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Presidio Alcoa: "Da 5 mesi non ci pagano la cassa integrazione"

Gli operai Alcoa e dell’indotto sono in presidio da oltre due settimane nelle tende, appena fuori la fabbrica. Uno scenario post apocalittico, con la fabbrica da una parte, arrugginita, e fuori l’accampamento, con gli operai che montano e smontano, fanno lavori.

Perché? “Volevamo rilanciare la mobilitazione, dopo il silenzio dell’ultimo anno”, spiega Pierpaolo Gai, rappresentante dei lavoratori fisso al presidio. “La situazione è drammatica, vogliamo incalzare il governo Renzi perché spinga sulle trattative di vendita”, conclude. Sembra molto lontano il 2010, quando gli operai andarono a migliaia a protestare a Roma. “A giugno, fra un mese, cesseranno del tutto le manutenzioni dell’impianto e si inizierà gradualmente con le operazioni di smantellamento”, spiega Manolo Mureddu, rappresentante dei lavoratori dell’indotto.

I giorni passano inesorabili: “Buongiorno. Notte bagnata, molto bagnata ma sempre al coperto. Non si molla mai. Si lotta senza sosta per tutti i colleghi e per il bene del Sulcis Iglesiente”, scrive sul suo profilo Facebook Pierpaolo, che usa un po’ come diario del presidio. Scrive: “Ad oggi il presidio è vivo grazie al sacrificio di colleghi Alcoa e degli appalti che vogliono dimostrare che la vertenza non è morta, perché c’è ancora la possibilità che lo stabilimento possa riaprire. E spetta a tutti partecipare facendo avvicinare anche le famiglie e i colleghi che non ci credono più”.

I lavoratori dell’indotto sono quelli che pagano il prezzo più alto: da cinque mesi non ricevono la cassa in deroga, e da giugno questa finirà. “Che senso ha dare 80 euro in busta paga, come ha fatto Matteo Renzi, e non risolvere il problema dei fondi per la cassa in deroga?”, si chiede Mureddu.

Per i lavoratori diretti ex Alcoa, invece, la cassa andrà avanti fino a dicembre, poi – se non si riparte – la mobilità. “La situazione è drammatica fra i lavoratori dell’indotto”, racconta Mureddu, “con cinque mesi di attesa per la cassa siamo costretti a organizzarci facendo raccolte alimentari fra amici e colleghi, e collette di solidarietà”.

“La mattina viene molta gente qui al presidio, a darci una mano”, dice Pierpaolo. “Commercianti, operai, le famiglie. Portano solidarietà e coraggio”. E pare che gli operai ne avranno bisogno: martedì scorso 31 di loro sono stati condannati a un mese con la condizionale per “blocco di pubblico servizio”, relativo all’occupazione dell’aeroporto di Cagliari nel 2010, al culmine delle proteste.

Insomma, nessuno vuole più pensare all’Alcoa. Al Sulcis. E allora? “Presto bisognerà tornare a Roma”, concludono gli operai.

 

A cura di: Michele Azzu

Questo articolo è stato pubblicato qui

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