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Polonia, condannata per aver aiutato ad abortire

In Polonia le leggi in materia di interruzione di gravidanza sono tra le più restrittive d’Europa.

Il 22 ottobre 2020 la Corte costituzionale ha stabilito che l’aborto è incostituzionale anche per motivi di danno fetale, fatale o grave, eliminando così anche uno dei pochi motivi ancora legali per ricorrere all’aborto.

Secondo la sentenza, gli aborti nell’ambito del sistema sanitario sono consentiti solo per due motivi: quando la gravidanza mette in pericolo la vita e/o la salute della donna incinta o quando è il risultato di uno stupro o di un incesto. Anche in queste situazioni, molte barriere limitano nella pratica l’accesso delle donne incinte all’aborto, colpendo in particolare quelle provenienti dalle comunità rurali e a basso reddito.

Sebbene il possesso o l’autogestione di farmaci abortivi non sia un reato in Polonia, qualsiasi persona o medico che aiuti una donna incinta ad abortire al di fuori dei limitati motivi consentiti dalla legge è punito con la reclusione fino a tre anni, ai sensi dell’articolo 152.2 del codice penale.

Justyna Wydrzyńska è una delle fondatrici dell’Abortion Dream Team, un collettivo che lotta contro lo stigma dell’aborto in Polonia. Il gruppo offre corsi di formazione e consigli non giudicanti su come accedere a un aborto sicuro.

Nel febbraio del 2020, Justyna è entrata in contatto con una donna incinta e disperata, intrappolata in una relazione violenta. Ha deciso di aiutarla e di inviarle pillole abortive per posta, ma il compagno della donna ha intercettato il pacco e ha chiamato la polizia.

Nel novembre 2021, Justyna è stata incriminata per il reato di “assistenza all’aborto”. Nel marzo di quest’anno è stata dichiarata colpevole e condannata a otto mesi di lavori socialmente utili. I suoi avvocati hanno presentato appello.

Qui l’appello di Amnesty International perché sia annullata la condanna di Justyna.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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