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Post-terremoto in Turchia, le persone con disabilità abbandonate a se stesse

I terremoti che a febbraio hanno devastato la Turchia hanno causato oltre 48.000 morti e più di 100.000 feriti, molti dei quali hanno perso gli arti o hanno riportato altri danni permanenti. Gli sfollati sono stati oltre tre milioni e 300.000, circa due milioni e 300.000 dei quali si trovano in tendopoli o prefabbricati. Secondo un rapporto del governo turco e delle Nazioni Unite, il 70 per cento delle persone ferite ha qualche forma di disabilità.

In un rapporto pubblicato giovedì 27 aprile, Amnesty International ha denunciato che le persone con disabilità, ospitate nei campi per sfollati dopo i devastanti terremoti della Turchia, sono trascurate dalla risposta umanitaria: vivono in strutture inadeguate e la loro dignità e il loro diritto alla salute sono messi a rischio dalle autorità e dagli attori umanitari.

Le autorità turche hanno privilegiato il modello “uno per tutti” nell’organizzazione delle strutture recettive di emergenza, senza tener conto delle specifiche necessità delle persone con disabilità.

Il problema più grande riguarda l’accesso ai servizi igienici: nelle 21 strutture visitate da Amnesty International, i servizi comuni erano inaccessibili alle persone con scarsa o assente mobilità. Impossibilitati a recarsi alle latrine, molte persone con disabilità devono farsi aiutare da chi le assiste o dipendono dalle forniture di pannoloni.

“Non posso usare i bagni comuni. I miei parenti devono alzarmi dalla sedia a rotelle e appoggiarmi sulla tavoletta, poi devono svuotarla e pulirla ogni volta. Avremmo bisogno di un po’ di riservatezza e di dignità, ma in queste circostanze è molto difficile”, ha raccontato una rifugiata siriana di 48 anni, che ha perso la gamba sinistra e il piede destro a causa del diabete.

“Mia sorella non può usare il gabinetto perché è una struttura instabile e se cade è molto pericoloso per via dell’amputazione”, ha riferito una ragazza di 18 anni che assiste la sorella 13enne, che nei terremoti ha perso la gamba destra e anche la madre e che è costretta a usare i pannoloni.

C’è poi la difficoltà di accedere agli aiuti. Quasi ogni persona con disabilità intervistata da Amnesty International, comprese persone anziane con mobilità limitata, deve fare affidamento sui parenti poiché non può recarsi autonomamente nei centri di distribuzione del cibo e di prodotti per l’igiene.

Del tutto carenti, poi, sono le attrezzature per l’assistenza, come le sedie a rotelle.

I terremoti hanno causato enormi interruzioni nella fornitura di servizi sanitari a causa della distruzione o dei grave danneggiamento delle strutture che li erogavano, compresi i centri per la riabilitazione fisica, e della morte, del ferimento o dello sfollamento del personale addetto.

Ma dalle ricerche di Amnesty International è emersa, proprio l’impellente necessità di aumentare i servizi di sostegno psicosociale e per la salute mentale.

Fadime Cetin, 41 anni, ammalata di cancro, aiuta il marito colpito dall’Alzheimer e due figli con disabilità. La famiglia è stata estratta viva dopo cinque giorni, a Kahramanmaras, dalle macerie di un palazzo di tre piani, il cui crollo ha ucciso altri parenti. Uno dei figli, un 17enne con problemi di salute mentale, la preoccupa particolarmente:

“Ogni tanto si aggrappa ai veli delle donne e chi è intorno lo insulta e lo picchia. A volte vagabonda lungo la strada che costeggia il campo per sfollati e si siede in mezzo al traffico. Per non farlo muovere, devo legarlo con un piede a un palo di legno fuori dalla tenda. A casa non facevo così, era libero”.

Melek, 35 anni, vive coi suoi tre figli e con i suoceri in una tendopoli alla periferia di Kahramanmaras. La figlia di cinque anni sta dando segni di grande sofferenza:

“Parla nel sonno e, quando mi alzo per andare al gabinetto, mi chiede se ci sia un terremoto”.

Insomma, occorre una risposta umanitaria inclusiva, coerente con gli impegni assunti dalla Turchia con la ratifica della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Una prima misura pratica potrebbe essere la raccolta e l’analisi dei dati disaggregati per età, genere e tipo di disabilità, da mettere a disposizione degli attori coinvolti nella risposta umanitaria in modo da garantire servizi adeguati e corrispondenti ai bisogni.

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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