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 Home page > Attualità > Economia > Pil: spendi e tassa, che non ti passa

Pil: spendi e tassa, che non ti passa

In condizioni normali non andrei a guardare i conti trimestrali della pubblica amministrazione, perché si tratta di dati fortemente distorti da stagionalità caratteristiche ed ogni tentativo di proiettarli su scala annuale servirebbe solo a giustificare la scarsa comprensione della realtà da parte del suo autore. Quello che tuttavia si può fare è confrontare i dati rispetto allo stesso trimestre degli anni precedenti.

Da questo raffronto si scopre che il deficit delle amministrazioni rispetto al Pil è lievemente migliore rispetto al primo trimestre 2018, il 4,1% contro il 4,2%. Peggiora tuttavia il saldo primario, che nel primo trimestre dell’anno tende ad essere negativo: da -0,9% del primo trimestre 2018 a -1,3% di quest’anno. Quindi, con una inferenza complessa, possiamo dire, che se il saldo primario è peggiorato ma quello complessivo è migliorato, dobbiamo attenderci che sia aumentata la pressione fiscale e/o che sia diminuita la spesa per interessi. Entrambe le cose, come vedremo.

Rispetto ad un anno fa, si vede che sono aumentate le spese correnti ma anche la pressione fiscale. Sono due le voci di uscita che mostrano una crescita nettamente superiore all’inflazione: “prestazioni sociali in denaro” e “altre uscite correnti”. Le uscite complessive sono frenate dal crollo della spesa per interessi, che in un anno flette del 13,1%. Avviso ai naviganti: non entusiasmatevi, questa è un’anomalia che verrà corretta con gli interessi (letteralmente) nei prossimi trimestri.

 

Tra le entrate, si osserva la crescita delle imposte indirette non troppo fuori linea rispetto alla crescita nominale del Pil, e quella più sostenuta dei contributi sociali. Nella voce “altre entrate”, in robusta crescita, vi sono gabelle su sigarette e giochi.

Nel trimestre, in conseguenza di una frenata del deflatore dei consumi, aumenta il potere d’acquisto delle famiglie, un dato criptico per i più ma che serve di solito ai trombettieri di regime per mostrare che le cose vanno bene. Questo aumento del potere d’acquisto si è tuttavia trasformato quasi interamente in aumento della propensione al risparmio. Regna la cautela, si direbbe.

Le famiglie consumatrici, per contro, proseguono nel loro amore per il mattone ed aumentano il tasso d’investimento, che nel loro caso significa mutui, in crescita dello 0,3% nell’anno.

Cosa si può dire, tirando le somme? Che il saldo “stagionale” migliora di un decimo di punto in conseguenza di un crollo del tutto anomalo della spesa per interessi, che sarà recuperato nei prossimi trimestri, e di un marcato aumento delle entrate. Mai guardare un solo dato, né in senso temporale né in quello di sintesi di più elementi costitutivi.

Per contro, le famiglie si “concedono” ancora di fare mutui ma aumentano il tasso di risparmio ogni volta che si verificano situazioni di disinflazione. O forse anche per questo motivo.

Quanto dura, una situazione del genere? Dipende. Ad esempio, dipenderà in modo decisivo dalla tenuta del mercato del lavoro. Ma quello che appare evidente, dal confronto annuale, è che abbiamo un aumento di spesa corrente fronteggiato da un aumento di pressione fiscale. Il solito spendi e tassa di un paese in via di dissesto e che si sta alacremente incravattando.

Unica certezza è la botta di stupidità di chi ora cerca di evitare una procedura di infrazione a colpi di aumenti di entrate, nel tentativo di introdurre una cosiddetta flat tax che causerà enormi distorsioni. Maggiori entrate che non derivano certo da lotta all’evasione, vista la quantità industriale di sanatorie e condoni in atto.

 

La sola strada percorribile è nota da sempre: ad ogni aumento stabile di entrate, occorre ridurre le aliquote d’imposta. I nostri eroi, invece, dopo essersi convinti lo scorso anno che un aumento di spesa corrente avrebbe innescato fantasmagorici effetti moltiplicativi, salvo essere ora costretti a comprimere il deficit a mezzo di aumenti di entrate (ricetta garantita per il disastro), hanno deciso che solo uno “shock” fiscale, cioè taglio di tasse a deficit, potrà produrre i soliti effetti moltiplicativi da miraggio nel deserto.

Nel frattempo, per quello che vale, l’indice di fiducia dei consumatori continua a flettere, malgrado i “massaggi” quotidiani di trombettieri dai muscoli linguali assai tonici. Date queste premesse, è invece possibile che gli italiani per una volta reagiscano da soggetti adulti, cioè “ricardianamente”, aumentando il tasso di risparmio precauzionale davanti a promesse di tagli d’imposta fatti a deficit. Fosse vero, vorrebbe dire che c’è ancora un barlume di speranza, per questo disgraziato paese. Ma non vorrei essere troppo ottimista.

E ora, possiamo tornare alle lamentazioni sulla necessità di fare più investimenti, magari facendoli pagare ai tedeschi. Detto dal paese che nell’ultimo anno ha piantato l’ennesimo chiodo di spesa corrente nella propria bara.

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