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Puglia, la Madonna in Pedalò | Quello che gli italiani non capiscono della laicità

La madonna a volte arriva in pedalò. È accaduto lo scorso 30 luglio sulla spiaggia di San Foca, in provincia di Lecce. Il parroco locale, Don Mario Calogiuri, ha issato una statua della madonna sullo scivolo di un pedalò e l’ha portata così in processione lungo la battigia, tra i materassini e i bagnanti in costume.

Si tratta di un’iniziativa di evangelizzazione inedita e stravagante che è stata gene­ral­mente ben accolta dalla stampa locale e nazionale. Dal punto di vista di un’associazione come l’UAAR, che da 30 anni si batte per la difesa della laicità in Italia, questa iniziativa risulta inopportuna per un motivo — e uno soltanto. È irrilevante esprimersi sul dubbio gusto della processione. Altrettanto irrilevante è sottolineare come l’ideatore della processione, Don Mario, abbia l’abitudine di condividere qua e là post razzisti, antivaccinisti e sessisti, alternando sulla sua bacheca foto di rosari, preghiere e video contro Laura Boldrini.

La processione sulla spiaggia di San Foca è invece inopportuna per un altro motivo: ha invaso uno spazio pubblico, deputato allo svago e al divertimento, nel quale la religione non può e non deve mettere piede.

Non siete d’accordo? Pensate che Don Mario non abbia fatto nulla di male? Bene. Immaginiamo allora quale sarebbe stata la reazione più verosimile se al posto di un prete, su quel pedalò, ci fosse stato un imam. Scandalo. “Fuori dalle nostre spiagge”, avrebbero probabilmente recitato in coro le prime pagine dei giornali. “Fermiamo l’invasione islamica”, e così via. Due pesi, due misure insomma. Eppure, prete, imam o rabbino che sia, dove starebbe la differenza? C’è evidentemente qualcosa che non torna in questa valutazione.

Obiezione: l’Italia è un paese a tradizione cristiana, e se qualcuno non è d’accordo con questa tradizione può tornarsene “a casa propria”. Tuttavia almeno dieci milioni di italiani “dissidenti” a casa propria ci sono già. Si definiscono atei e agnostici, e credono che salvaguardare l’aconfessionalità degli spazi pubblici sia l’unico modo per garantire la pacifica convivenza di tutti i cittadini in una società pluralista come la nostra. Per non parlare poi di quel 15% di credenti non-cattolici che avrebbero trovato altrettanto fuori luogo la processione di Don Mario.

Che farne di tutti questi milioni di italiani che, in totale, rappresentano almeno il 25% della popolazione? Dove spedirli? Da nessuna parte ovviamente. Quello che deve cambiare non è infatti la capacità di sopportazione delle minoranze nei confronti delle imposizioni della maggioranza, bensì il modo in cui ognuno di noi concepisce e mette in pratica il principio di laicità, a prescindere dalla sua appartenenza religiosa, minoritaria o maggioritaria che sia.

Da questo punto di vista c’è una grandissima confusione nella mente della maggior parte degli italiani. In molti pensano infatti che la laicità — spesso chiamata con disprezzo “laicismo” — sia un principio importato ed imposto dagli immigrati di fede musulmana, indù o quant’altro.

Non è così. La laicità è un principio implicito nella Costituzione Italiana, ribadito da numerose sentenze della Corte Costituzionale. Gli immigrati non c’entrano un bel niente, con buona pace di Salvini e Magdi Cristiano Allam.

Nello specifico, in una sentenza del 2000, la Corte Costituzionale ha precisato come il principio di laicità comporti “equidistanza e imparzialità [dello Stato] rispetto a tutte le confessioni religiose”, poiché, in una società pluralista come la nostra, “hanno a convivere, in uguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse”.

Ed è qui che arriviamo al secondo grande equivoco sulla laicità, ovvero: che essa sia un pretesto messo in campo da anticlericali e miscredenti per perseguire un fantomatico progetto di scristianizzazione della società. Non è così. Il principio di laicità non va contro nessuno, al contrario, opera per il bene di tutti. Esso stabilisce i confini entro i quali ogni cittadino e ogni comunità religiosa possono manifestare il proprio credo senza invadere la libertà altrui, e così facendo la laicità si pone a difesa di tutti — ma proprio tutti — i cittadini.

La rimozione dei crocefissi dalle aule e dagli uffici pubblici non è un attacco alle “nostre radici cristiane”, bensì la più elementare forma di rispetto che ci si aspetti da uno Stato democratico e pluralista come il nostro. Stesso discorso per le campane delle Chiese. Chiedere che suonino ad orari prestabiliti e al di sotto di un certo livello acustico non è un atto di ribellione e miscredenza, bensì puro e semplice rispetto del quieto vivere, nonché applicazione di leggi sull’inquinamento acustico e sul disturbo della quiete pubblica — leggi che, in linea di principio, sono “uguali per tutti”. O forse no?

Il rischio è che cittadini esasperati dalle campane delle 6.30 citino in giudizio il parroco — o addirittura si facciano giustizia da sé. O ancora, come accaduto in Norvegia qualche anno fa, altri gruppi religiosi potrebbero richiedere di fare lo stesso, dando il via ad un caotico concerto multiconfessionale per sole campane.

Per questo motivo è auspicabile per tutti che manifestazioni come quelle di San Foca restino episodi isolati, e non pericolosi precedenti per legittimare nuove forme di evangelizzazione — al parco, in campeggio, in metropolitana? Perché, ne sono certo, nessuno di noi vorrebbe davvero vivere in una società dove i confini tra il religioso e il civile siano labili ed incerti. Il pericolo è di ritrovarsi nel bel mezzo di una messa anche quando si era usciti semplicemente per fare la spesa, come accade in Colombia, o di venire svegliati nel bel mezzo di un pisolino da un testimone di Geova che non vedeva l’ora di farci sapere che “Cristo sta tornando”…

No, grazie. Lunga vita ai santi e alle divinità, ma a patto che restino nelle loro chiese e sui loro altari — non su un pedalò a due passi dal mio ombrellone.

Giovanni Gaetani

Questo articolo è stato pubblicato qui

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