Petrosinella... nel minestrone ortografico
La genialità indiscutibile del Maestro Roberto De Simone - profondo conoscitore della musicalità della lingua napolitana - lo ha portato ad un'operazione un po' spericolata. Il risalto dedicato recentemente dall'edizione di Napoli del quotidiano 'la Repubblica' alla ri-scrittura a suo dire 'fonetica' della fiaba 'Petrosinella' di G. B. Basile, infatti, ha lasciato esterrefatti sia coloro che non apprezzano affatto il ricorso a grafemi originali ed a segni diacritici nella scrittura della lingua napolitana, sia chi, come me, aveva accolto con interesse l'iniziale riferimento di De Simone all'alfabeto fonetico internazionale. Fatto sta che, ben lungi dall'evocare 'dolcissime' ed 'antiche sonorità, la grafia da lui adottata in questo caso non ha niente a che fare con le convenzioni fonetiche codificate a livello internazionale dall'I.P.A.. Essa, invece, risulta una modalità di scrittura piuttosto ostica, paradossalmente molto simile alla dis-ortografia del Napolitano praticata attualmente da fin troppe persone, in particolare dai giovani, che da un così illustre personaggio rischia pertnto di essere avallata ed ulteriormente diffusa.
Avrei voluto evitarlo, ma proprio non ce la faccio. Il nome di Roberto De Simone è davvero troppo importante perché un qualunque professore di lettere come me ardisca profferir parola in qualche modo critica nei suoi confronti. Eppure non me la sento di tacere a proposito del suo intervento su la Repubblica [i] che – proprio perché molto autorevole – rischia di avallare e consolidare il già troppo frequente ricorso a spropositi ortografici nella scrittura del Napolitano, verso i quali sto cercando da anni di alzare un muro difensivo, insieme ad altri valenti studiosi.[ii]
Su suggerimento di un amico, ero infatti corso a leggere le pagine locali del citato quotidiano per trovarvi l’originale riscrittura di De Simone – utilizzando il codice fonetico internazionale noto come I.P.A. – della prima fiaba della seconda giornata del ‘Cunto de li cunti’ di G. B. Basile. Già leggendo le parole del Maestro nella prima parte dell’articolo, però, mi era parso di cogliere qualche lieve stonatura tra intenzioni dichiarate e strumentazione impiegata per quel fine.
« Nell’ambito internazionale della cultura più avanzata, il problema oggi è oggetto di accurata analisi, e ci si può giovare di trattati e dispense scientifiche sull’argomento, […] giungendo fin dall’inizio a un apposito alfabeto fonetico detto Ipa (International Phonetic Alphabet), tutt’ora in uso. […] In tal senso, sommariamente indicheremo esclusivamente le vocali mute in fine di parola, quelle acute o gravi, con un “puntino” le altre mute disposte all’interno d’un vocabolo, i troncamenti in fine di parola e la “s” fricativa con il segno “ŝ”…» [iii]
Continuando nella lettura, mi sono così imbattuto nella trascrizione ‘fonetica’ che De Simone ha fornito della celeberrima ‘Petrosinella’ ed i miei dubbi sono diventati purtroppo certezza. Sebbene egli citi esplicitamente l’Alfabeto Fonetico Internazionale [iv] (la cui codificazione risale al 1989, con piccole integrazioni successive), francamente non si comprende da quali fonti abbia tratto la metodologia adottata, in quanto egli fa ricorso a grafemi e segni diacritici che col codice I.P.A. non hanno nulla a che vedere.
Mi rendo conto che la secolare diffidenza verso la scrittura fonetica risponde a motivazioni ragionevoli, che vanno dalla difesa (un po’ nazionalista) dell’autonomia e specificità di ogni singolo idioma alle oggettive difficoltà pratiche derivanti dall’adozione generalizzata di un codice grafico estraneo al sistema classico – ‘occidentale’ – di scrittura meccanica e poi computerizzata, conosciuto come QWERTY. [v] Sono dunque consapevole delle obiezioni che si oppongono ad una norma unificante di tutti i codici grafici, sebbene l’impiego di un sistema fondato sul principio 1 fonema = 1 grafema arrecherebbe un notevole ed indiscutibile vantaggio allo studio delle lingue straniere. Tutto ciò, d’altra parte, non mi sembra che giustifichi l’atteggiamento sospettoso e critico di linguisti ed esperti di media né tanto meno la trascuratezza di tanti miei colleghi docenti nei confronti dell’insegnamento già dalle scuole medie dei fondamenti della fonetica e della pratica scolastica – e quindi semplificata – della scrittura fonetica internazionale.
Come sperimentatore da oltre un decennio dell’insegnamento nelle scuole medie anche della lingua napolitana, infine, ho dovuto spesso fronteggiare anche la diffidenza di molti ‘cultori della materia’ verso l’introduzione di segni diacritici nella sua scrittura, prendendo magari in prestito grafemi dal codice fonetico internazionale (ad es. nel caso della /s/ seguita da /c/, /p/ , /q/ – denominata ‘fricativa postalveolare sorda’ – trascrivibile a mio avviso o con il segno IPA / ʃ /, oppure con lettere adoperate in alcune lingue di ceppo slavo, come / š / e / ş /. Si può quindi immaginare quanto mi avrebbe fatto piacere poter contare sull’autorevole avallo di un esperto di cose napolitane come il maestro De Simone, che però è svanito bruscamente non appena mi sono trovato di fronte alla sua versione ‘fonetica’ della celebre fiaba seicentesca del Basile.
«P.TRUS.NELLA – Er’ na vot’ na fémm.na prèn’ chiammata Paŝcaròzia, la qual’, affacciat.s’ a na f.nèstr’ ch’ ŝbucav’ a nu ciardin’ de n’Orca, védd’ nu bellu quatr’ r’ p.trusin’, de lu qual’ l’ vénn’ tantu vulìø ch’ s’ s.ntév’ aŝc.vulir’: tanto che nu putenn’ r.sist.r’, abbistat’ quann’ scétt’ ll’Orca, n’ cugliètt’ na vrancat’. Ma turnat’ ll’Orca a la cas’ e vulenn’ far’ la sàuz’, s’addunàje ca nc’ er’ m.nat’ la fàuce, e diss’: «M’ s’ pòzza ŝcat.nar’ lu cuoll’ si nce mmatt’ stu man.c’ r’ancin’ e nu lu facciø p.ntir’, azzò s’mpar’ ogn.un’ a magnar’ a lu taglier’ sujø, e nu ŝcucchiariar’ p’ le pignat’ r’autr’» [vi]
«Il risultato – ne sono sicuro – produrrà nella recitazione una sonorità dolcissima, evocativa, quasi prodotta da una voce antica che ci giunge attraverso i secoli, cullando l’immaginario sedimentato e stratificato nel nostro secolare inconscio…» [vii]
Col dovuto rispetto per un musicologo compositore e regista che onora Napoli, questo suo ardito esperimento grafico mi evoca ben altro che una ‘dolcissima sonorità’ e, viceversa, mi ricorda l’attuale, cacofonica ed approssimativa, maniera di scrivere la nostra povera lingua. Essa deriva dalla deprecabile abitudine di storpiarla con apostrofi sballati, troncamenti improponibili ed assurde sparizioni delle vocali atone che invece, sia al centro che alla fine delle parole, non sono mai ‘mute’, bensì caratterizzate da un suono indistinto. Altro che “voce antica”! A me fa venire in mente la smozzicata ed elementare grafìa ‘da smartphone’ adoperata attualmente da ragazzi ed adulti, da qualche noto rapper e perfino da famosi marchi commerciali, che utilizzano strumentalmente – e male – il Napolitano per apparire ‘popolari’.
Mi resta comunque la curiosità su quali fonti De Simone abbia consultato per giungere a questo risultato. Da dove ha tratto, ad esempio, l’uso di un ‘puntino’ per indicare le vocali atone indistinte intermedie, unendolo ad un ancor più improbabile ricorso all’apostrofo come marcatore delle vocali indistinte finali? Chi mai gli ha suggerito l’adozione di un grafema come / ŝ / , che appartiene al sistema grafico dell’esperanto [viii] e non certo al codice IPA? Da dove sbuca poi il grafema / ø /, chiamato ‘aptang’ , che appartiene alla fonetica ed alla grafia delle lingue scandinave? [ix] La verità è che questo minestrone grafico non mi sembra che giovi al miglioramento dell’ortografia del Napolitano moderno, ma neanche che sia evocativo di quello antico.
Giusto per dare l’idea di come apparirebbe lo stesso brano citato di ‘Petrusinella’ se si adottasse l’alfabeto fonetico internazionale, di seguito ne do una mia versione personale, che utilizza i grafemi ‘speciali’ dell’IPA quando mi sembra strettamente necessario.[x]
« Pɘtrusɘnélla – Érɘ na vòtɘ na fémmɘnɘ prènɘ, kjammàtɘ Paskɘdòz:jɘ; la kwalɘ, affɘcciàtɘsɘ a na fɘnèstrɘ, kɘ ʒbuk:àvɘ a nɘ cjardìnɘ dɘ n’òrkɘ, véddɘ nɘ b:èllɘ kwatrɘ dɘ p:ɘtrusìnɘ. Dɘ lo kwalɘ lɘ vènnɘ tantɘ golìɘ, kɘ sɘ sɘntévɘ ascevɘlìrɘ. Tantɘ kɘ, non pɘténnɘ rɘsìstɘrɘ, ab:istàtɘ kwannɘ scêttɘ l:òrkɘ, nɘ kɘgliéttɘ na vraukàtɘ. Ma, turnàtɘ l’:òrkɘ a l:a kàsɘ, e vulénnɘ fàrɘ la sàwzɘ, s’addunàjɘ kɘ nc’érɘ mɘnàtɘ la fàwcɘ, e d:issɘ: «Mɘ sɘ pòzzɘ ʃkatɘnàrɘ lɘ kwòllɘ, si ncɘ méttɘ stɘ m:ànɘkɘ d’ancìnɘ, e non ne l:o fàccjɘ pɘntìrɘ, azzò sɘ mparɘ ognɘ unɘ a m:agnàre a lɘ tagliérɘ sujo, e n:o ʃkuk:iɘriàrɘ pɘ l:e pignàtɘ d’àwtrɘ!»
Certo, bisognerebbe fare progressivamente l’abitudine a questa scrittura e, soprattutto, praticarne l’uso già nella scuola, ad esempio quando si studiano lingue straniere come l’inglese, per le quali la coincidenza tra grafema e fonema è molto rara. Forse per imparare a scrivere meglio il Napolitano non sarà indispensabile ricorrere ai segni grafici speciali, o quanto meno lo si potrebbe fare solo in alcuni casi molto specifici di suoni inesistenti in italiano, come appunto lo shwa / ɘ / per le vocali atone indistinte centrali e finali e per il segno della fricativa postalveolare sorda / ʃ /. Sarebbe comunque opportuno, a mio avviso, evitare di ricorrere a soluzioni che, come quella proposta dal Maestro de Simone, rischiano di peggiorare la già scadente ortografia della nostra bella lingua, per la quale sono invece indispensabili regole certe, condivise e correttamente insegnate.
© 2019 Ermete Ferraro
[i] Roberto De Simone, “Così ho ritrovato le sonorità antiche della lingua del Basile”, la Repubblica, Napoli, pp. XIII-XV > https://napoli.repubblica.it/cronaca/2019/04/03/news/napoli_roberto_de_simone_per_repubblica_cosi_ho_ritrovato_le_sonorita_antiche_della_lingua_di_basile_-223183442/?rss
[ii] Dagli anni ’90 ho iniziato un’esperienza d’insegnamento della lingua e cultura napolitana in due scuole medie pubbliche e svolgo per il terzo anno un analogo corso per adulti presso l’Unitre (Università delle tre Età) di Napoli. Sono il curatore di una specifica pagina facebook ( Prutezzione d’ ‘a Lengua Napulitana ) e collaboro con varie associazioni e singoli studiosi, fra cui: Amedeo Messina, Nazario Bruno, Davide Brandi, Salvatore Argenziano, Gianni Polverino, Raffaele Bracale, Maria D’Acunto, Massimiliano Verde ed altri) impegnati nella tutela e promozione della lingua napolitana. In tal senso, sono stato anche estensore d’un progetto di legge in discussione al Consiglio regionale della Campania, a firma del cons. F. E. Borrelli.
[iii] Art. cit., p. XIII
[iv] Cfr. Voce “Alfabeto fonetico internazionale” in Wikipedia > https://it.wikipedia.org/wiki/Alfabeto_fonetico_internazionale e Laboratorio di Fonetica Sperimentale ‘Arturo Genre’ (LFSAG), Tabella IPA > http://www.lfsag.unito.it/ipa/index.html
[v] Vedi la voce “QWERTY” in Wikipedia > https://it.wikipedia.org/wiki/QWERTY
[vi] Vedi art. cit., p. XIV
[vii] Ibidem, p. XIII
[viii] Vedi la voce corrispondente su Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/%C5%9C
[ix] Vedi la voce corrispondente su Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/%C3%98
[x] Oltre alle tabelle citate nella nota iv, è utile far riferimento anche all’ottimo dizionario della lingua napolitana di Sergio Zazzera, edito da Newton Compton (https://www.amazon.it/Dizionario-napoletano-Sergio-Zazzera/dp/8854109215 ), nel quale sono invece riportate integralmente le trascrizioni fonetiche di ciascun lemma da lui curato.
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