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Primo sì di Bucarest alla più dura manovra economica nell’UE

La capitale romena paralizzata dallo sciopero dei ferrovieri della metropolitana. Intanto diminuisce sensibilmente la presenza delle imprese italiane nel Banato. 

Primo sì di Bucarest alla più dura manovra economica nell'UE

E’ la più draconiana manovra che in questi ultimi due anni di crisi economica globale il governo di una nazione dell’Unione europea abbia posto in essere: la manovra romena, voluta dal Governo Boc, è finalizzata soprattutto alla riduzione del deficit pubblico in una delle più povere nazioni dell’Europa unita, condizione senza la quale non sarà possibile riscuotere l’esiziale terza rata del prestito concordato con il Fondo Monetario Internazionale. Sta però mettendo a dura prova il modesto e timido benessere della popolazione che, giova ricordarlo, per un quarto è ancora sotto la soglia di povertà e sopravvivenza. La decisione di ridurre del 25% i salari dei dipendenti ministeriali e degli enti locali nonché di tagliare del 15% le pensioni privilegiate e le sovvenzioni generalizzate legate alla maternità ed al perpuerio delle mamme romene, e di quelle comunitarie eventualmente colà residenti, è stata però una scelta obbligata dal fatto che Bucarest non intende assolutamente abolire la quota unica di imposizione fiscale, progressiva, piuttosto che adottare il più equilibrato principio di tassazione progressiva in vigore in molte delle più evolute democrazie dell’occidente. Al di là, comunque, degli scioperi proclamati dai lavoratori ministeriali, dai dipendenti del comparto della sanità, dai poliziotti di frontiera, dagli insegnanti e dai ferrovieri della metropolitana di Bucarest, scioperi che tre giorni fa hanno paralizzato la capitale e le scuole di ogni ordine e grado nella nazione, non è che le misure d’austerity colpiscano indiscriminatamente:i salari corrisposti nella misura del minimo contrattuale, le pensioni di invalidità, i contributi sociali ai più poveri e le sovvenzioni a favore delle famiglie con una prole numerosa non sono stati intaccati.
 
Se non si fosse intervenuti con decisione però, come dice il Ministro delle Finanze Sebastian Vladescu, “la Romania, oggi ad un passo dal fallimento, sarebbe caduta nel baratro, tornando indietro di vent’anni, ai tempi della rivoluzione anti- comunista, tanto per intenderci”. Il governo Boc sulla manovra economica d’austerity ha deciso di giocarsi il tutto per tutto e, dopo averla presentata in Parlamento, ha posto la fiducia mentre l’opposizione, composta dai socialdemocratici di Victor Ponta e dai liberali della coppia Vosganian-Tariceanu, ha avanzato una mozione contraria di sfiducia nei confronti del premier romeno. Lo stesso ministro Elena Udrea, fedelissima del Presidente romeno Traian Basescu, non esclude un nuovo governo entro l’autunno, magari espressione di una nuova maggioranza parlamentare. A questo punto però nasce, e si evidenzia in tutta la sua complessità, l’eventuale sua coabitazione con un Presidente espressione del Partito Liberal-democratico, la Romania in quanto Repubblica semi-presidenziale conferisce importanti poteri di natura esecutiva al Capo dello Stato, tanto che sia i liberali del Pnl che i socialisti del Psd prefigurano già un ricorso abbinato sia alle elezioni legislative generali che a quelle presidenziali in ottobre. “I romeni finalmente hanno capito di essere in mano ad una cricca affaristica guidata da Basescu che li sta portando ad essere la vergogna d’Europa” sostengono Ponta e Tariceanu. Il socialdemocratico Ponta, inoltre, si dice sicuro che molti pezzi da novanta del Partito Liberal-democratico, tra cui anche Vladescu, stiano per abbandonare Basescu per approdare ai più tranquillizzanti lidi socialisti. La nave romena sta affondando e, negli ultimi tempi, pare essere stata abbandonata anche da molti imprenditori italiani, almeno da quelli che stabilitisi nel Banato all’inizio del terzo millennio cercavano sfruttando i dipendenti facili guadagni, che oggi si indirizzano verso nazioni extra- comunitarie quali Ucraina, Moldavia, Serbia ed Albania. Il loro posto sta per essere preso da moltissimi imprenditori cinesi che in questo modo, senza più problemi di dazi, intendono iniziare a produrre e commerciare all’interno dell’Unione Europea i propri prodotti. Una tegola in più sulla testa di una nazione confederata alla disperata ricerca di una classe dirigente e di un premier competente, magari il sindaco sassone di Sibiu Klaus Johannis, per uscire dalla più grave crisi del dopo-Ceausescu.  

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