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Perché la pensione anticipata col contributivo resta un miraggio italiano

Torniamo sulla levata d’ingegno di Silvio Berlusconi di giorni addietro, in cui prometteva che, con il centrodestra al governo e grazie al sistema contributivo, avremo una sorta di “liberi tutti” sull’età pensionabile. Ovviamente questo causerebbe devastazioni ai conti pubblici e/o importi pensionistici pressoché simbolici. Alcuni lettori mi hanno fatto notare, con sprezzo del senso comune e della logica, che in realtà la proposta di Berlusconi “stabilizzerebbe” il sistema.

Il che, se ci pensate, è affascinante: sembra suggerire che, più si anticipa la pensione e più il sistema va in equilibrio. Una sorta di gravità negativa, in pratica, in cui apro la mano e l’oggetto, anziché finire sul pavimento, finisce sul soffitto. Un commento di Carlo Mazzaferro su lavoce.info, serve a chiarire le idee.

Scrive l’autore:

«In un sistema pensionistico contributivo infatti non esiste “un’età” di pensionamento. Al contrario, questa può essere scelta dal lavoratore. La flessibilità è prevista ad esempio in Svezia, la nazione che sembra aver accolto in maniera più coerente nella sua normativa pensionistica i principi dei sistemi contributivi, e così è stato anche in Italia fino al 2004»

Ma cosa è accaduto in Italia, dal 2005 in avanti?

Una cosa che potrà sembrarvi banale: che la demografia, giocandoci contro, ci costringe a sopprimere la “scelta” di età pensionabile flessibile, consentita in via solo teorica dal contributivo, perché la priorità deve andare alla stabilità finanziaria. Ci sono due dimensioni critiche, quindi: quella finanziaria, relativa alla spesa pubblica; e quella microeconomica, relativa alla adeguatezza delle prestazioni pensionistiche.

Riguardo alla prima dimensione, scrive Mazzaferro:

«[…] un anticipo generalizzato dell’età di pensionamento, rispetto al sentiero disegnato in occasione della riforma del 2011, che incorporava l’adeguamento automatico dell’età pensionabile, determinerebbe una crescita immediata del numero di prestazioni e quindi della spesa per pensioni rispetto a quanto previsto nei tendenziali di bilancio. L’effetto “cassa” è magnificato in Italia dal fatto che una quota importante delle prestazioni di coloro che accederanno al pensionamento nei prossimi anni sono ancora calcolate con la generosa regola retributiva»

Dovrebbe essere chiaro a tutti, no? Se teniamo fermo il tasso di trasformazione tra stipendio e pensione, dando flessibilità sull’età pensionabile, creiamo la Fossa delle Marianne nei conti pubblici. Se invece consentiamo anticipi riparametrando l’assegno pensionistico alla speranza di vita, finiamo a produrre pensionati che letteralmente moriranno di fame, cioè che percepiranno importi eufemisticamente inadeguati. E qui Mazzaferro precisa:

«Del resto, che l’adeguatezza (teorica) delle pensioni pubbliche italiane potrà essere raggiunta nel lungo periodo solo grazie a un aumento cospicuo dell’età di pensionamento è esplicitamente riportato in documenti ufficiali

Come auspicabilmente avrete compreso, la coperta è e resta corta, per motivi in primo luogo demografici. L’equilibrio, introducendo la “facoltà di scelta”, arriva facendo del darwinismo sociale, cioè creando pensionati da pochi euro al mese, ed augurando loro buona fortuna. Del resto, se la demografia fosse stata favorevole, non ci saremmo spostati dal retributivo. Però non temete: ora il nuovo coro da stadio è “fiscalità ge-ne-ra-le!”, con applausi ritmati d’ordinanza.

Ovviamente, queste cose il buon Silvio ed i suoi cosiddetti economisti non verranno a precisarvele, come invece si farebbe nel bugiardino di un farmaco alla voce “effetti collaterali”. Forse perché abbiamo di fronte dei bugiardoni, più che dei bugiardini.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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