Segreto di Stato: perché storici e Governi litigano
Quasi tutte le Costituzioni democratiche (ed anche qualcuna che fa finta di esserlo) partono dalla proclamazione che la sovranità appartiene al popolo, il che significa due cose: che le decisioni politiche debbano essere assunte dal popolo direttamente (referendum) o per il tramite dei suoi rappresentanti eletti (Parlamento). Lo stesso governo ricava la sua legittimità o da un voto di fiducia del Parlamento o dall’elezione popolare diretta del sul Presidente.
In secondo luogo, i governanti devono assumere decisioni conformi alla legge e non possono fare reati. E questo presuppone, a sua volta, due cose: che il popolo sia informato sulle reali condizioni che portano alla firma di un trattato, alla emanazione di una legge o all’assunzione di misure straordinarie di ordine pubblico o di ordine economico; inoltre la magistratura deve poter indagare se i governanti fanno reati o no. Quindi lo Stato dovrebbe essere (come spesso si dice) una “casa di vetro” totalmente trasparente al popolo ed alla magistratura.
Ovviamente la trasparenza renderebbe manifeste una serie di cose che, se sapute all’estero o da nemici dello Stato (criminalità, terroristi ecc.) danneggerebbero lo stesso Stato. Nasce, quindi, un’area di decisioni sottratte alla procedura democratica ed assunte dai governanti in regime “fiduciario”(cioè, sperando che non si commettano abusi). E’ quello che autori come Alessandro Pizzorno, definiscono “Nucleo cesareo del potere” e che è garantito dal “segreto di Stato” che il governo può opporre alla magistratura per bloccarne qualsiasi inchiesta e, di conseguenza, anche all’opinione pubblica.
Ma, siccome è nella natura dell’essere umano abusare del potere, il regime fiduciario ha una limitazione della durata temporanea del segreto di Stato. In altri termini: in particolari condizioni di necessità, i decisori possono fare particolari scelte, ma questo verrà conosciuto dopo un determinato periodo, quando si suppone che siano cessate le ragioni che consigliavano di tenere segreta quella risoluzione. E, dunque, documenti che riferiscano cosa ha fatto quel nucleo di decisori, dovrebbero essere liberamente consultabili quantomeno dagli storici per restituire, pur se tardivamente, quell’insieme di decisioni al giudizio (se non alla procedura) democratico. La storia è uno dei meccanismi necessari che garantisce la democrazia.
Per quanto possa sembrare strano, nessuna costituzione si occupa del segreto di stato e dei limiti che esso debba avere, per cui c’è una sorta di “cono d’ombra” che protegge il “nucleo cesareo del potere” anche moltissimo tempo dopo l’epoca delle sue decisioni, quando i responsabili non sono processabili perché morti, quando neppure i nemici interni ed esterni dello Stato possono trarre giovamento da quelle conoscenze.
Ne deriva che i governi tendono a rinviare il più possibile il momento dell’apertura degli archivi, ad ostacolare burocraticamente la loro consultazione e a far sparire il maggior numero di documenti possibile. Soprattutto, a formulare leggi ambigue, confuse, contraddittorie che ostacolino il più possibile il lavoro degli storici. Per i governanti e gli apparati di sicurezza, gli storici sono solo degli intrusi che vogliono rovistare fra le carte solo per interessi personali (fare uno scoop, vincere un concorso ecc) e soddisfare la curiosità degli oziosi, nulla di serio.
Certo, dopo un certo periodo, fra i governanti, per quanto longevi, non ci sono più i diretti interessati. Ma questo è il meno: esiste l’interesse al buon nome di un determinato apparato (ad esempio, i carabinieri potrebbero avere interesse a nascondere di aver ucciso a freddo un bandito o una terrorista; la polizia non sarebbe gratificata se si sapesse che sapeva in anticipo di una strage e di aver cinicamente deciso di non ostacolarla per sfruttarne dli effetti politici ecc.) o di un partito politico.
Ma, soprattutto, la scoperta di troppi scheletri nell’armadio potrebbe scuotere la fiducia dei cittadini nello Stato e delegittimare un regime politico ancora vigente, magari spingere ad una legislazione più restrittiva della discrezionalità dei governanti. Molto meglio raccontare la favola tranquillizzante del carattere marginale e residuale di certi momenti decisionali e lasciare tutto come è. Sapere è premessa di potere ed il cuore dello Stato non è disposto a dividere il suo saper (dunque il suo potere) con i cittadini.
Lo scontro in atti fra storici e governi è solo un capitolo della lotta fra apparati statali e società civile per la qualità della democrazia.
Aldo Giannuli
Questo articolo è stato pubblicato quiLasciare un commento
Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina
Se non sei registrato puoi farlo qui
Sostieni la Fondazione AgoraVox