regionali in Abruzzo contribuirà ad accentuare le differenze tra il partito di Salvini e quello di Di Maio, con effetti imprevedibili sulla stabilità dell’esecutivo (e la coerenza delle sue azioni). Anche perché la somma di questi due partiti, che a Roma sostengono il Governo Conte, e che nei sondaggi nazionali supera il 57% dei voti, in Abruzzo dovrebbe attestarsi sotto il 50% (47,9% per l’esattezza), nella stessa regione in cui alle Politiche M5S e Lega avevano ottenuto complessivamente oltre il 53% dei suffragi.

4. IL BICCHIERE MEZZO PIENO (O MEZZO VUOTO?) DEL PD

Il Partito Democratico esce formalmente sconfitto dalle elezioni abruzzesi. Giovanni Legnini è arrivato secondo rimediando un distacco molto pesante da Marsilio, e il centrosinistra ha perso il governo di una Regione in cui aveva vinto più volte in passato (1995, 2005 e 2014). Il risultato della lista del PD, poco sopra l’11%, è molto deludente. Addirittura in provincia dell’Aquila il simbolo del PD è stato scelto da meno del 9% dei votanti. C’è da dire che – a L’Aquila come nelle altre province abruzzesi – le liste della coalizione più competitive sono state quelle civiche (Legnini Presidente, Abruzzo in comune, Abruzzo insieme) che hanno raccolto nel complesso circa il 12% dei consensi.

Il dato della coalizione, quindi, contiene alcuni elementi incoraggianti: le civiche a sostegno di Legnini hanno conquistato sia i voti di molti elettori di centrosinistra, sia (verosimilmente) quelli di elettori che nel 2018 avevano scelto il Movimento 5 Stelle. E il buon risultato di queste liste ha probabilmente a che fare con l’impostazione della campagna elettorale di Legnini, che si è presentato come un candidato “civico”, senza poter contare (o piuttosto cercando di nasconderlo?) sul sostegno del Partito Democratico – peraltro alle prese con il suo congresso e quindi privo di una leader nazionale spendibile in una campagna elettorale locale. Difficile dire se il risultato della coalizione di Legnini in Abruzzo implichi che una coalizione di centrosinistra allargata ad altri soggetti diversi dal PD possa essere competitiva anche a livello nazionale: di certo ha dimostrato che in occasione di elezioni locali, siano esse Regionali o Amministrative (come del resto si è visto anche lo scorso anno), il bipolarismo “classico” fondato sulla contrapposizione centrodestra/centrosinistra è ancora il modello di competizione elettorale prevalente, o perlomeno quello in cui gli elettori tendono ancora maggiormente a riconoscersi.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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