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Reddito di cittadinanza e disabilità. Una misura di civiltà ma si può fare ancora molto

Il reddito di cittadinanza, nel nostro ordinamento è inteso dal Legislatore come “misura unica di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, a garanzia del diritto al lavoro, nonché a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione, alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro.” Il condivisibile intento è piuttosto ambizioso. 

Lo stesso reddito di cittadinanza viene definito dalla norma quale “livello essenziale delle prestazioni” ma precisando “nei limiti delle risorse disponibili”.

La legge istituisce anche la pensione di cittadinanza a favore delle persone anziane. E’riservata ai nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni. In sede di conversione del Decreto è stata introdotta una eccezione: la pensione viene concessa anche se l’anziano convive (esclusivamente) con una persona con disabilità grave o non autosufficiente a prescindere, in questi casi, dall’età di quest’ultimo.

I titolari del reddito di cittadinanza sono sempre i nuclei familiari (mai i singoli componenti di una famiglia). Non può esservi più di un reddito di cittadinanza per nucleo familiare.

Il reddito di cittadinanza è una misura adottata in Italia del tutto peculiare in ambito europeo.

La carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea di Nizza, divenuta vincolante con il trattato di Lisbona del 2009, stabilisce che «al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale ed abitativa volto a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti».

L’effettività di tale diritto è perseguita attraverso il sostegno diretto ad ogni cittadino che voglia partecipare pienamente alla vita della comunità a cui appartiene e non un sussidio alla povertà. Il destinatario delle misure messe in campo in campo a livello degli altri paesi europei è il singolo cittadino, preso in considerazione come individuo e non solo come lavoratore escluso dal mercato.

Da tempo l’Ue ha individuato nel Reddito minimo garantito una policy da integrare ad altre politiche occupazionali per sconfiggere povertà ed emarginazione. Gli strumenti per realizzare queste politiche sono da sempre studiati attraverso metodi che sono oramai una prassi nel resto d’Europa: scambio di informazioni, promozioni di best practices, analisi di atti di indirizzo e raccomandazioni.

Tuttavia i beneficiari del reddito minimo garantito a livello europeo sono per lo più disoccupati che non riescono a rientrare nel mercato del lavoro, persone in difficoltà a causa di transizioni lavorative, giovani in cerca di lavoro, soggetti emarginati per problemi familiari, psicologici o connessi all’estrema povertà, precari e sotto-occupati che non ricevono un reddito decente. La platea cui è rivolto il reddito di cittadinanza è più ampia e ricomprende anche categorie di estremo disagio sociale quale quelle dei disabili. Uno strumento sicuramento non perfetto ma perfettibile alla luce dell’esperienza che verrà condotta successivamente alla sua adozione.

 All'interno dei confini europei a partire dal 1992, l'Unione Europea raccomanda agli Stati membri d'intervenire per combattere l'emarginazione sociale.

La raccomandazione 92/441 CEE stabilisce che ogni lavoratore della Comunità europea abbia ha diritto ad una protezione sociale adeguata e debba beneficiare, a prescindere dal regime e dalla dimensione dell'impresa in cui lavora, di prestazioni di sicurezza sociale ad un livello sufficiente.

Le persone escluse dal mercato del lavoro o perché non hanno potuto accedervi o perché non hanno potuto reinserirvisi e che sono prive di mezzi di sostentamento devono poter beneficiare di prestazioni e di risorse sufficienti adeguate alla loro situazione personale.

Il Parlamento europeo, nella sua risoluzione concernente la lotta contro la povertà nella Comunità europea, ha auspicato l'introduzione in tutti gli Stati membri di un reddito minimo garantito, inteso quale fattore d'inserimento nella società dei cittadini più poveri; inoltre l’Europa raccomanda a tutti gli stati membri di di riconoscere, nell'ambito d'un dispositivo globale e coerente di lotta all'emarginazione sociale, il diritto fondamentale della persona a risorse e a prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana e di adeguare di conseguenza, se e per quanto occorra, i propri sistemi di protezione sociale ai principi e agli orientamenti esposti nella risoluzione 

Numerosi Paesi hanno da tempo introdotto forme di reddito minimo garantito al fine di assicurare condizioni di vita dignitose alla maggior parte dei cittadini. Gli strumenti esistenti, ovviamente, cambiano da Paese a Paese e sono concepiti sia per dare sostegno a chi è disoccupato sia per assicurare maggiori risorse a chi, nonostante abbia un lavoro, viva ai limiti della povertà. Il cosiddetto reddito di cittadinanza in Belgio prende il nome di diritto all’integrazione sociale e prevede quindi il reddito di integrazione. Vi si accede dai 18 anni e la durata può essere illimitata se non si trovano altre fonti di reddito. Ne hanno diritto singoli individui, conviventi e sposati con famiglia a carico di nazionalità belga, ma anche stranieri registrati, rifugiati e cittadini Ue con permesso di soggiorno da più di tre mesi. La condizione per accedervi è di essere disponibili a svolgere un lavoro ma non si possono avere altre misure di assistenza o patrimoni personali. Esistono però sostegni di altro tipo come quello all’affitto, all’accesso alla cultura, al sostegno economico per i figli e simili.

In Francia si parla di Reddito di solidarietà attiva. La finalità è garantire un reddito minimo a chi non ne ha, promuovendone l’attività professionale. Si può richiedere a partire dai 25 anni per tre mesi (al di sotto dei 25 solo in caso di figli a carico). Ne hanno diritto anche gli stranieri legalmente residenti in Francia ma la condizione è che si cerchi lavoro, anche prendendo parte alle attività di inserimento stipulate. Esistono però altre forme di prestazioni come il sostegno all’affitto e all’acquisto della casa. 

In Danimarca esiste l’assistenza sociale e il contributo all’avviamento di una vita autonoma. Si tratta di una serie di misure per chi non ha i mezzi per soddisfare i bisogni della famiglia (come una malattia o la perdita improvvisa di lavoro). Ne hanno diritto i maggiorenni ma con elementi discrezionali, su base familiare, dei figli a carico e del periodo di residenza. Possono accedere all’assistenza sociale gli stranieri residenti da almeno 7 anni, in mancanza di questa possono richiedere il contributo per l’avviamento della vita autonoma. I beneficiari devono cercare attivamente lavoro: l’indennità viene sospesa se si rifiuta un’offerta di lavoro senza valide ragioni. Quindi gli assegni variano a seconda dell’età e dei figli a carico. Sono tuttavia riconosciute altre prestazioni come le integrazioni per le cure dentarie, l’acquisto di prodotti farmaceutici, l’affitto e l’istruzione. 

L’Irlanda ha il Supplementary Welfare Allowance, senza limiti di età a cittadini irlandesi, rifugiati, apolidi e a tutte le persone che risiedono legalmente nello Stato a prescindere dalla nazionalità, con residenza effettiva in Irlanda.

Le condizioni per accedervi è che non devono esserci altre indennità in corso di erogazione come la disoccupazione, la pensione sociale e simili. Sono comunque previste integrazioni per il pagamento dell’affitto, per spese eccezionali dovute a precarie condizioni di salute, aiuti per il pagamento degli interessi del mutuo, funerali e altre spese impreviste

In Germania è previsto il sussidio di sostentamento e di assistenza la cui finalità è quella di garantire una vita socioculturale e materiale. Per accedervi non ci sono limiti di età e di tempo e il diritto è soggettivo, quindi all’interno di una famiglia si possono richiedere più di una indennità.

Ne hanno diritto i cittadini tedeschi ma anche cittadini di paesi che hanno firmato accordi sul welfare come i paesi Ue, i rifugiati politici e altri casi particolari. Occorre però avere la residenza nel Paese, anche se il sussidio può essere riconosciuto a tedeschi residenti all’estero. Le condizioni previste per il riconoscimento sono: accettare qualsiasi lavoro proposto, fare orientamento con i servizi sociali, impegnarsi attivamente in società.

Il reddito di cittadinanza italiano ha un obiettivo ambizioso. Aiutare il nucleo familiare e non i singoli componenti con finalità di coesione sociale.

Il requisito fondamentale è che il richiedente o uno dei suoi familiari sia cittadino italiano o cittadino UE titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Oltre alla cittadinanza è richiesta la residenza in Italia da almeno dieci anni di cui gli ultimi due in modo continuativo.

Trattandosi di una misura di contrasto alla povertà assoluta sono stati adottati criteri piuttosto stringenti per l’individuazione degli aventi diritto ovvero l’ISEE del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro, patrimonio mobiliare di tutta la famiglia il cui limite varia a seconda della sua composizione, fissato in 6.000 euro, accresciuto di 2.000 euro per ogni componente successivo al primo fino ad un massimo di euro 10.000 e incrementato di ulteriori 1.000 euro per ogni figlio successivo al secondo. Se presente nel nucleo un disabile i limiti sono elevati di 5.000 e 7.500 euro nel caso di disabilità grave o di non autosufficienza, patrimonio immobiliare inferiore a 30.000 euro.

Altro elemento che incide sull’erogazione del beneficio è il reddito familiare. Ciò implica l’uso di una scala di equivalenza definita dalla legge stessa, fondamentale sia per il calcolo del limite del reddito familiare che, poi, per il calcolo del beneficio economico del reddito di cittadinanza. La scala di equivalenza in pratica consente di calcolare un parametro diverso a seconda della composizione e numerosità del nucleo.

Per quello che qui interessa occorre sottolineare che pur tenendo conto delle persone con disabilità, il computo del reddito riserva alcune incongruenze non riuscendo a tutelare a sufficienza i nuclei familiari con membri disabili. Infatti per calcolare il reddito familiare, ci si riferisce a quanto riportato nell’ISEE che prevede una specifica componente denominata Indicatore della Situazione Reddituale che conteggia retribuzioni, pensioni previdenziali, altri redditi di varia origine e prestazioni assistenziali che non siano di invalidità civile (in forza anche di tre sentenze del TAR Lazio del 2015 e di tre sentenze del Consiglio di Stato del 2016).

La legge, tuttavia, prevede espressamente che il calcolo del limite di reddito (ai soli fini del reddito di cittadinanza) sia inclusivo del “valore annuo dei trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti il nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi”.

Si tratterà di calcolare nel reddito le pensioni di invalidità civile, sordità, cecità civile, gli assegni agli invalidi parziali, l’indennità di frequenza e pensioni sociali. Sono escluse invece le indennità di accompagnamento che vengono erogate a prescindere dal reddito personale (la prova dei mezzi appunto) oltre a contributi che prevedono poi rendicontazione (esempio, alcuni contributi per la vita indipendente). Nel cumulo dei redditi non vanno computate "le erogazioni in forma di buoni servizio o altri titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi". Rimangono dei coni d'ombra su alcuni trasferimenti non sottoposti a rendicontazione e, al tempo stesso, non espressamente definiti come formula di sostituzione di servizi. Il che aprirà problemi interpretativi e applicativi.

Vale la pena ricordare che il “valore annuo” di una pensione di invalidità civile (285,66 per 13 mensilità) è pari a 3713,58 euro. Lo stesso importo mensile è previsto per l'indennità di frequenza, e per l'assegno mensile di assistenza.

Questa previsione è quindi doppiamente rilevante: da un lato può comportare l’esclusione dal reddito di cittadinanza di un nucleo in cui sia presente una persona con disabilità pur rientrando i tutti gli altri criteri; dall’altro comporta poi sempre una riduzione dell’importo del reddito di cittadinanza per tutti i nuclei in cui sia presente una persona con disabilità titolare di pensione (di cecità, invalidità, sordità) o di assegno o di indennità di frequenza.

Per tale aspetto di fatto discriminatorio, sono state sollevate molte critiche soprattutto dalle varie associazioni che tutelano i diritti dei disabili.

Si auspica che al di là delle iniziative che verranno intraprese anche nelle sedi giudiziarie, si possano rimodulare alcuni aspetti del Decreto, lesivi della parità di trattamento di categorie di cittadini.

Tuttavia, nonostante le criticità evidenziale, il reddito di cittadinanza è una misura coraggiosa adottata per contrastare la povertà e l’esclusione sociale. Senza alcun dubbio essa apre la strada ad una concreta politica pubblica in favore delle classi più deboli e disagiate della società italiana.

 

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