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Përmet, il cuore caldo dell’Albania

Përmet e le sue valli, alla scoperta di un angolo segreto di questo paese così vicino al nostro. Un vero Social Trekking tra pascoli, gole, montagne e villaggi a contatto con la cultura dell’ospitalità.

“Ecco, stasera assaggiamo il çaj mali”, mi dice la nostra guida Çimi, mentre mi mostra orgoglioso il suo mazzo di stregonia, sideritis syriaca, appena raccolta ai bordi del sentiero, su di una ripida pietraia dove, nonostante le sue scarpe basse da ginnastica lisce e consumate, si muove con un abilità da capretto invidiabile da noi, invece, equipaggiati con solidi scarponi di pelle.

Siamo alla cascata di Sopot, un angolo veramente eccezionale e unico della catena montuosa della Nemërçka che, proprio sopra la cascata, forma un anfiteatro roccioso naturale che precipita con una parete di roccia pressoché verticale per quasi mille metri.

Solo nel nord dell’Albania, nelle Alpi Albanesi, l’Arapi può vantare una parete simile, ma non è così spettacolare. Qui invece siamo nel Distretto di Përmet, nel profondo sud dell’Albania, fuori dalle direttrici più frequentate che portano verso la Grecia o la Macedonia, e in una specie di bolla di sapone dove il tempo si è fermato e solo da pochi anni gli abitanti si sono resi conto della loro ricchezza di siti naturali, storici e culturali.

Parlo con Giorgio Ponti, il giovane entusiasta che è il responsabile di un progetto di valorizzazione del territorio, grazie ad un progetto di Cesvi Cooperazione e Sviluppo, e che in pochi anni ha dato un contributo insostituibile per far conoscere questa zona che vanta anche un Convivium Slow Food. “Qui ancora non credono che l’unione fa la forza”, ci racconta Giorgio che ormai conosce bene gli abitanti di questa zona, “sono troppo abituati a ragionare da soli, ma pian piano stanno vedendo che riunirsi in un consorzio, in un’associazione, anche se può essere più faticoso, alla fine paga.

E così le confezioni di Gliko, buonissime preparazioni di fico, noci e altri frutti segretamente zuccherati, le erbe aromatiche, il vino e il formaggio di questa zona stanno facendo un po’ il giro dell’Italia e dell’Europa come ambasciatori della genuinità di una terra che ancora, per fortuna, non è stata scoperta dal turismo di massa.

“Domani vi porto nel canyon di Lengarica!” ci annuncia Giorgio, uno degli scenari più belli del comprensorio che inizia ad attirare persone anche dal nord dell’Albania.

Parcheggiamo la macchina all’inizio del tratto sterrato che inizia a costeggiare un bel fiume dall’acqua limpida e in breve arriviamo ad un ponte in pietra che nella sua curva perfetta racchiude come in un quadro la dorsale della Nemërçka sullo sfondo, alta più di 2000 metri, con ancora delle tracce di neve.

“Questa è la vasca grande”, ci dice Giorgio indicando una grande pozza di acqua chiara e poco profonda delimitata da un argine di sassi. “Questa è la prima di una serie di piscine e sorgenti termali che per circa un tratto di 500 metri sgorgano naturalmente ai lati del fiume. Non ci sono altri posti del genere in Albania. Ogni vasca ha poi una proprietà particolare; questa è buona per le malattie della pelle, questa è quella per i problemi ai reni e questa è la vasca del prete, provate a indovinare perché!”.

Ma le piccole vasche di acqua minerale e termale – sono infatti tiepide – non sono nulla in confronto alla risalita del fiume che diventa una propria e vera gola spettacolare, con le pareti che si restringono fino a due metri circa e ti sovrastano per una cinquantina di metri coprendo persino la vista del cielo. Tre volte l’acqua ci arriva alla gola e Irma, la moglie di Giorgio che è venuta apposta per fare le foto alla spedizione, più di una volta si trova a nuotare con una mano in alto per sorreggere la macchina fotografica e non farla bagnare.

Il giorno dopo ci aspetta un'altra camminata spettacolare per salire sulle montagne sopra Këlcyrë, dove la Vjosa, il grande fiume che viene dalla Grecia entra, per diversi chilometri, in una profonda valle con le sue acque turchesi.

È questa la Vjosa (Voiussa) che i cori alpini ci tramandano con il loro carico di tragedia nella canzone del ponte di Perati, una piccola località a pochi passi dal confine della Grecia, qualche decina di chilometri a monte del punto dove siamo noi. Travolti da un esercito non meglio armato, ma più determinato a difendere la sua terra e complice la disorganizzazione di un esercito non ben equipaggiato e partito all’attacco all’inizio dell’inverno balcanico, i nostri soldati dovettero ripiegare in tutta fretta e con pesanti perdite e si attestarono proprio in questa valle come ultima difesa. Un cimitero non molto distante, pieno di soldati greci però, è la silenziosa testimonianza di quanto sangue sia caduto anche in questa terra che sembra, oggi, così pacifica e tranquilla.

Si parte dalle sorgenti della gola di Këlcyrë, che stemperano per un lungo tratto le acque più torbide della Vjosa, in un bosco di freschi platani dove sono stati costruiti due alberghetti dove anche nelle giornate più calde di agosto il fresco è assicurato, e si sale per un antico sentiero che in breve tempo porta verso la vallata di Zagoria.

Poi al termine di un'altra salita i primi muri a secco e il profilo di alcuni covoni ci fanno intuire che c’è un villaggio e sembra strano che a più di mille metri, in una zona che sembra anche poco adatta alla coltivazione sorga un villaggio.

E invece ecco che lentamente si dispiega davanti a noi, allungato lungo il crinale sassoso della montagna, ma con un panorama incredibile su tutta la valle di Zagoria e verso sud fino alle montagne della non lontana Grecia.

Luka il padrone di casa che ci accoglie nella sua casetta dove abita per l’estate con la moglie e tre figli, ci racconta che la sua occupazione è raccogliere le erbe aromatiche e medicinali sulle montagne. Parte ancora prima dell’alba per essere già in alto al sorgere del sole e raccoglie erbe fino a che il carico non diventa troppo grosso per il mulo che si è portato dietro. Salvia, origano e stregonia, il già citato tè di montagna, sono le piante più richieste e sono pagate bene e così s’integra il misero guadagno come pastore.

Ma ora c’è una nuova possibilità di guadagno e di lavoro per chi ha voglia di sfruttare la verginità di questi luoghi; l’ospitalità ai turisti, ai camminatori che hanno voglia di scoprire, vedere e trovare qualcosa di originale, qualcosa che sappia ancora di autentico. E qui l’ospitalità è qualcosa davvero genuina e che può essere anche un modo di integrare il reddito e di non dover emigrare verso Tirana o la costa, o peggio ancora all’estero, per portare del pane a casa.

Nel pomeriggio scendiamo al fiume che viene scavalcato, nel suo tratto più stretto, da uno spettacolare ponte ottomano, segno che questi sentieri un tempo erano percorsi da molta più gente e che i villaggi erano molto più popolati e ricchi.

Basta vedere la chiesa di Leusa, ora villaggio a malapena servito da una strada sterrata, ma con una chiesa enorme e ancora ben conservata anche al suo interno, nonostante i 40 anni di dittatura e di abbandono che aveva trasformato la quasi totalità degli edifici religiosi in magazzini e depositi o fienili.

Nel suo portico gli affreschi sono ancora leggibili e all’interno gli argenti delle icone e gli ottoni dei lampadari luccicano ancora alla flebile luce delle candele, e ricordano la passata opulenza di questi villaggi al tempo di Ali Pasha che, all’inizio dell’800 veniva corteggiato degli stati d’Europa ed era considerato come il Napoleone dei Balcani.

Oggi, dopo gli anni dell’emigrazione e della ricerca di nuove opportunità soprattutto in Grecia e in Italia, con l’arrivo della crisi, molti albanesi sono ritornati indietro e stanno capendo che anche la loro piccola nazione ha qualcosa per cui vale la pena di venire e non solo di andare via. Se persone come Giorgio riusciranno a far capire agli abitanti di Përmet che può esserci uno sviluppo sostenibile e se persone come Çimi e Luka capiranno che i turisti cercano soprattutto un cuore caldo nei posti che visitano, forse questi luoghi avranno un futuro felice.

Foto: Peter Boer/Flickr

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