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Presente e futuro della Performance

Andrea Colamedici e Maura Gancitano sono i due autori di un saggio denso e leggero allo stesso tempo: "La società della performance" (www.tlon.it, 190 pagine).

In Occidente la Società dello spettacolo in molti casi si è evoluta nella Società della performance. Un cittadino, "In quanto performer, oltre che produttore" è "anche un consumatore di contenuti, quindi il tempo libero viene colonizzato" (p. 31). La Società della performance vive sul presente e prima o poi porta alla precarietà personale, puntando sulla "paura di essere tagliati fuori, di perdersi qualcosa di importante, di essere esclusi" (p. 30).

Purtroppo se "Il pubblico è un prolungamento del mio spazio privato, mi interessa solo se posso guadagnarci qualcosa". Secondo Hannah Arendt, "pubblico e privato sono due spazi che cambiano a secondo della cultura e dello spirito del tempo ma non sono sempre irriducibili" (p. 174, da Vita Activa). Quindi la Società della performance produce "individui alienati perché punta tutto sulle tue singole capacità", creando "uno scompenso: non ci sono più azioni comuni, non c'è un linguaggio costruito insieme" (p. 175). L'egoismo sociale viene personalizzato in maniera avvolgente.

In ogni caso "oggi le cose sono cambiate, e il posto in cui gli individui pensano di poter dimostrare il proprio effettivo e insostituibile valore è la sfera privata: la relazione affettiva, la famiglia, il successo lavorativo, il personal branding (p. 175). In Occidente le persone sono diventate dei prodotti sociali, paragonabili a un bene molto complesso, destinato a una forma di vendita indiretta. 

In effetti "La società della performance ci spinge a immaginarci gli uni contro gli altri, in competizione, come se dovessimo sempre scalare una classifica e mantenere la nostra posizione" (p. 173). Però l'idea che "il polemos è padre di tutte le cose" (Eraclito), non indica la guerra tra gli esseri umani, ma la spinta al movimento, all'azione, che è essenziale alla vita sulla Terrra" (p. 174).

Come ultima analisi possiamo affermare che "convivere comporta un impegno a cui non veniamo educati, una partecipazione attiva che a tanti di noi sembra noiosa, ridicola, insensata, ma che invece è alla base della coesione sociale. La partecipazione attiva è una garanzia di libertà per il singolo cittadino e per l'insieme della società, perché le garantisce di vigilare sull'operato di chi governa e di mantenere il potere sul proprio corpo, sulle proprie scelte, sulle proprie opinioni" (p. 177).

Infine, mi sembra giusto chiudere con questa affermazione: "La felicità è reale solo se condivisa" (Tolstoj).

Andrea Colamedici e Maura Gancitano sono dei filosofi, degli scrittori e degli editori (collaborano a molti livelli). Inoltre hanno ideato il podcast Scuola di Filosofie e la Festa della Filosofia di Roma e Milano. Nel 2023 è uscito un altro loro saggio molto interessante: "Ma chi me lo fa fare? Come il lavoro ci ha illuso: la fine dell'incantesimo" (HarperCollins Italia).

Nota - "La guerra non è algebra dell'azione; si basa sempre sull'idea di scontro tra un individuo e un altro, dunque deve diffondere la convinzione che sia nella nostra natura essere contro, tentare di sopraffarsi a vicenda, perché "la tendenza all'annientamento del nemico, insita nel concetto di guerra, non è stata in alcun modo turbata o deviata dal crescere della civiltà" (Clausewitz, p. 173).

Nota finale - "Nella cultura greca l'eccellere era collegato alla virtù, cioè a qualcosa di qualitativo, mentre adesso l'eccellenza è collegata alla qualità della performance e al suo impatto in termini quantitativi" (p. 176). Ora quasi tutte le persone pensano al guadagno personale, "e non a come lasceremo la Terra alle prossime generazioni" (p. 177).

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