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Pink tax: perchè essere donne costa di più

“Quanto più libere saranno le donne, tanto più lo saranno gli uomini. Perché chi rende schiavo è a sua volta schiavo” Louise Nevelson

La cultura occidentale in tutte le sue espressioni, economiche, sociali, letterarie, religiose, ha promosso la costruzione di ruoli distinti per gli uomini e per le donne, a cui corrispondono qualità specifiche e comportamenti adeguati. Questi modelli di ciò che è femminile e ciò che è maschile sono diventati degli stereotipi di genere, quali opinioni comuni dogmatiche e generali, considerate scontate ed immutabili.
Negli ultimi decenni le rigide identità di genere si sono confrontate con una società in rapida trasformazione, in cui gli stessi cliché sono stati in parte sconfessati, anche grazie alle lotte femministe e all’approvazione di importanti leggi che hanno permesso alle donne di accedere ad ambiti di interesse tradizionalmente maschili (Consolo, 2017).

La fervida lotta per la parità e per l’emancipazione non può tuttavia ritenersi ancora realmente conclusa. Siamo figli del patriarcato e di una tradizione maschilista di stampo plurisecolare, tanto forte da aver plasmato ed insediato nei nostri avi ed in noi solide credenze e pregiudizi. Quello della “Pink Tax” (o tassa rosa) costituisce in tal senso uno strumento sociale ed economico di particolare impatto: esso nasce da una scelta di marketing basata proprio sullo stereotipo di genere, secondo cui è sufficiente posizionare un prodotto sul target femminile per renderlo automaticamente più costoso. Si tratta di un’accisa fittizia, ovvero di una maggiorazione di prezzo su alcuni prodotti destinati al femminile, spesso praticamente identici ai corrispettivi maschili, che contribuisce ad alimentare e rinforzare la condizione di disparità morale e materiale tra i sessi. Jennifer Weiss-Wolf, avvocato e vicepresidente del Brennan School of Justice presso la NYU School of Law, ha definito tale scelta di pricing come uno “scenario di generazione di reddito per le aziende private che hanno trovato un modo per rendere il loro prodotto più mirato o più appropriato per la popolazione e lo hanno visto come un moneymaker”. Fu quando le ditte scoprirono di poter differenziare anche prodotti in origine neutri (come i detergenti), che nacquero infatti bisogni di mercato nuovi e decisamente orientati su base di genere. L’esempio più iconico, da cui fu coniata l’espressione “Pink Tax”, è rappresentato da una confezione da 5 rasoi Monoprix rosa con un prezzo di +4,7% rispetto al corrispettivo maschile da 10 pezzi. Il paradosso fu scoperto e rivelato nel 2017 su Twitter dall’allora ministro francese per le pari opportunità, Pascale Boistad. La donna fece notare la significativa differenza tra il costo del prodotto “femminile” (1,80€) e quello del prodotto “maschile” (1,72€).

Negli ultimi 20 anni California, Connecticut, Florida e South Dakota hanno pubblicato dei rapporti sui prezzi di genere nei loro Stati, evidenziando la condizione di disparità tra uomini e donne. Nel 2010, Consumer Reports ha evidenziato la questione a livello nazionale (USA). Attraverso uno studio ha rilevato come le donne arrivassero a pagare fino al 50% in più rispetto agli uomini per prodotti simili. Il Department of Consumer Affairs (DCA) di New York ha poi pubblicato il report “From Cradle to Cane: The Cost of Being a Female Consumer. A Study of Gender Pricing in New York City”, basato su un’indagine condotta nel 2015, in cui è stata analizzata un’ampia gamma di prodotti (794, ben 35 categorie) per tutte le fasce di età. Quest’ultima ha rilevato un costo medio dei beni femminili di circa il 7% in più rispetto ai corrispondenti maschili; il divario risultava maggiore sui prodotti di bellezza (+13%) e sull’abbigliamento (+8%). Nel 2019, infine, il sito webIdealo, una delle principali piattaforme digitali internazionali per lo shopping e la comparazione dei prezzi, ha effettuato un’indagine per approfondire la tematica della fluttuazione dei costi in base al genere (Pink Tax vs Blue Tax) nel territorio italiano nel corso di un anno. Sono stati esaminati almeno 5 prodotti a campione per ciascuna delle 9 categorie merceologiche oggetto di studio presenti sul portale (sneakers, scarpe da corsa, scarpe outdoor, scarpe da sport, scarpe da tennis, sandali da trekking, deodoranti, trattamenti viso, prodotti per la cura del corpo). Idealo ha individuato come i deodoranti femminili ed i prodotti da donna per il trattamento del viso tendano a costare rispettivamente il +51,1% e il + 57,2% dei corrispettivi maschili, al contrario delle scarpe sportive (+11,4%) e dei prodotti per la cura del corpo (+39,6%), più costosi per gli uomini. Ulteriori approfondimenti hanno evidenziato un rincaro del +26,6% su altri prodotti maschili (bagnoschiuma, shampoo e balsamo) rispetto al prezzo medio per le donne, ma fluttuazioni maggiori sulle creme depilatorie e su alcuni articoli di abbigliamento destinati a quest’ultime (es. giacche, cappotti, maglieria).

Il caso più eclatante, se non uno dei più noti, riguarda invece il fenomeno della “Tampon Tax”. Essa consiste in un’IVA, ovvero in una reale tassa imposta dal governo sui beni di consumo e stabilita dalla legge, materialmente differente dalla Pink Tax ma concettualmente affine alla stessa. Nel nostro Paese i prodotti di prima necessità hanno una tassazione agevolata del 4%, tutti gli altri sono tassati con IVA al 22%. È proprio in quest’ultima categoria che rientrano anche gli assorbenti (interni, esterni, coppette mestruali), un bene irrinunciabile reso “di lusso” dalle norme imposte dal d.P.R. n.633/1972. Poiché solo le persone con le mestruazioni fanno uso di prodotti per l’igiene femminile, l’imposta colpisce le donne in modo sproporzionato. In molti ritengono sia indispensabile agire per favorire il cambiamento in Italia, così come è già stato fatto nel resto d’Europa: in Francia e Olanda la tassa è stata ridotta, mentre in Irlanda è stata definitivamente abolita. Secondo i dati di Period Equity, ad oggi anche in 36 Stati USA (es. Arizona, Nebraska, Virginia) si applica ancora l’imposta sulle vendite di tali prodotti.

L’associazione Period Equityè composta da un team di avvocati in lotta per la conquista dell’”equità mestruale” nel 2015, ha collaborato con la rivista “Cosmopolitan” per promuovere una petizione sul sito Change.org al fine di eliminare la tassa imposta sui tamponi. Un valido sito tedesco di stampo prettamente femminile, noto con il nome di The Female Company, è stato a sua volta il fautore del peculiare “The Tampon Book”, uno strumento ideato per protestare contro la tassazione dei prodotti per l’igiene femminile in Germania, anche qui considerati come un “bene di lusso” (+19%). Sempre più aziende di vecchia e nuova tradizione si dimostrano inoltre oggi più aperte verso articoli che non siano caratterizzati da distinzione di genere. Tra i maggiori settori ci sono quelli della moda (“Zara”, “H&M”), della cosmesi e della daily routine (“Billie”). Quest’ultimo è un brand americano con vocazione “female first” che lotta contro gli stereotipi, eliminando la Pink Tax dai suoi prodotti e promuovendo campagne sociali per un efficace empowerment femminile, come “Project Body Air” e “#JanyHairy”, in cui viene evidenziata la naturalezza dei peli corporei (contrariamente agli spot tradizionali).
I dati forniti dalle svariate ricerche suggeriscono sostanzialmente come i rincari sui prodotti femminili, quando presenti, siano sempre più elevati rispetto a quelli sui prodotti maschili. Sebbene esistano articoli studiati appositamente per le esigenze del pubblico femminile, spesso le aziende produttrici decidono di differenziare il posizionamento di alcuni beni neutri su target diversi, in modo da creare la percezione che ne esista una “versione da uomo” e una “da donna”, permettendo così di vendere prodotti sostanzialmente identici (se non unisex) a prezzi differenti.

La disparità morale e materiale tra uomo e donna, esito di una società fortemente fallocentrica, è attualmente una realtà ancora troppo presente. Talvolta siamo vittime delle nostre stesse convinzioni stereotipate, spesso inconsce e radicate in ciascuno di noi. Sebbene ci si possa avvalere oggi di numerose strategie per tentare di ovviare al problema della Pink Tax (dal porre attenzione alla fluttuazione media dei prezzi sino a comparare i modelli dei prodotti e ad usufruire della coppetta mestruale riutilizzabile), la strada più efficace per combattere il pregiudizio e le disuguaglianze è senza dubbio quella della conoscenza, dell’informazione, dell’apertura e dell’accoglienza verso l’altro e verso ciò che è “diverso” da noi.

 

Tirocinante: Enrica De Michele
Tutor: Fabiana Salucci

 

Riferimenti:
– Company, T. F. (s.d.). Tratto da thefemalecompany.com: https://www.thefemalecompany.com/ta...


– Consolo, I. (2017). Il Piacere Femminile. Scoprire, sperimentare e vivere la sessualità. Firenze: Giunti Editore.
– Dara, V. (2019, febbraio 18). Inside Marketing. Tratto da insidemarketing.it: https://www.insidemarketing.it/pink...
– Department of Consumer Affairs. (2015, dicembre). From Cradle to Cane: The Cost of Being a Female Consumer. A Study of Gender Pricing in New York City. Tratto da https://www1.nyc.gov/assets/dca/dow...

- Giordani, G. (2018, settembre 04). Cosmopolitan. Tratto da cosmopolitan.com: https://www.cosmopolitan.com/it/lif...

- Giordani, G. (2019, gennaio 29). Cosmopolitan. Tratto da cosmopolitan.com: https://www.cosmopolitan.com/it/lif...

- Period Equity. (s.d.). Tratto da periodequity.org: https://www.periodequity.org/

- Pilello, A. (2020, febbraio 25). Idealo. Tratto da idealo.it: https://www.idealo.it/magazine/e-co...

- Salerno, A. (2019, marzo 07). Starting Finance. Tratto da startingfinance.com: https://www.startingfinance.com/app...

- Wakeman, J. (2020, agosto 06). Healthline. Tratto da healthline.com: https://www.healthline.com/health/t...

L'articolo Pink tax: perchè essere donne costa di più proviene da IISS - Istituto Italiano di Sessuologia Scientifica.

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